No, non è stata una guerra e riconoscerlo, ormai nelle mani della giustizia, – senza far nomi, senza aggiungere pezzi di verità - dopo 40 anni, è troppo facile e troppo tardi. L’ammissione di Cesare Battisti, che oggi parla di «follia», ma dice di aver creduto negli anni di piombo che si trattasse di «una guerra», davanti ai Pubblici Ministeri di Milano non aggiunge nulla a quanto già accertato dalla magistratura.

Si sapeva dalle sentenze definitive dei quattro omicidi di Antonio Santoro e Lino Sabbadin commessi come esecutore materiale, e di Pierluigi Torregiani e Andrea Campagna, ordinati da mandante, ma sempre negati durante la latitanza in spregio alle vittime (cui le scuse a scoppio ritardato non possono certo bastare) e con il soprammercato degli insulti allo stato di diritto, ripetuti alla nausea con la compiacenza di intellettuali francesi e brasiliani, ma anche italiani, che hanno protetto e ancora proteggono ex terroristi alimentando la leggenda della “guerra civile”, della persecuzione politica e dei processi sommari.

Si sapeva da sempre che di terrorismo e non di guerra si è trattato, per la semplice ragione che in quel contesto di follia ideologica, le armi si sono imbracciate da una parte sola. Non avevano armi Guido Galli, Emilio Alessandrini, Girolamo Minervini, Nicola Giacumbi, Francesco Coco, avevano Codici e toghe. Non aveva armi Walter Tobagi, aveva una macchina per scrivere. Non aveva armi Fulvio Croce, aveva la legge. Non aveva armi Vittorio Bachelet, aveva una cattedra e libri e idee. Non avevano armi tutti gli altri civili rimasti per strada feriti e uccisi.

Da una sola parte di quel fronte autoproclamato si sparava, solo dall'altra parte si moriva di escuzioni sommarie, senza processo. Chi ha combattuto dal lato dello Stato lo ha fatto, coprendo i vuoti lasciati dai morti ammazzati, sempre e soltanto nel solco della forza tranquilla delle leggi normali di uno Stato democratico, dentro le aule di tribunale. Parlare di «guerra» significa reiterare la narrazione di comodo con cui si autoassolveva chi ha sparato.

L’ammissione di Battisti, meglio tardi che mai, facendo in una frase a pezzettini il cumulo di menzogne cui hanno creduto o finto di credere coloro che l’hanno coperto in questi anni e che con questa frase dovranno fare i conti di qui in poi, riconosce finalmente, in una sede legale, la correttezza della giustizia italiana, che ha agito contro l’emergenza del terrorismo senza mai ricorrere a tribunali e leggi speciali.

Che sia la presa d’atto della sconfitta o il calcolo della convenienza per limitare i danni dovendo comunque confrontarsi con quattro condanne definitive all’ergastolo da eseguire, è la prova che lo Stato, con i suoi strumenti disarmati, è stato più forte.