Ci sono due leggende metropolitane da
sfatare quando si parla di gioco d'azzardo. La prima, dura a
morire, è che lo Stato guadagna sempre di più. La seconda,che si sta facendo largo grazie anche ad alcuni media, è che gli italiani a
causa della crisi giocano di meno. Due miti, appunto, smentiti
clamorosamente dalla realtà e dai numeri. Cominciamo dal primo.
Un buco di oltre un miliardo – Nel 2012, a fronte di una previsione di
circa 10 miliardi di euro, lo Stato dovrebbe incassare dal settore del gioco
(escluso ovviamente quello illegale e in nero) circa 7 miliardi e 100 milioni
di euro a fronte degli 8 miliardi e 700 milioni del 2011. Il condizionale è
d'obbligo perché i dati ufficiali non sono stati ancora resi noti da parte dei
Monopoli di Stato nonostante il flusso sia monitorato con reti informatiche e
quindi, in teoria, i dati dovrebbero essere già pronti per la diffusione
ufficiale.
«Secondo alcune mie stime l'Erario dovrebbe aver perso tra il
2012 e il 2011 un miliardo secco di euro», spiega il sociologo Maurizio
Fiasco della Consulta Nazionale Antiusura, «secondo stime ufficiose che
circolano, e non sono state smentite, la perdita sarebbe addirittura di 1
miliardo e 600 milioni di euro, pari a un quarto del gettito dell'Imu. Lo
Stato, insomma, ha dovuto compensare con l'Imu il mancato incasso derivato dal
gioco».
Boom della spesa pro capite nel 2012 – Se lo Stato ha incassato di meno
– è il sillogismo di molti – significa quindi che effettivamente gli italiani
hanno giocato di meno a causa proprio della crisi. Ecco quindi che i conti
tornano. Non è così. I numeri, anche in questo caso, parlano fin troppo chiaro:
per inseguire la Dea Bendata gli italiani nel 2011 hanno speso in totale
quasi 80 miliardi di euro (79,9), ad ottobre 2012 la spesa è arrivata a quota
87 miliardi di euro con la previsione che a fine anno la somma sia lievitata
ulteriormente. Mancano i dati del "conguaglio finale, ma la spesa
rispetto all'anno prima è aumentata di circa il 20 per cento.
Un crescendo,
peraltro, che la crisi non ha neppure sfiorato.
Nel 2008, l'anno dell'inizio della recessione con lo scoppio della bolla dei
subprime negli Stati Uniti, la spesa pro capite degli italiani per il
gioco è stata di 809 euro, nel 2009 è salita a 922, nel 2010 a 1024 euro, nel
2011 a 1326 e nel 2012 a 1410 euro.
Non solo, ma più gli italiani giocano, meno lo Stato incassa. Come mai? I
motivi sono diversi.
Il più importante è che si è passati dai giochi sui quali lo Stato incassava
molto (Lotto, Superenalotto, slot machines fisiche) ai giochi online dove
l'Erario incassa poco e niente. Qualche esempio: in questo tipo di giochi,
caratterizzati da bassa frequenza (estrazione settimanale, mensile o
addirittura annuale come la Lotteria Italia) su 1000 euro giocati lo Stato ne incassa
500, su 2000 ne prende 1000. Proporzionalmente, quindi, l'introito cresce.
Questo perché la tassazione su questo tipo di gambling è più alta rispetto ai
giochi online. Emblematico, spiega Fiasco, il caso delle slot machines. Su
quelle fisiche, le macchinette installate nei locali e nei bar, la tassazione è
del 12,5 per cento, le slot online invece sono tassate al 2 per cento, proprio
perché online la frequenza di gioco aumenta vertiginosamente. Quello che si
ricava deve a sua volta essere ripartito tra Stato e concessionari in
proporzioni diseguali, meno allo Stato e più ai concessionari.
Un confronto tra
il 2001 e il 2012 la dice lunga. Nel 2001 gli italiani avevano speso per
giocare 19 miliardi e mezzo di euro e le entrate erariali furono di 5,4 miliardi.
Pochi, in proporzione. Nel 2012, a fronte di una spesa di 84 miliardi di euro,
lo Stato ne ha racimolati appena tre in più: 8,4.
