Emiliano Manfredonia, presidente del Patronato Acli.
«Di circoli ne ho visitati tanti. E tanti ne vorrei visitare ancora. Ce ne sono di notevoli ed efficienti, di rotti e brulli; alcuni sono nascosti, altri ben visibili, al centro delle piazze. In circolo, si entra e si esce, si va via e si torna. In continuo, come assorbiti da un moto circolare che ci aiuta a stare in contatto con gli altri». Emiliano Manfredonia, presidente del Patronato Acli, ha un legame con i circoli dell’associazione quasi fisiologico. Li considera un po’ tutti suoi figli. Ha dedicato loro persino un libro (Vite in circolo. Luoghi dell’anima. San Paolo editore), un viaggio di ricordi e di storie che rendono omaggio alla vita che pulsa dentro quei locali, «la vita che in quei luoghi prende forma, forza, la vita che si trasforma in azioni concrete di solidarietà, non solo luoghi di svago, ma ambienti nei quali attraverso l’azione educativa e sociale si cerca di formare generazioni all’impegno civico. E non dimentichiamolo: nei quali vivere anche un’esperienza di fede».
In questo periodo di lockdown però i circoli restano chiusi.
«Lo avevamo già fatto a marzo: una chiusura generalizzata, vissuta da tutti con responsabilità e preoccupazione. Chiusura che però ci ha permesso di combattere in modo efficace questo maledetto Covid. Oggi li abbiamo chiusi per lo stesso motivo, per evitare assembramenti diffusione del contagio».
I circoli hanno chiuso esattamente per lo stesso motivo per cui hanno chiuso bar e ristoranti. Però all'inizio per i circoli non era stato previsto alcun “ristoro”, nessun risarcimento da parte del Governo, oltretutto nonostante la loro acclarata funzione sociale…
«Come Acli abbiamo vissuto con grande delusione la discriminazione fatta tra le attività produttive, dai bar ai ristoranti, dalle palestre ai centri sportivi, e i nostri circoli. Non solo perché in questi mesi ci eravamo dati regole ferree sull’assembramento e sulla sanificazione, ma soprattutto perché abbiamo visto la missione sociale di cui ci facciamo portatori mortificata».
In che senso missione sociale?
«Voglio dire che questa pandemia non solo ci costringe a vivere divisi e separati ma rischia di danneggiare i più poveri, i più soli, gli anziani, chi non ha i mezzi d’informazione adeguati. Leggevo stamattina quel che avevamo cominciato a vedere anche con i nostri occhi: ci sono anziani e poveri guariti dal Covid, dimessi dall’ospedale, magari usciti dal calvario della terapia intensiva, che una volta dimessi non sanno dove andare. Le case di riposo non possono accetarli per preservare chi è ricoverato, le strutture di accoglienza sono soggette a mille limitazioni per motivi di prevenzione e di protezione. E così restano in strada. I nostri circoli, in particolare quelli che “vegliano” su piccole comunità più isolate, sono punti di riferimento per una comunità, spesso anziana, spesso non dotata di Internet o fibre veloci. Sono come sentinelle nella notte, segretariati sociali ai quali fare riferimento per tutte le necessità e le opportunità legate ai decreti di ristoro e aiuto emanati in questo periodo di emergenza. Ecco perché il silenzio del governo sui ristori ai circoli Acli che non diopsongono di partita Iva ci ha lasciati con l’amaro in bocca».
Ma il Governo come ha reagito alle vostre richieste?
«Dopo un duro confronto con il Governo siamo stati inseriti nei ristori, anche se le modalità non sono ancora chiare. Anche i nostri circoli pagano le bollette, gli affitti, dove necessario le forniture. E naturalmente pagano anche le tasse. E lo fanno grazie al supporto di molti volontari. Paradossalmente arrivo a dire che i circoli Acli non sono nostri. Appartengono alla società italiana (e anche di molti paesi esteri), fanno ormai parte delle nostre comunità, spesso sono gli unici luoghi dove ancora ci si incontra. Sono luoghi di pensiero e azione per promuovere la socialità, la solidarietà. Non sono nostri, sono un bene comune».
I circoli sono strutture locali. I sindaci e gli amministratori come hanno reagito?
«Gli amministratori locali sono stati in prima linea con noi. Alcuni hanno promosso un ordine del giorno da presentare in ogni consiglio comunale per chiedere agli amministratori locali un impegno per le nostre strutture, come segno di riconoscimento per l’importante presenza nelle comunità che in alcuni casi ha radici storiche. Perché se è vero che dobbiamo restare chiusi come strutture, non per questo la nostra attività si deve fermare. La nostra luce rappresentava l’impegno, la solidarietà, la vicinanza. Tutte cose che come lo Spirito non si può spegnere».
Che fanno ora i volontari con i circoli chiusi?
«Potremmo dire che fanno i circoli itineranti. Fanno “la spesa che serve”, promuovono il segretariato sociale, avviano legami cercando di contattare chi è più solo. Molte storie che abbiamo conosciuto ci rendono orgogliosi di vivere queste Acli. Questo tempo di chiusura non lo viviamo come una sconfitta ma come una rigenerazione, un passaggio quasi catartico, come per ogni crisi. Anche se sappiamo che in molti paesi faremo fatica a riaprire il circolo. Però non dobbiamo sprecare questo tempo, dobbiamo tutti acquisire la consapevolezza che siamo una grande rete, che l’impegno di un gruppo di volontari in uno “sperduto” paese di montagna è lo stesso del circolo di una grande metropoli. Torneremo più forti di prima, ma intanto ci siamo».