Un cappello da alpino, un camice bianco, un mazzo di fiori: oggetti semplici ma carichi di significati profondi e per questo capaci di raccontare una vita straordinaria. Ecco i doni portati all'altare durante la celebrazione di beatificazione di fratel Luigi Bordino, religioso della Congregazione di san Giuseppe Cottolengo, nato a Castellinaldo (in provincia di Cuneo) nel 1922 e morto a Torino nel 1977. La sua esperienza umana si riallaccia a quella dei “santi sociali” che da quasi due secoli animano la Chiesa piemontese.
«Sull'esempio del buon samaritano si dedicò totalmente al servizio dei più poveri»: con queste parole la lettera apostolica di papa Francesco concede che fratel Luigi «sia d'ora in poi proclamato beato e che si possa celebrare la sua festa, nei luoghi e secondo le regole stabilite dal diritto, ogni 25 agosto».
E' l'ultimo atto di un processo iniziato quasi trent'anni fa. Tra le testimonianze esaminate, anche quella di suor Maddalena Berruto, guarita da un carcinoma vescicale (in modo inspiegabile per la scienza) dopo aver chiesto l'intercessione di fratel Luigi. I commilitoni e i compagni di prigionia in Siberia lo ricordano per l'incrollabile speranza, per la capacità di infondere coraggio a chi aveva perso ogni fiducia, ma anche per la dedizione con cui si prendeva cura dei feriti e dei malati, rischiando spesso la vita. A Torino gli ospiti del Cottolengo lo conoscevano come il “gigante buono”, robusto di corporatura e di animo incredibilmente mite, sempre pronto a servire e aiutare chi soffriva, cominciando dai gesti più umili e quotidiani. Un contadino, un soldato, un consacrato, un infermiere: ci sono tante tappe nella vita di quest'uomo umile e di poche parole. E tutte sono segnate dal tratto inconfondibile dell'amore per gli ultimi.
La cerimonia di beatificazione, presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, si è svolta a Torino, nello spazio antistante la chiesa del Santo Volto: vi hanno partecipato quasi 4.000 fedeli. Nelle prime file c'erano tante “penne nere” giunte da tutto il Piemonte, ma soprattutto tante persone malate e disabili, gli amici prediletti di fratel Luigi. «Sacrificio, dedizione, modestia, generosità, affabilità sono tutte piccole virtù che fioriscono sull'albero santo della carità», ha osservato il cardinale Amato durante l'omelia, «è questa l'eredità che fratel Bordino ci lascia, non a parole ma attraverso il suo luminoso esempio».
Il cardinale ha poi sinteticamente ripercorso la vita del beato: l'adolescenza già animata da saldi princìpi cristiani «perché la santità non si improvvisa, ma ha radici solide nel terreno buono»; la partecipazione alla tristemente nota campagna di Russia e l'esperienza terribile della deportazione in un gulag, che tuttavia fratel Luigi riuscì a trasformare in occasione di servizio e di preghiera. Poi il ritorno a casa e il desiderio di consacrarsi interamente a Dio con i fratelli del Cottolengo, il cui motto è “caritas Christi urget nos” (la carità di Cristo ci sprona). Presso la Piccola casa della Divina Provvidenza di Torino il Beato trascorse trent'anni della sua vita, dividendosi tra la preghiera e il lavoro di infermiere, prodigandosi in ogni modo per alleviare le sofferenze dei malati. Significative le testimonianze di alcuni medici, stupiti nel constatare come un uomo di estrazione contadina, apparentemente senza molta cultura, potesse rivelare all'atto pratico straordinarie capacità professionali, tanto da essere consultato nei casi più difficili.
Con uguale coraggio e abbandono a Dio fratel Luigi affrontò la sua stessa malattia: una leucemia che lo colpì negli ultimi anni. Per la famiglia cottolenghina la beatificazione ha un carattere molto speciale. E' una festa, ma anche un'ulteriore motivo di impegno: «La Chiesa riconosce le virtù di questo nostro fratello e ce lo indica come modello da seguire», ha osservato Giuseppe Visconti, superiore generale dei fratelli del Cottolengo. «A noi ora la responsabilità di saperlo imitare». E il richiamo alla carità si estende all'intera Chiesa torinese: «Stiamo vivendo mesi particolarmente densi – ha aggiunto monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino - l'ostensione della Sindone, il bicentenario della nascita di don Bosco, l'ormai imminente vista di papa Francesco. Siamo particolarmente grati al Santo Padre per averci dato la possibilità di celebrare la beatificazione in un tempo di grazia. Questo ci stimola a cercare sempre il volto di Cristo nei poveri che incontriamo».
(foto Ansa).