Il suo ciuffo è inconfondibile: è un omaggio alla Mole Antonelliana e alla Torre Eiffel, a Torino, la sua città, e a Parigi, la città delle luci. Lui è Arturo Brachetti, il mago, l’illusionista, il maestro indiscusso del trasformismo, il regista. È uno, nessuno e centomila: è tutti i personaggi in cui si cala nello spazio di pochi secondi: la dama, il cuoco, il cinese, il matador. Dalla sua casa di Torino domina la città: ha videocamere puntate sulla Mole, sul Monte dei Cappuccini, sui tetti. «Ho una vista straordinaria di una Torino da cartolina. Quando sono all’estero in tournée mi collego con casa mia: vedo il tempo che fa. Mi aiuta a superare la nostalgia».
A 11 anni suo padre la iscrisse in seminario: ma il giovanissimo Arturo voleva fare il prete? E come ha scoperto la magia?
«Ero un bambino buono e timido, mio padre avrebbe voluto fare lui il seminario – aveva frequentato un anno ma poi era scoppiata la guerra – quindi ha detto: “Mettiamolo lì e vediamo cosa succede. Intanto studia decentemente”. In effetti ho studiato, e molto bene: c’erano anche tantissime attività stimolanti, teatro, spettacoli di magia, letture che si registravano per i pranzi e le cene in refettorio. Io ero sacrista, quindi mi occupavo anche dell’allestimento delle cerimonie religiose, studiavo le coreografie delle liturgie. Facevamo anche le pulizie, ogni giorno mezz’ora di primo mattino, pulivamo a turno tutto l’istituto, a squadre». È in seminario che il giovanissimo Arturo conosce Silvio Mantelli, futuro prete allora ventenne, poi diventato il Mago Sales, che a Cherasco in Piemonte ha creato il Museo della Magia ispirato a don Bosco: «All’epoca don Silvio era uno dei chierici che ci tenevano a bada, ma aveva una peculiarità: faceva i giochi di prestigio. Aveva una stanza piena di libri e oggetti per le magie: quando mi ha dato una copia della chiave ho passato lì tante ore dell’adolescenza. Gli facevo da assistente e così giravo negli altri istituti religiosi e nei collegi. Don Bosco ha sempre sostenuto il teatro come approccio terapeutico alla timidezza e a tante cose: devo dire che con me ha funzionato. Mi travestivo per fare i giochi di prestigio: il travestimento mi aiutava ad andare in scena, mi dava coraggio. Pian piano ho iniziato a sviluppare un mio piccolo repertorio».
Ma lei crede, Arturo?
«Sono agnostico, però spirituale. Dio, Allah, Buddha… per me è sempre uno slancio verso l’infinito: soprattutto verso l’amore universale che trovo in tutte le religioni. Alla fine l’importante è il senso religioso. Più vedo documentari scientifici, più ascolto gli stessi scienziati che, a un certo punto, devono fermarsi e ammettere che, dietro, c’è un grande progetto. E questo mi consola. Anche se non credo a inferno, paradiso e purgatorio. La vita dopo la morte non mi cambia, a me basta essere parte di questo progetto meraviglioso che spero possa continuare anche solo come coscienza collettiva. Credo nel karma, che non è tipicamente cattolico: per i buddhisti è simile alla divina provvidenza. Di fatto è la buona stella per chi è ateo. Sono convinto che se fai il bene ti torna sempre indietro e credo nel lato buono delle persone e degli eventi: anche quando le cose non vanno bene, capisci poi che nel disegno del destino o, per chi crede, in quello del tuo percorso creato da Dio, c’è un perché. Forse ti serviva da lezione, forse non era il momento giusto e non eri maturo: il mio lavoro è fatto di montagne russe ma i down, i periodi difficili, servono sempre per risalire».
Ha successo da anni, il pubblico la segue e le vuole bene: sente ancora la necessità di migliorare?
«Sempre. La cosa straordinaria è che imparo cose nuove ancora adesso e mi piace moltissimo. Quando nel 2004 soffrivo di insonnia, il dottore mi disse: “Hai dell’ansia”. E io: “Dell’ansia?”. Ero a Parigi, avevo il teatro pieno, stavo bene, cosa mi mancava? Mi disse una cosa molto semplice: quando arrivi in cima a una montagna, l’hai conquistata, hai piantato la tua bandierina, c’è la banda e i tuoi amici, arriva il momento in cui pian piano se ne vanno tutti. Devi scendere dalla montagna, aspettare che si diradino le nuvole e poi vedrai che all’orizzonte ci sarà un’altra montagna più alta. Mettiti in viaggio verso quella montagna. Perché il bello della vita è il viaggio, non è l’arrivo. L’arrivo dura poco. E poi c’è una cosa che mi tormenta da sempre: sono i talenti. Ognuno di noi ha un talento, il mio è quello di far sognare: la mia vita è come una missione per perseguire quel talento. È talmente appagante che tutto il resto diventa uno sforzo di poco conto. Ma siamo tutti supereroi: se diciamo “Non sono bravo a più”… stiamo mentendo. Magari quella marcia in più non è quella che vorremmo: dobbiamo accettare la nostra missione, abbracciarla e perseguirla. E finché c’è il viaggio si impara. Come diceva lo scrittore e sceneggiatore Marcello Marchesi: facciamo in modo che la morte ci trovi vivi».
Nella sua vita ci sono delle magie?
«Per me sono le occasioni che la vita mi offre per cambiare, imparare, per salire un gradino più su. A volte queste coincidenze le trovo magiche, ma non lo sono: fanno parte del disegno della divina provvidenza. Se tu cerchi una cosa in maniera costante dopo un po’ la trovi. Se ti poni verso gli altri esseri umani a braccia aperte, gli altri, superata la reticenza, ti accolgono e a loro volta ti offrono delle cose. Offri, dai e ti sarà dato. Il bene, l’attenzione, l’affetto, l’ascolto. Se ti poni in ascolto, il suono, prima o poi, arriva».
Un ciuffo famoso in tutto il mondo
La carriera di Brachetti comincia a Parigi dove riporta in auge l’arte del trasformismo lanciata da Leopoldo Fregoli negli anni Trenta. Maestro di trasformismo, comicità e illusionismo, oggi è conosciuto in tutto il mondo. Con il suo famoso ciuffo si è cimentato anche come regista e direttore artistico. Ha diretto spettacoli e concerti in Italia e all’estero. Da ricordare anche il rapporto “storico” con il trio comico di Aldo, Giovanni e Giacomo, di cui è stato il regista teatrale dagli esordi fino a oggi. Nel 2014 ha ricevuto il premio Mandrake d’Or alla carriera, l’Oscar degli illusionisti. Qui sotto: al museo delle cere Grévin di Parigi con la sua statua.
CHI É
Età 65 anni
Professione Attore e trasformista
Formazione Ha studiato in seminario a Torino
Fede Si definisce un uomo spirituale