Il disegno di legge governativo per l’Autonomia differenziata, cosiddetto Ddl Calderoli dal nome del proponente leghista Roberto Calderoli, è stato approvato in seconda lettura alla Camera con 172 voti favorevoli, 99 contrari e un astenuto, dopo una maratona notturna il 19 giugno.
Che cosa si propone la legge
Si tratta di una legge procedurale (questo spiega perché non ha le procedure previste per la modifica della Costituzione) in 10 articoli che definisce le procedure legislative e amministrative da seguire per attuare il terzo comma dell’art. 116 della Costituzione, dove prevede la possibilità di attribuire «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» alle Regioni a statuto ordinario che ne facciano richiesta. Siamo nell’ambito del cosiddetto Titolo V oggetto nel 2001 di una riforma che tanto ha fatto discutere negli anni per le potenziali sovrapposizioni di potestà legislativa tra Stato e Regioni.
Come si provvede all’attribuzione e quali sono le materie
Per l'attribuzione delle competenze legislative serve una legge dello Stato «sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata». Le materie sono quelle che l’articolo 117 della Costituzione definisce di legislazione “concorrente”: «Rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale».
A queste si aggiungono tre materie su cui l’esclusiva legislativa spetta allo Stato: «organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».
REQUISITI MINIMI E RISCHIO FRAMMENTAZIONE
Il fatto che una Regione possa chiedere maggiore autonomia su così tante materie anche tutte insieme ha suscitato la preoccupazione che il meccanismo possa frammentare lo Stato arrivando ad amplificare già presenti differenze nei servizi. Si pensi a sanità e istruzione. Anche perché i casi in cui sono stati scritti accordi preliminari sono esempi di richieste ampie: il Veneto ha chiesto autonomia rafforzata in tutte e 23 le materie, la Lombardia in 20, l’Emilia Romagna in 16. Un elenco molto ampio che comprende materie di rilevanza nazionale e persino internazionale. Vero è che il Decreto stabilisce che «l'attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla Costituzione (Lep) e riguardanti tutte le Regioni del Paese». In particolare si prevede una fissazione di Lep - ci saranno due anni di tempo attraverso decreti attuativi – in materia di istruzione, ambiente, sicurezza sul lavoro, ricerca scientifica e tecnologica, salute, alimentazione, ordinamento sportivo, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e navigazione, comunicazione, energia, e beni culturali. Ma molti dei dettagli sul punto restano da scrivere.
IL NODO DEL FINANZIAMENTO
Resta, tra le altre cose, aperto il nodo del finanziamento dell’autonomia differenziata, che secondo il Ddl dovrebbe avvenire senza ulteriori aggravi per la finanza pubblica: diversi analisti vi vedono rischi di sostenibilità economica a livello nazionale e di diseguaglianza tra i territori, nonché il pericolo che possa prodursi un aggravio della burocrazia. «Il trasferimento delle nuove funzioni alle Regioni ad autonomia differenziata (Rad) – si legge nella Memoria della Banca d’Italia trasmessa al Senato nel giugno scorso «comporta la devoluzione di una quota di gettito erariale potenzialmente significativa e, contestualmente, la perdita di controllo da parte del governo centrale di settori rilevanti della spesa pubblica. Bisognerà assicurare che la gestione del bilancio in funzione anticiclica non ne risenta; tutte le Regioni dovrebbero contribuire alla sostenibilità dei conti, al rispetto dei vincoli di bilancio costituzionali (artt. 81 e 97 Cost.) e di quelli europei. Tra i principi enunciati nel Ddl vi è quello dell’iniziale bilanciamento tra entrate e spese trasferite, in modo da rendere neutrale almeno nell’immediato l’impatto del riassetto delle competenze sui saldi di finanza pubblica. Il rischio che da tale processo possano derivare maggiori oneri per il bilancio pubblico, tuttavia, non può essere trascurato. Come già ricordato, la spesa complessiva potrebbe risentire della frammentazione nell’erogazione dei servizi pubblici, oltre che di maggiori costi dovuti a diseconomie di scala».
PRO E CONTRO
Chi sostiene la riforma ritiene che in questo modo si dovrebbe garantire una migliore aderenza tra servizi ed esigenze specifiche dei territori, anche perché si presume che un criterio di “vicinanza” responsabilizzi maggiormente in termini di ricadute sul consenso i decisori locali, chi la critica teme invece che la riforma nasconda il pericolo di disgregare il Paese, esacerbando e istituzionalizzando di fatto le differenze economiche, politiche, sociali, che già ci sono tra una regione e l'altra.
SALUTE, IL TEMA PIÙ DELICATO
Il tema della salute, che già rappresenta una delle voci più significative nei bilanci regionali, è quello che più suscita dibattito. Durante l’emergenza Covid si era posto il problema della difficoltà di fronteggiare un’emergenza globale con un sistema sanitario già largamente affidato alle autonomie regionali, e di fatto a più velocità, ora la preoccupazione di molti è che un’autonomia rafforzata possa ulteriormente consolidare le differenze tra Regioni più facoltose e meno, anche in termini di diversa possibilità di accesso ai servizi da parte di cittadini di regioni diverse, il timore che l’autonomia differenziata si traduca in un aumento delle diseguaglianze è il tema politicamente più sensibile.
