È il giorno del dolore, delle tenebre, della morte. Il venerdì Santo, nel triduo pasquale, è quello in cui risuona, nel silenzio generale, la domanda di Pilato: «Cos’è la verità?». Parte da qui padre Raniero Cantalamessa, predicatore della casa Pontificia, nella sua omelia per la celebrazione della Passione del Signore presieduta da papa Francesco. È il Vangelo di Giovanni che dà, al dialogo tra Gesù e Pilato, una importanza particolare. «Sei tu il re dei Giudei?», «Dunque sei Re?», sono le prime domande del procuratore romano. Le risposte di Gesù, «Dici ciò da te stesso, o altri te l'hanno detto di me?», «Io sono Re», «il mio Regno non è di questo mondo» vogliono portare Pilato a vedere più in profondità. «a rientrare in se stesso, a guardare le cose con occhio diverso, a porsi al di sopra della contesa momentanea con i giudei». Pilato intuisce, ma il «mistero che intravede nelle parole di Gesù gli fa paura e preferisce terminare la conversazione. Mormora perciò tra sé, scrollando le spalle: “Cos’è la verità?”, ed esce dal Pretorio». Accade così anche oggi, dice il predicatore. Anche noi abbiamo paura di questo mistero, preferiamo non nominare neppure Gesù, pensare a Dio come un contenitore dove possiamo mettere qualunque cosa- Ma è Gesù stesso che ci spiazza con le sue risposte: «Sono venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità», «Io sono la Verità!». Non siamo noi che decidiamo cos’è Dio, ma Dio stesso. Oggi, però, secondo padre Cantalamessa, si va anche «oltre lo scetticismo di Pilato. C’è chi pensa che non si deve neppure porre la domanda “Cos’è la verità?”, perché la verità, semplicemente, non esiste! “Tutto e relativo, nulla è certo! Pensare diversamente è intollerabile presunzione!” Non c’è più spazio per “le grandi narrazioni sul mondo e sulla realtà”, comprese quelle su Dio e su Cristo».

Si rivolge ai «fratelli e sorelle atei, agnostici o ancora in ricerca (se ce n’è qualcuno in ascolto)» e cita Soeren Kierkegaard, l’iniziatore della corrente filosofica dell’Esistenzialismo. «Si parla tanto –dice egli- di miserie umane; si parla tanto di vite sprecate. Ma sprecata è soltanto la vita di quell’uomo che mai si rese conto, perché non ebbe mai, nel senso più profondo, l’impressione che esiste un Dio e che egli –proprio lui, il suo io – sta davanti a questo Dio».

È vero che nel mondo c’è troppa ingiustizia e sofferenza per credere nell’esistenza di Dio, ma sottolinea il cardinale «quanto più assurdo e intollerabile diventa il male che ci circonda, senza la fede in un trionfo finale della verità e del bene. La Risurrezione di Gesù dai morti che celebreremo fra due giorni è la promessa e la garanzia che quel trionfo ci sarà, perché è già  iniziato con lui». Ed è per questo che anche noi non dobbiamo sprecare la nostra vita, non dobbiamo uscire dal Pretorio come fece Pilato, «con quella domanda in sospeso: “Cos’è la verità?”. È troppo importante. Si tratta di sapere se abbiamo vissuto per qualcosa, oppure invano».

Il dialogo tra Gesù e Pilato ci fa riflettere, però anche su altro. Quando il Procuratore dice a Gesù: «La tua gente e i sacerdoti ti hanno consegnato a me!» è come se dicesse: «Gli uomini della tua Chiesa, i tuoi sacerdoti ti hanno abbandonato; hanno squalificato il tuo nome con orrendi misfatti! E noi dovremmo ancora credere in te?». Padre Cantalamessa prende a prestito le parole di Tolkien, nella sua lettera al figlio, per dire che «il nostro amore potrà essere raffreddato e la nostra volontà scalfita dallo spettacolo delle deficienze, della follia, e dei peccati della Chiesa e dei suoi ministri, ma non credo che chi ha creduto davvero una volta abbandona la fede per queste ragioni, meno di tutti chi ha qualche conoscenza della storia…Ciò fa comodo perché ci spinge a distogliere lo sguardo da noi stessi e dalle nostre colpe e trovare un capro espiatorio…Penso di essere sensibile agli scandali come lo sei tu e ogni altro cristiano. Ho sofferto molto nella mia vita a causa di preti ignoranti, stanchi, deboli e a volte anche cattivi», scrive l’autore de Il Signore degli anelli. D’altra parte, ricorda il cardinale, c’era da aspettarsi questo comportamento. «Cominciò prima della Pasqua con il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Simon Pietro, la fuga degli apostoli... Piangere, allora? Si – raccomandava Tolkien al figlio -, ma per Gesù - per quello che deve sopportare lui -, prima che per noi. Piangere –aggiungiamo noi oggi – con le vittime e per le vittime dei nostri peccati».

Ed è alla luce del Vangelo che il predicatore guarda anche alle vicende di queste settimane: «Quest’anno», dice, «celebriamo la Pasqua non al suono gioioso di campane, ma con il rumore sinistro di bombe ed esplosioni devastanti che avvengono non lontano da qui. Ricordiamo quello che rispose un giorno Gesù alla notizia del sangue fatto scorrere da Pilato, e del crollo della torre di Siloe: “Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”. Se non cambiate le vostre lance in falci, le vostre spade in aratri e i vostri missili in fabbriche e case, perirete tutti allo stesso modo!». Gli eventi recenti ci hanno ricordato che «gli assetti del mondo possono cambiare da un giorno all’altro. Tutto passa, tutto invecchia; tutto - non soltanto “la beata gioventù” – vien meno. C’è un solo modo di sottrarsi alla corrente del tempo che trascina tutto dietro di sé: passare a ciò che non passa! Mettere i piedi sulla terra ferma!». Lo si può fare a Pasqua che «significa passaggio» e allora, esorta padre Cantalamessa, «passiamo a Colui che non passa. Passiamo ora con il cuore, prima di passare un giorno con il corpo!».