Il toto-ministri che gira in queste ultime ore è lo specchio delle
difficoltà politiche in cui naviga Pier Luigi Bersani per arrivare alla
formazione di un nuovo governo. Un governo, annuncia il presidente incaricato, “sobrio, innovativo, aperto”, non
più di quindici ministri (Matteo Renzi - che attende dietro l'angolo di Firenze - alle primarie ne annunciava addirittura dieci). Insomma,
quasi una rappresentanza civica, sul modello della precedente rappresentanza di Mario Monti. Un
governo di tecnici che governo di tecnici non lo si può chiamare, visto che a febbraio ci sono state le elezioni. Il motivo di questa soluzione ibrida è
molto semplice: il presidente del Consiglio incaricato - che alla Camera ha la maggioranza assoluta - per far galleggiare il suo governo deve ricorrere ad almeno una quarantina di senatori del Movimento a
Cinque Stelle. E i senatori di Grillo, si sa, non gradiscono scelte partitiche. Dunque la politica, nonostante ci siano state regolari consultazioni, non
può che fare timidamente capolino. Di conseguenza, a parte il fedelissimo Vasco Errani e forse Enrico
Letta, i nomi del toto-ministri vengono tutti “dalla società civile”. Proprio
per convincere Grillo e Casaleggio o almeno una parte dei loro senatori. Nomi nuovi ma conosciuti, dell'area del Centrosinistra senza essere di Centrosinistra. Una sorta di sinistra indipendente da Prima Repubblica al passo coi tempi, geneticamente modificata. Questa è la pazientissima strategia politica inedita di Bersani, che prevede - paradossalmente - proprio la rinuncia alla politica. Qualcuno la chiama "metodo Boldrini-Grasso", dalla strategia con cui sono stati eletti i presidenti della Camera e del Senato (vale a dire con il voto di un folto gruppo di parlamentari di M5S).
Ed ecco così che della lista fanno parte l’economista Lucrezia Reichlin o Pier
Carlo Padoan, capo dell'Ufficio studi dell’Ocse, per il ministero dell’Economia. Al
Viminale Bersani vedrebbe volentieri la conferma della Cancellieri, mentre alla
Giustizia si è fatto il nome di Roberto Saviano. Tra i tecnici fino a ieri
brillava la stella di Fabrizio Saccomanni, direttore generale di Bankitalia
(“gradito alle cancellerie e agli ambienti finanziari europei”), ma l'ipotesi sembra sfumata. Vi è poi un
nutrito drappello di costituzionalisti: Valerio Onida, Gustavo Zagrebelsky,
Stefano Rodotà. Si pensa a Miguel Gotor e Salvatore Settis all’Istruzione. E
naturalmente anche per le quote rosa si ricorre a nomi della società civile: Maria Chiara Carrozza, Alessia Mosca, la
filosofa Michela Marzano alle Pari Opportunità. Per dar sapore a questo governo
si fa il nome del fondatore di Eataly Oscar Farinetti e del patron di Slow Food
Carlin Petrini all'Agricoltura o all'Ambiente. Sempre nella stessa ottica ecco affacciarsi la regina delle
inchieste Milena Gabanelli. Solo per gli Esteri il favorito è Mario Monti, seguendo il copione della Prima Repubblica che riservava
ad alte personalità politiche, di solito ex premier, il vertice della
diplomazia.
Qualcuno fa anche il nome del fondatore del Censis Giuseppe De Rita,
80 anni, che ha al suo attivo una lunga lista di no: no alla candidatura di
sindaco di Roma, no ad incarichi di ministri ed assessori, no a candidature in
Parlamento ed Europarlamento. Bersani procede sulla stretta via, sapendo che
questo governo – se nascerà - sarà tutto un entrare e un uscire dall’aula – a seconda
delle leggi da votare – da parte dei deputati di Grillo e Casaleggio. Non una
grande prospettiva dal punto di vista della stabilità, ma pur sempre una prospettiva di governo.