«Bisognerà trovare la maniera che le due cose si raccordino», ha sottolineato il cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, interpellato dai giornalisti sul tema – da un lato cura, diritti e dignità dei malati; dall’altro progetti di autonomia – perché “ne va della dignità della persona e del suo benessere totale, fisico e spirituale. Qualsiasi organizzazione si possa pensare, bisogna però mettere alla base questi principi», altrimenti «fallisce». Gimbe, Fondazione indipendente che analizza i dati della sanità, paventa il rischio che l’autonomia differenziata si traduca nella «legittimazione normativa della “frattura strutturale” Nord-Sud, che compromette l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute, aumenta la dipendenza delle Regioni meridionali dalla sanità del Nord e assesta il colpo di grazia al Servizio Sanitario Nazionale». Tanto che aveva chiesto prima del voto al Senato di espungere la salute dalle materie su cui si possa chiedere un aumento dell’autonomia, richiesta che non ha trovato accoglienza.
Stessa richiesta, pure non accolta, aveva fatto l'Anief, associazione nazionale insegnanti e formatori, che riunisce figure diverse del personale della scuola: manifestando la preoccupazione condivisa da diverse sigle sindacali del settore, che possa crescere il divario scolastico nord-sud, che le prove invalsi danno già ora di anno in anno progressivamente in crescita. Altri hanno esposto la preoccupazione che la nuova autonomia possa compromettere, se non di diritto di fatto, il valore legale dei titoli di studio.
Le preoccupazioni dei Vescovi
Sul tema il 22 maggio scorso erano intervenuti anche i Vescovi con una nota approvata dal Consiglio Episcopale Permanente nel corso dei lavori della 79ª Assemblea Generale
«Il progetto di legge con cui vengono precisate le condizioni per l’attivazione dell’autonomia differenziata – prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione – », si leggeva nella nota, «rischia di minare le basi di quel vincolo di solidarietà tra le diverse Regioni, che è presidio al principio di unità della Repubblica. Tale rischio non può essere sottovalutato, in particolare alla luce delle disuguaglianze già esistenti, specialmente nel campo della tutela della salute, cui è dedicata larga parte delle risorse spettanti alle Regioni e che suscita apprensione in quanto inadeguato alle attese dei cittadini sia per i tempi sia per le modalità di erogazione dei servizi».
I rilievi dell'Unione europea in tema di diseguaglianze e finanze pubbliche
La riforma dell'autonomia differenziata, solo per una coincidenza approvata lo stesso giorno dell'uscita del Country Report, ha suscitato anche un rilievo non secondario da parte della Commissione europea: lo si trova nella parte dedicata all'Italia contenuta nella relazione che accompagna il documento "Raccomandazione", per una Raccomandazione del Consiglio sulle politiche economiche, sociali, occupazionali, strutturali e di bilancio dell'Italia. «La devoluzione di ulteriori competenze alle regioni italiane», si legge nel Country Report Italia, con riferimento al riforma al momento della stesura del Rapporto in corso di approvazione, «comporta rischi per la coesione e le finanze pubbliche. Nel gennaio 2024, il Senato ha approvato la legge quadro per l'attuazione dei livelli di autonomia livelli differenziati di autonomia delle regioni a statuto ordinario, che potranno potranno richiedere fino a 23 competenze aggiuntive competenze aggiuntive e trattenere le relative risorse corrispondenti attraverso negoziati bilaterali con il Governo centrale. Il progetto di legge (...) prevede alcune garanzie per le finanze pubbliche, come valutazioni periodiche delle capacità fiscali capacità fiscali regionali e requisiti per i contributi regionali per raggiungere gli obiettivi fiscali nazionali. Inoltre, le regioni potranno richiedere competenze aggiuntive solo competenze aggiuntive solo dopo aver definito i corrispondenti "livelli essenziali di servizi" (LEP) nelle aree interessate. aree interessate. La proposta di legge stabilisce anche l'obbligo di garantire la coesione coesione territoriale sia in ambito economico che sociale. Tuttavia, mentre il progetto di legge assegna al governo specifiche prerogative nel processo di negoziazione, non fornisce un quadro comune per per valutare le richieste regionali di competenze aggiuntive. Inoltre, poiché i LEP assicurano solo livelli minimi di servizi minimi e non riguardano tutti i settori settori, vi è ancora il rischio di aumentare disuguaglianze regionali. La devoluzione di poteri aggiuntivi alle regioni su base differenziate aumenterebbe anche la complessità istituzionale, comportando il rischio di rischio di costi più elevati sia per il settore pubblico che per quello settore privato».
Contenzioso Stato-Regioni, quali effetti? Quali controlli?
