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martedì 17 settembre 2024
 
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Amazzonia, polmone per pianeta e Chiesa: minacce, sfide, speranze

19/06/2019  Con la pubblicazione dell'Instrumentum laboris prende il via la preparazione dell'assemblea dei vescovi fortemente voluta da papa Francesco, che si celebrerà dal 6 al 27 ottobre prossimo, a Roma. I primi commenti delle chiese locali

È un intreccio di foresta e savana che abbraccia nove Stati (Guyana, Suriname, Guyana Francese, Venezuela, Ecuador, Colombia, Bolivia, Perú, Brasile). L’Amazzonia misura circa 7,8 milioni di chilometri quadrati, qualcosa come 23 Italie messe una accanto all’altra. Rappresenta il 40 per cento dell’America meridionale, il 5 per cento dell’intero globo. Conta per quello che offre il suolo (alberi, corsi d’acqua, una biodiversità esemplare) e per quello che nasconde nel sottosuolo: oro, rame, tantalio, minerali ferrosi, nickel e manganese. Uno scrigno poco abitato (34 milioni di persone) ma molto ambìto dall’industria estrattiva. In Amazzonia è in corso una lotta per l’accaparramento delle risorse. A pagare sono l’ambiente, le persone (sono state censite almeno 390 differenti popolazioni indigene) e i loro diritti. Le Chiese locali hanno accolto con gioia la notizia che nel prossimo autunno, per la precisione dal 6 al 27 ottobre, il Sinodo dei vescovi si occuperà di questa tribolata porzione di mondo. 

«Giunge a maturazione un cammino lungo 30-40 anni, fatto dalla Chiesa latinoamericana, che, dal punto di non ritorno della Conferenza di Aparecida del 2007, ha plasmato la sua coscienza sulla necessità di camminare e agire insieme ai popoli amazzonici. La consapevolezza è quella dell’importanza fondamentale che l’Amazzonia ha per il futuro dell’interno pianeta», ha commentato con l'agenzia di stampa Sir  il cardinale peruviano Pedro Barreto Jimeno, vicepresidente della Repam, la Rete ecclesiale panamazzonica, e arcivescovo di Huancayo (Perù centrale). A ridosso della presentazione (avvenuta lunedì 17 giugno) dellInstrumentum Laboris che in qualche modo anticpa i temi in agenda, il cardinale si è trasformato in una sorta di “ambasciatore” del Sinodo a nome della Repam, volando a Bogotá (Bolivia) e poi a Roma, dove ha incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, partecipando inoltre ad alcuni importanti incontri, tra i quali uno con gli ambasciatori in Vaticano dei Paesi amazzonici.

 

Il cardinale Pedro Barreto Jimeno, 75 anni.
Il cardinale Pedro Barreto Jimeno, 75 anni.

L’Instrumentum Laboris parla esplicitamente dell’Amazzonia come “nuovo soggetto”, che dev’essere, come è effettivamente stato in questa fase preparatoria del Sinodo, oggetto di ascolto. Con l'obiettivo di scorgere il «volto amazzonico e missionario» di questa parte del pianetaIl cardinale Barreto fornisce numeri importanti, riguardo alla fase dell’ascolto, affidata in special modo alla Repam, che ha preceduto la redazione dell’Instrumentum Laboris. «L’ascolto diretto del territorio – ha spiegato Pedro Barreto Jimeno – aveva l’obiettivo di allargare la partecipazione delle popolazioni e di fedeli, attraverso assemblee, incontri tematici, dibattiti. Siamo arrivati a 87 mila persone, a 22 mila attraverso eventi organizzati direttamente dalla Repam e a 65mila nelle fase preparatoria precedente, nei nove Paesi che costituiscono la Panamazzonia».

In quell'area si concentrano il 20% delle riserve d’acqua dolce non congelate del pianeta, il 34% delle foreste primarie, tra il 30 e il 40 per cento della flora e della fauna del mondo. L’Amazzonia, insomma, è un sistema vivo, che «funziona come uno stabilizzatore climatico regionale e globale, mantenendo l’umidità nell’aria, tanto che un terzo delle piogge che alimentano la Terra sono prodotte da questa regione. E poi c’è una preziosa socio-diversità, con la presenza di 2 milioni e 800mila indigeni, che appartengono a 390 popoli, 137 dei quali vivono isolati dal resto del mondo o non sono mai venuti a contatto con altre etnie».

«Dappertutto abbiamo riscontrato un entusiasmo inimmaginabile», ha sottolineato ancora il vicepresidente della Repam. Le aspettative sono quelle di una Chiesa che cammina con questo popolo e questo territorio, mostrando la propria vitalità missionaria: «Questa porzione di terra  è un dono di Dio per tutti coloro che l'abitano e per tutta l’umanità. Tuttavia, si tratta di un territorio sempre più devastato e minacciato». Come è noto, lo sfruttamento del territorio ha molteplici volti: deforestazione, miniere diffuse e spesso illegali, monoculture che distruggono la biodiversità, deportazione delle popolazioni indigene. «Secondo la Dottrina sociale – ha aggiunto il porporato – la missione di ogni cristiano implica un impegno profetico per la giustizia e la pace, la dignità di ogni essere umano senza distinzione e con l’integrità del creato, in risposta a un modello di società dominante che produce esclusione, diseguaglianza e che provoca quella che Papa Francesco a chiamato cultura dello scarto».

È proprio questa “profezia”, che mostra un modello di sviluppo basato sull’ecologia integrale delineata nell’enciclica Laudato Si’, a destare speranze ma anche preoccupazioni, visti i tanti interessi in gioco.«Non nego – ha affermato spiega il cardinale Pedro Barreto Jimeno - che ci siano preoccupazioni e inquietudini da parte del mondo politico ed economico». Ma lo stesso porporato ha segnalato come gli Stati della regione panamazzonica abbiano sottoscritto le principali Dichiarazioni sui diritti umani, compresa quella sui diritti del popoli indigeni, del 2007. In ogni caso, la certezza, è quella di una Chiesa “che si è svegliata” e che “non tornerà indietro”, proprio perché il Sinodo amazzonico non è un’estemporanea intuizione, ma il “frutto maturo” di un percorso articolato.

Monsignor Pietro Conti, 69 anni, il vescovo di Macapà, nello stato brasiliano di Acapà, una diocesi di confine con la Gujana francese.
Monsignor Pietro Conti, 69 anni, il vescovo di Macapà, nello stato brasiliano di Acapà, una diocesi di confine con la Gujana francese.

«In Amazzonia», aveva detto a sua volta tempo fa monsignor Pietro Conti, vescovo di Macapá, «finora tutti sono arrivati, hanno preso e hanno portato via. Rimangono i veleni, come quelli a base di cianuro che si usano per l’estrazione dell’oro, o come i prodotti chimici usati per sbiancare la cellulosa. L’Amazzonia non è mica un museo. Si può vivere di essa, ma bisogna farlo con intelligenza. Il legname si potrebbe tagliare, ma in modo tale da non distruggere la foresta. Ci sono prodotti ricercati e remunerativi. Nella riserva del Cajari, per dire, vivono della castagna del Pará; nella foresta si possono ricavare essenze preziose per fare cosmetici». 

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