Non ho mai dimenticato la prima preghiera imparata da bambino: «Angiolino mio carino / vieni sopra il mio cuscino / a farmi compagnia / con Gesù e con Maria». Una filastrocca semplice e innocente, proprio come gli angeli e i bambini. Oggi bambini non lo siamo più, e forse neppure innocenti, ma che fine hanno fatto gli angeli?
Il 2 ottobre c'è la festa degli angeli custodi, il 29 settembre degli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. La
Chiesa li celebra per la loro funzione e il giusto ruolo che hanno nella fede,
senza esagerazioni da new age. Forse gli angeli si sono nascosti proprio perché sono stati rappresentati in maniera... stucchevole. Troppo a lungo ce li hanno dipinti come adolescenti dalle sembianze ambigue, molto più simili al dio greco dell’erotismo piuttosto che a servitori della Gloria magnifica e tremenda di Dio. Oppure come bambinelli obesi con ali scarsamente propense a sostenerne il peso: difficile immaginarli capaci di custodire le nostre vite perennemente insicure e insidiate. Eppure sentiamo bisogno della loro presenza. Basta scendere in strada e guardare la gente che passa. Ali stampate sulle magliette, sulle borse, sui jeans. O tatuate direttamente sulle spalle, quasi si sentissero orfane di un custode o dell’innocenza smarrita. Desiderose della loro carezza e della loro rassicurazione.
Anche i filosofi tornano a interrogarsi sulla presenza degli angeli. Anni fa se ne interessò Massimo Cacciari (L’angelo necessario, Adelphi 1986), ora sono Giorgio Agamben ed Emanuela Coccia a curare la prima antologia scientifica sulle gerarchie celesti nei tre grandi monoteismi. Angeli. Ebraismo Cristianesimo Islam (Neri Pozza 2010) è un imponente volume di oltre duemila pagine che abbraccia la Bibbia e il giudaismo medievale, gli apocrifi e i Padri della Chiesa, il Corano e Avicenna. Un testo davvero esaustivo sull’argomento, insomma, che smonta un’infinità di luoghi comuni. San Gregorio Magno ci ricorda, ad esempio, che il termine “angelo” non fa riferimento a una natura, ma a un compito: significa semplicemente “messaggero”. L’angelo può essere privo di ali oppure averne sei, può apparire come un uomo qualunque o avere il corpo ricoperto d’occhi, può muoversi a piedi o sopra una ruota fiammeggiante: non è il suo aspetto a identificarlo, ma ciò che compie. «Vi sono molti uomini – spiega san Gregorio – che sanno poche cose ma non cessano di annunciarle piamente ai loro fratelli. Questi appartengono alla classe degli angeli».
Angeli sono dunque coloro che accettano di farsi voce di un Altro. Coloro che mettono liberamente le loro parole a servizio di un’altra Parola. Coloro nei quali, insomma, il conflitto tra natura e dovere è superato: per questo rappresentati sempre con le ali, cioè l’emblema della libertà.
L’interesse degli artisti per gli angeli è sempre stato ben desto. E a Padova, dal 16 aprile al 31 luglio, si terranno ben due mostre dedicate a loro. A Palazzo del Monte sarà possibile ammirare le enigmatiche tavole che valsero a Guariento da Arpo il titolo di “Maestro degli Angeli”: raffigurazioni solenni e mistiche, dove le siloutte dorate dei servitori celesti si stagliano su un fondo nero assolutamente unico per delle icone trecentesche. In parallelo, il Museo diocesano di Padova ospiterà alcune opere di un artista contemporaneo, Omar Galliani, che ha tentato di raffigurare il mistero angelico trasfigurando alcuni ritratti di giovani d’oggi. Sono immagini nelle quali si coglie la difficoltà della nostra immaginazione ad andare oltre il piano del visibile, quasi che il fumo delle rivoluzioni industriali abbia oscurato il cielo e i suoi simboli.
Eppure gli angeli sono rimasti sulla terra.
E se non possiamo vederli, possiamo almeno sentirli. Certo, bisogna tendere bene l’orecchio. Qualche volta possono avere la voce di un angelo pop. «Ma come? Non hai mai sentito / cantare il tuo angelo? – si chiede Ron – è un respiro che accompagna il tuo respiro / quando ridi quando piangi quando dormi» (Tutti quanti abbiamo un angelo). «Passa l’angelo – gli fa eco Francesco De Gregori – E dice: sono venuto a prendere / e non a rubare. / Dice: non devi piangere / e non ti devi spaventare» (Passa l’angelo). E ci sono anche le voci di angeli soul, robuste invocazione rivolte al cielo: If God will send his angels degli U2, In the arms of an angel di Sarah McLaughlin, Calling All Angels di Jane Siberry e l’omonima canzone di Anastacia.
