«Penso al popolo del Nicaragua che soffre per l’attentato alla cattedrale di Managua dove è stata molto danneggiata, quasi distrutta, l’immagine tanto venerata di Cristo che ha accompagnato e sostenuto durante i secoli la vita del popolo fedele». Papa Francesco esprime la sua vicinanza ai «cari fratelli nicaraguensi» e prega per loro. Poi, dopo aver ricordato la ricorrenza del «“Perdono di Assisi”, il dono spirituale che San Francesco ottenne da Dio per intercessione della Vergine Maria», allarga «il pensiero a tutti quanti sono collegati» augurando «che in questo periodo molti possano vivere qualche giorno di riposo e di contatto con la natura, in cui ricaricare anche la dimensione spirituale. Nello stesso tempo auspico che, con l’impegno convergente di tutti i responsabili politici ed economici, si rilanci il lavoro: senza lavoro le famiglie e la società non possono andare avanti. Preghiamo per questo perché è e sarà un problema della post pandemia: la povertà, la mancanza di lavoro e ci vuole tanta solidarietà e tanta creatività per risolvere questo problema».
Prima dell’angelus aveva sottolineando, parlando dell’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci, che la logica di Gesù è l’attenzione all’altro. «Attraverso questa situazione, vuole educare i suoi amici di ieri e di oggi alla logica di Dio: qual è la logica di Dio che vediamo qui? La logica del farsi carico dell’altro, la logica del non lavarsene le mani, di non guardare dall’altra parte. Quello del “si arrangino” non entra nel vocabolario cristiano».
E, spiega, «non appena uno dei Dodici dice, con realismo: “Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!”, Gesù risponde: “Portatemeli qui”. Prende quel cibo tra le sue mani, alza gli occhi al cielo, recita la benedizione e comincia a spezzare e a dare le porzioni ai discepoli da distribuire. E quei pani e quei pesci non finiscono, bastano e avanzano per migliaia di persone».
Non si tratta di manifestare una potenza spettacolare, ma di dare un segno «della carità, della generosità di Dio Padre verso i suoi figli stanchi e bisognosi. Egli è immerso nella vita del suo popolo, ne comprende le stanchezze e i limiti, ma non lascia che nessuno si perda o venga meno: nutre con la sua Parola e dona cibo abbondante per il sostentamento. In questo racconto evangelico è evidente il riferimento all’Eucaristia, soprattutto là dove descrive la benedizione, la frazione del pane, la consegna ai discepoli, la distribuzione alla gente. Va notato come sia stretto il legame tra il pane eucaristico, nutrimento per la vita eterna, e il pane quotidiano, necessario per la vita terrena. Prima di offrire sé stesso come Pane di salvezza, Gesù si cura del cibo per coloro che lo seguono e che, pur di stare con Lui, hanno dimenticato di fare provviste. A volte si contrappone spirito e materia, ma in realtà lo spiritualismo, come il materialismo, è estraneo alla Bibbia». Il linguaggio della Bibbia, invece, è la compassione. E «la tenerezza che Gesù ha mostrato nei confronti delle folle non è sentimentalismo, ma la manifestazione concreta dell’amore che si fa carico delle necessità delle persone. E noi siamo chiamati ad accostarci alla mensa eucaristica con questi stessi atteggiamenti di Gesù: compassione dei bisogni altrui: Questa parola che si ripete nel Vangelo quando Gesù vede un problema, una malattia, la gente senza cibo: “ne ebbe compassione”. La compassione è patire con, prendere su di noi i dolori altrui, forse ci farà bene oggi domandarci io ho compassione, quando vedo le notizie della guerra, della fame, della pandemia? Io ho compassione di quella gente, della gente che è vicino a me, sono capace di patire con loro o guardo da un’altra parte, che si arrangino». Ed esorta: «Non dimenticare la parola “compassione” e la fiducia nell’amore provvidente del Padre che è coraggiosa condivisione».