Chi lavora sodo, con entusiasmo e generosità, per gli altri, lo fa soprattutto per se stesso. È un atteggiamento molto nobile che non intende caricare l'oggetto del proprio impegno di aspettative, speranze e risultati che, ovviamente, non dipendono da lui.
Questo, però, negli anni, ha portato una sorta di chiusura delle organizzazioni impegnate a qualsiasi titolo nel ramo della cooperazione e, più in generale, nel terzo settore. Quasi per timore di risultare arroganti, boriosi, pieni di sé. Come se mettere in mostra ciò che si è stati capaci di costruire violasse una non meglio identificata privacy e, comunque, togliesse quel contorno quasi magico agli interventi compiuti.
Ma tra vantarsi e informare c'è una bella differenza, sia nell'approccio di chi è chiamato a farlo sia nella percezione di chi ha voglia di ascoltare e capire. Quello della comunicazione, è inutile negarlo, è diventato all'improvviso il vero tallone d'Achille di molte organizzazioni umanitarie: intanto perché negli ultimi anni ha assunto significati nuovi e ancora in parte da esplorare che sconfinano sempre di più nel fund raising, ma anche perché la concorrenza è diventata forte e solo le strutture più solide, con budget importanti, sono riuscite ad adeguarsi in tempi relativamente brevi al cambiamento. Il rischio di vedere scomparire quell'universo variegato ed efficiente di piccole e medie organizzazioni di cooperazione è reale.
Come comunicano le ong piemontesi la loro attività di cooperazione? Con quali mezzi? Di quali risorse umane e materiali dispongono per svolgere tale attività? E ancora: che messaggi intendono rivolgere alla collettività e agli organi di informazione? E questi ultimi rappresentano un elemento di forza nella diffusione di questo tipo di notizie? O, al contrario, la relazione tra ong e media locali è un fattore critico che necessita di essere riformulato per rendere più "fluido" un rapporto non sempre facile?
Per dare una risposto a questi e ad altri interrogativi è nata una ricerca condotta nell'ambito del progetto europeo "Comunicare in rete per lo sviluppo" promosso in Piemonte da Consorzio Ong piemontesi in collaborazione con Università degli studi di Torino, Associazione stampa subalpina, Regione Piemonte, Coordinamento Comuni per la pace della provincia di Torino.
Solo il 22% delle Ong usa giornalisti per la comunicazione
Il primo dato emerso dice che il 22% del campione delle ong utilizza, per comunicare, personale che appartiene alla categoria professionale dei giornalisti contro un 78% che si affida a figure prive di questo profilo specifico. Tra gli addetti alla comunicazione il 31% ha conseguito una formazione scolastico/universitaria sui temi della cooperazione.
Sul tipo di relazione lavorativa tra gli addetti alla comunicazione e la singola ong scopriamo che il 37% sono remunerati, il 41% sono volontari, il 22% entrambi. Il 44% del totale delle ong intervistate ha dichiarato di contare su un ufficio stampa interno, mentre il restante 56% fa affidamento su una molteplicità di figure interne alla ong che spaziano dai volontari al direttivo passando per i soci. Nessuna, in ogni caso, ha dichiarato di esternalizzare.
I destinatari "preferiti" delle comunicazione delle ong piemontesi sono i privati cittadini (84%), gli enti e le istituzioni pubbliche (66%), i soci (47%). Tra i mezzi impiegati stravince il sito web: lo impiegano il 91%. Seguono eventi e conferenze (78%), social media (72%), sensibilizzazione nelle scuole (66%), comunicati stampa e newsletter (59%). Sui contenuti della comunicazione, stravince il dettaglio delle attività delle svolte (100%), seguito dai risultati attesi e/o ottenuti (59%). Si fermano al 47% le attività di fundraising.
Ma come valutano la propria attività di comunicazione le ONG? Le Organizzazioni che si sono date un voto insufficiente sono la minoranza (34%, 11), ma sono comunque numerose; le altre, pur essendosi ‘promosse’ hanno espresso un parere abbastanza ‘severo’ circa il livello della loro attività comunicativa: il 44% (14) di loro, infatti, la reputa sufficiente e solo per il 19% (6) il giudizio è buono. Appena 1 ONG su 32, infine, ritiene la comunicazione prodotta di ottimo livello.
A fronte di tali dati, la quasi totalità delle ONG riterrebbe utile prendere parte a momenti formativi per migliorare le conoscenze e le strategie comunicative. Momenti durante i quali le tematiche da trattare dovrebbero vertere a loro giudizio su: l’apprendimento di nuove e più utili strategie comunicative; un più specifico e approfondito uso dei social media (le cui potenzialità sembrano non essere ancora sfruttate a pieno); e, infine, la costruzione di una più intensa e ‘fluida’ collaborazione con i ‘professionisti dell’informazione’, che consentirebbe un più agevole accesso ai vari media.
Soprattutto quest’ultimo aspetto costituisce, nel quadro complessivo delineato dalla ricerca, un elemento nevralgico: l’esigenza di comunicare la cooperazione, e di farlo nel modo più efficace possibile, presuppone infatti l’esistenza di un rapporto strutturato, solido e continuativo tra chi svolge attività di cooperazione (e naturalmente, in maniera specifica, tra quanti all’interno dell’Organizzazione di occupano di comunicazione) e chi dell’informazione ha fatto una professione: un’esigenza emersa distintamente non solo – come si è visto – dai dati che abbiamo ricavato dal questionario, ma anche dalle numerose interviste di approfondimento fatte alle ONG.
Scarsa visibilità delle notizie che riguardano le Ong
Il risultato dello studio sulla visibilità degli articoli mostra come essi siano in maggioranza di piccole dimensioni (una colonna, 35,4%) o media (due o tre colone 33,3%). La sezione in cui la maggior parte degli articoli si trovano è la cronaca locale (60,7%), seguita dalle pagine di Cultura e Spettacoli (12,6%).
Le altre sezioni, tra cui Attualità (2,9%), Sport (2,5%), Esteri (2,5%) e di Economia (1,2%), hanno un numero molto limitato di articoli.
Nel 73,4% dei casi l’articolo è originato da eventi - anche molto piccoli - sul territorio (ad esempio presentazioni di libri, mercatini etici).
Dopo aver preso in esame i prodotti comunicativi, lo studio si è focalizzato sugli attori della comunicazione che operano in Piemonte per comprendere come sono organizzati, se e come trattano i temi della cooperazione internazionale per lo sviluppo e come essi valutano il contributo della propria testata alla comunicazione di tali tematiche.
Per fare questo, oltre 250 redazioni piemontesi (di giornali, riviste, siti web, radio e tv) sono state contattate per rispondere a un questionario online. Sono stati ottenuti 22 questionari completati. Dalle risposte raccolte emerge come
la maggior parte tratti saltuariamente o eccezionalmente (60%) i temi della cooperazione internazionale allo sviluppo. Questo si rispecchia anche nel fatto che 17 delle redazioni che hanno risposto al questionario dichiarano di non avere uno specialista su questi temi.