Passando al cinema, ecco che le presenze angeliche aumentano di numero, ma raramente di qualità. Certo, filmare l’invisibile non è proprio l’ultima delle sfide, ma da L’ultima profezia (1995) a Michael (1996), da Dogma (1999) a Constantine (2006) fino al recente Legion, sfila una collezione di pennuti che, pur sfoggiando una notevole apertura alare, resta davvero molto terra terra. Chissà perché, sul grande schermo gli angeli migliori sono quelli senza ali. Quelli che scendono sulla terra per insegnare agli uomini che vale la pena vivere. Come accade nell’indimenticabile La vita è una cosa meravigliosa (1946) di Frank Capra, dove l’angelo Clarence viene inviato in soccorso di un aspirante suicida. O come gli angeli di Wim Wenders in Il cielo sopra Berlino (1987) e Così lontano, così vicino (1993), che scelgono di diventare mortali per poter meglio comprendere e aiutare i loro protetti, ricordare loro l’innocenza, guarirli dall’angoscia e dalla solitudine, allontanarli dalla disperazione. «Puoi aiutarmi in questa situazione eccezionale?» chiede un personaggio all’angelo Peter Falk. La risposta è di quelle che non si dimenticano: «Cassiel, la vita è una situazione davvero eccezionale».
Angeli in cappotto, dunque, anonimi come impiegati. Sarà mai possibile? Scrive Agamben nella prefazione al suo volume: «Non soltanto i messaggeri celesti si dispongono in uffici e ministeri, ma anche i funzionari terreni acquistano a loro volta fattezze angeliche e, come gli angeli, diventano capaci di curare, illuminare, perfezionare». È quello che accade nello splendido film Le vita degli altri (2006) di Florian Von Donnersmarck. Il protagonista è una spia di Berlino Est incaricata di sorvegliare un noto scrittore per conto del regime. Spiare e deferire: il compito di un demonio, non certo quello di un angelo. Eppure, proprio immergendosi nella vita del suo sorvegliato, origliandone ogni parola e immergendosi nel calore della sua umanità, il freddo funzionario si trasformerà poco a poco in un sollecito custode. In un anonimo e silenzioso impiegato celeste.
Czeslaw Milosz, Sugli angeli (Berkeley, 1969)
Vi hanno tolto le vesti bianche,
Le ali e perfino l’esistenza,
Tuttavia io vi credo, messaggeri.
Là dove il mondo è girato a rovescio,
Pesante stoffa ricamata di stelle e animali,
Passeggiate esaminando i punti veritieri della cucitura.
La vostra tappa qui è breve,
Forse nell’ora mattutina, se il cielo è limpido,
In una melodia ripetuta da un uccello,
O nel profumo delle mele verso sera
Quando la luce rende magici i frutteti.
Dicono che vi abbia inventato qualcuno
Ma non ne sono convinto.
Perché gli uomini hanno inventato anche se stessi.
La voce – senza dubbio questa è la prova,
Perché appartiene a esseri indubbiamente limpidi,
Leggeri, alati (perché no?),
Cinti dalla folgore.
Ho udito sovente questa voce in sogno
E, cosa ancor più strana, capivo pressappoco
il dettame o l’invito in lingua ultraterrena:
è presto giorno
ancora uno
fa’ ciò che puoi.
Forse gli angeli sono emigrati in Giappone. O per lo meno spopolano da oltre una decina d’anni nel mercato dei manga. Assumendo le forme più diverse, più provocatorie e più strampalate. Talvolta l’utilizzo dell’iconografia è strumentale e l’apporto narrativo nullo o al limite del morboso (Bastard!!, Angel Sanctuary, Aquarion), ma non mancano eccezioni di tutto rispetto, che hanno segnato la storia del fumetto in Giappone.
Basti pensare a Neon Genesis Evangelion di Hideaki Hanno, una serie culto traboccante di riferimenti biblici e cabalistici fin dal titolo, dove gli angeli sono enigmatiche entità aliene che giungono dallo spazio per mettere alla prova il genere umano. La serie originale, creata nel 1995, ha completamente reinterpretato gli standard del cinema di animazione e ancora oggi è oggetto di riscritture, remake e innumerevoli emuli.
Gli angeli nipponici hanno fatto girare la testa anche ai pezzi grossi. Si vocifera ormai da anni che James Cameron – il visionario regista di Terminator e Avatar – stia lavorando al remake del manga Battle Angel Alita di Yukito Kishiro. Anche stavolta i canoni estetici dell’angelo sono totalmente reinventati: Alita è un rottame caduto dal cielo, un cyborg gettato dalla città-satellite Jeru nella sottostante città-discarica Salem. La risalita sarà lenta, difficile e… sanguinaria. Una storia cruda e dalle tinte forti, una sorta di Nikita cyberpunk armata di cuore puro che si avventura contro un mondo corrotto e spietato.
Ma il prodotto più significativo deve ancora, purtroppo, arrivare sul mercato italiano: è la serie tv Haibane Renmei (La federazione delle Ali grigie) di Yoshitoshi ABe. Una ragazza precipita dal cielo dentro una misteriosa città circondata da alte mura. Non ricorda nulla del suo passato. In seguito le spuntano due piccole ali e un’aureola sbilenca. Chi è? dove si trova? e perché nella città ci sono molte altre ragazze come lei che conducono una vita ordinaria nonostante abbiano ali e aureola? E come mai, improvvisamente come sono arrivate, scompaiono di nuovo in cielo? Una favola sorprendente, delicata e profondissima, capace di raccontare una speranza che si prolunga oltre i confini della vita.