È lapidario Antonio Scotto Di Perta, 44 anni, quando lo raggiungiamo al telefono a Procida, la sua isola accogliente: «Se un marinaio trova un naufrago non gli chiede di che colore o di che religione o se ha il diritto o meno di essere lì. Lo salva e basta». Per lui che conosce bene il mare «È inaccettabile che donne, uomini e bambini possano restare per giorni e gironi sul ponte della nave con queste condizioni climatiche». Ecco allora che è disposto a mettere in gioco anche le imbarcazioni della società che gestisce: «Da sempre noi facciamo solidarietà, per esempio contribuendo a costruire pozzi in Africa attraverso il sostegno della Onlus Africa Mission. Non ci tireremo di certo indietro adesso. Io poi che non riesco a godere di nulla se so che c’è qualcun altro che sta peggio».
Antonio che si rallegra dei commenti di solidarietà al suo post del 6 gennaio, dieci volte superiori a quelli negativi che, invece, proprio non riesce a mandare giù. Una delusione che affida ai social con un lungo post scritto questa mattina:
«Leggo con attenzione, orgoglio ma anche terrore il mare di commenti seguiti al mio post. Un mondo dove ci si indigna per un rigore non dato e ci si gira dall'altra parte se si vede un essere umano morire di freddo sotto un portico coperto di stracci e cartoni. Un mondo dove si cena davanti ad un telegiornale che propone immagini di guerre, morte e sofferenza senza farci minimamente cambiare la percezione del cibo ingurgitato. La discriminante non è la nazionalità, la razza, la distanza, la sofferenza è trasversale. Il mio sfogo, la mia proposta, nasce dall'indignazione. Indignazione che viene ripresa in chiave negativa da chi teme il diverso, da chi ha paura che il suo piccolo orticello possa venire calpestato. Ma che scuote la coscienza di chi, come me, pensa che non faccia abbastanza. Di chi, come me, non riesce a godere dei privilegi acquisiti, grandi o piccoli che siano, sapendo che in tanti, in troppi, non possono neanche sognarli.
Ho scritto mi verrebbe voglia di partire, l'ho scritto e lo scriverei altre mille volte. Mi verrebbe voglia di partire per prenderli, per abbracciarli, per stargli vicino con 15, 150, 1500 barche. Tutti intorno a quella nave. Per dire a loro non siete soli. Per dire al mondo qui c'è un'emergenza. Ringrazio le centinaia di persone che mi stanno dando coraggio e affetto, ma ringrazio anche chi mi critica perché non ho proposto di andare ad Amatrice, o di non pensare prima agli italiani.
A questi ultimi voglio dire che siamo sulla stessa barca, vi siete indignati e ci state pensando. Contro di me o a favore non conta, l'importante è uscire dal torpore celebrale nel quale ci siamo o ci hanno rinchiuso.
Aspettiamo con ansia che si raggiunga presto un accordo a livello europeo, le istituzioni sono informate, nel rispetto di leggi e regolamenti marittimi tanti comandanti si sono offerti di partire anche con le loro barche. Tanti altri hanno dato disponibilità ad accompagnare per aiutare o solo per manifestare con la loro presenza noi ci siamo... e non giriamo la testa dall'altra parte».