Si gioca di più, si vince di meno - Nel comparto dell'online, inoltre, bisogna poi distinguere tra i giochi interamente online e i giochi tradizionali nella loro versione online (c'è il Bingo nelle sale bingo e il Bingo su Internet, c'è il Lotto nelle ricevitorie e quello online, ci sono le slot machine fisiche e quelle online).
Il meccanismo cambia profondamente dai giochi tradizionali a quelli online. «Qui», spiega Fiasco, «affinché l'Erario (e i concessionari) incassino un po' di più, deve crescere in proporzione sempre di più anche il volume complessivo di giocate». E così, infatti, avviene. Una singola operazione di gioco su una macchinetta dura appena sei secondi, nelle slot online si scende a un secondo e mezzo.
Se Stato e concessionari incassano di meno – ecco l'altro sillogismo – significa quindi che si sono ridotti i margini di guadagno e vengono destinati più soldi al montepremi. E di conseguenza si gioca di più ma si vince anche di più. «È vero», ammette Fiasco, «che lo Stato per far giocare di più ha dovuto incrementare le quote irrisorie che vengono restituite ai giocatori sotto forma di vincite pari all'80 per cento del giocato lordo. Ma si tratta appunto di microvincite che non coprono e non potranno mai coprire quello che si è speso per il gioco».
I dati anche qui sono inesorabili. Se consideriamo le vincite consistenti, quelle superiori ai 500 euro percepite come il colpo di fortuna che ti cambia la vita o quasi, nel 1994, quando il comparto online non esisteva e c'erano soltanto Totocalcio, Lotto e Lotteria Italia, le vincite complessive sono state di un 1 miliardo e 850 milioni di euro. Nel 2012, con il boom dell'online, secondo le stime, le vincite si fermano a 920 milioni di euro.
Nel '94, quindi, gli italiani giocavano di meno e vincevano il doppio rispetto ad oggi. Oggi giocano molto di più e vincono di meno. Le quote destinate ai vari montepremi sono sì state aumentate ma non sono altro che uno specchietto per le allodole. Servono soltanto a illudere chi gioca che, come recita la pubblicità, "si vince facile, spesso e subito". Ma alla fine il saldo tra spesa e vincita è sempre negativo per chi gioca.
Le microvincite servono unicamente ad alimentare l'effetto aspettativa. «Se non si adottasse questo sistema», nota Fiasco, «la propensione al gioco degli italiani dopo un po' diminuirebbe o potrebbe addirittura scomparire. Invece, così facendo, non diminuisce perché i milioni di giocatori fanno esperienza di piccole e frequenti vincite che però non superano mai quello che si è giocato».
In pratica, se io gioco puntando al premio consistente e questo premio non esce mai è evidente che alla lunga mi stancherò di giocare e abbandonerò tutto. Se io invece gioco e ogni tanto vinco anche delle piccole somme sono indotto a continuare perché, prima o poi, mi aspetto di realizzare la super vincita. La morale, sottolinea Fiasco, «è che non si gioca più per vincere ma si gioca per continuare. E questo lo si fa attraverso il meccanismo di gioco basato su altissima frequenza (puntate a raffica nelle slot online, Gratta e Vinci...) e continue micro restituzioni».
Assistenza di Stato - Un gioco, è proprio il caso di dire, perverso. Che ha effetti devastanti e alla lunga insostenibili: una fetta consistente di popolazione è stata "arruolata" al gioco compulsivo e patologico con tutte le conseguenze sociali che questo comporta. Lo Stato, che nel frattempo ha creato un Osservatorio per le ludopatie, per alimentare questa vera e propria bolla ha caricato sulla fiscalità pubblica il sostegno al settore del gioco. E sostegno significa che mentre in altri settori le tasse a carico dei cittadini sono aumentate, a cominciare dall'Iva, nel business del gioco si è arrivati alla defiscalizzazione estrema, ossia "tasse zero", soprattutto per i giochi online. Per l'esattezza 0,53 per cento di prelievo sul poker e 0,61 per cento sui casinò online. E questo, in un effetto a catena, ha determinato un buco nelle casse dell'Erario di circa un miliardo e mezzo di euro. Da biscazziere, quindi, lo Stato è diventato un giocatore patologico che non è più in grado di fermare il sistema e perde sempre. E, con lui, perdono le famiglie e l'economia.