Sulla carta la quantità aumentata (ma variabile secondo la richiesta delle Regioni) di competenze trasferite e trasferibili alle Regioni potrebbe prestarsi ad accrescre anche il contenzioso legale Stato-Regioni davanti alla Corte costituzionale, già aumentato sensibilmente con la riforma del Titolo V del 2001, a causa dei conflitti di competenza legislativa che si sono venuti a creare e che hanno fatto lievitare i ricorsi dell’autorità centrale contro “straripamenti” regionali.
In realtà questo contenzioso, stando alla Relazione annuale del presidente Barbera, accompagnata da una Relazione del Servizio Studi, è diminuito sensibilmente di recente. In un intervento, del 1 aprile scorso, sulla rivista Diario di diritto pubblico, Giorgio Repetto, associato di Istituzioni di Diritto pubblico a Perugia, analizzando la questione, spiega che «La flessione del numero dei ricorsi in via principale» è «ricondotta a “meccanismi di raccordo politico” che favoriscono il raggiungimento di accordi tra Stato e Regioni volti a mediare in sede politica i conflitti di competenza, così da scongiurare la formale impugnazione di fronte alla Corte costituzionale, soprattutto ad opera del Governo nei confronti delle leggi regionali».
Nel corso del tempo sono state diverse le direttive andate in questa direzione, l’ultima firmata dalla presidente del Consiglio nell’ottobre 2023. L'analisi osserva che la valenza in sé positiva della riduzione del contenzioso può contenere un’insidia, perché i dati parlano di una sensibile progressiva riduzione di circa 2/3 delle impugnazioni di leggi regionali da parte del Governo centrale, tra il 2022 e oggi, a fronte di un numero di proposte di impugnativa rimasto invariato. Cosa che induce Repetto a sollevare una domanda conclusiva: «Ci si può chiedere se, ferma restando la condivisibilità dell’obiettivo di riduzione del contenzioso nella materia in questione, sia da accogliere con favore l’orientamento governativo che rinunci a esercitare oltre misura compiti di cruciale rilievo come l’impugnazione delle leggi regionali e, comunque, il monitoraggio sul rispetto degli impegni assunti. Un compito in cui viene in gioco il rispetto della Costituzione a fronte dell’esercizio di poteri legislativi regionali talvolta difficilmente sindacabili per altre vie, ad esempio perché riguardanti leggi di spesa, il rispetto di criteri contabili o misure di carattere esclusivamente organizzativo». Il rischio potrebbe essere quello che, lasciate a briglie lente dal centro, le Regioni in autonomia differenziata si prendano più spazio di quello formalmente loro assegnato? Lo potranno dire il tempo e un monitoraggio tempestivo (se ci sarà).
Che cos'è la promulgazione e come bisogna leggerla
La legge sull’autonomia regionale differenziata è stata promulgata il 26 giugno dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, senza messaggi di accompagnamento: al di là dei tentativi, che pure ci sono stati da opposte parti, di "tirare per la giacca" il presidente attribuendo alla firma, in tempi ordinari, indebite valenze di approvazione-disapprovazione implicita, l'atto, di prassi, significa soltanto che la norma non presenta manifesti profili di illegittimità rispetto alla Costituzione: si tratta del resto di una legge soltanto procedurali, che non effettua automatici trasferimenti di funzioni tra Governo centrale e Regioni, che potranno avvenire solo dopo intese tra Stato e Regioni da approvare con altre leggi. Si tratta di una cornice con molti punti da riempire, tra questi certo il nodo dei Livelli essenziali che andranno normati successivamente. La prumulgazione in sé non impedisce né favorisce il fatto che rilievi di costituzionalità possano sorgere successivamente in fase applicativa: ma a quel punto il vaglio toccherebbe nel caso alla Corte costituzionale su rinvio di un giudice ordinario.
PERCHÉ SI PARLA DI REFERENDUM
Non trattandosi, come spiegato all'inizio di modifica costituzionale, la legge sull'Autonomia differenziata non prevede il referendum confermativo. Perché allora si parla ugualmente di referendum? Accade perché è partito l'iter per richiedere un referendum abrogativo. Previsto della Costituzione per qualsiasi legge, richiede preliminarmente, perché possa essere proposto, o la delibera di 5 Consigli regionali o una raccolta di 500mila firme tra i cittadini. Con l'approvazione del Consiglio regionale della Puglia avvenuta il 23 luglio, le cinque Regioni pronte a chiedere il referendum abrogativo ci sono già e nel frattempo, sostenuta dalle opposizioni, è partita anche la raccolta firme, con l'iniziativa id 500020 - Referendum abrogativo (art. 75 Costituzione), di cui dà conto il sito del Ministero della Giustizia, secondo le regole: chi firma - anche online tramite Spid, Cie (carta di identità elettronica) o Cns (Carta Nazionale dei servizi), chiede che che si chiamino i cittadini a un refeferendum abrogativo con il seguente testo: «Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, “Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione”?».
A differenza di quelli confermativi per le leggi costituzionali, il referendum abrogativo quando si svolge prevede un quorum: perché l'esito sia valido non basta la maggioranza dei voti validi ma è necessario che vada a votare il 50% +1 degli aventi diritto.