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Nei giorni scorsi si è tornato a parlare di cani ammessi o meno all’interno delle chiese. La cosa mi fa piacere anche se mi sembrerebbe superfluo dibatterne. In una società dove si fa di tutto per promuovere il rispetto verso ogni essere vivente, dove si fanno campagne contro l’abbandono e non si perde occasione per dire quanto un amico a quattro zampe possa aiutare a sentirsi meno soli, si discute ancora sull’opportunità o meno che i nostri cani varchino la soglia della casa di Dio.
A parte il fatto che la casa di Dio dovrebbe essere l’intero pianeta, credo che i tempi debbano adeguarsi a un cambio di costumi: i nostri fedeli amici non sono più portatori di sporcizia. I cani vivono con noi, dormono con noi, accompagnano i nostri figli nella loro crescita e ci amano incondizionatamente.
Forse si ha paura di rumori fastidiosi, come l’abbaiare improvviso, o di deiezioni inattese. Ma qui subentra la nostra educazione. Quante volte in chiesa capita di sentire bambini urlare senza che il genitore pensi di uscire per non infastidire gli altri? Ancora una volta è la nostra mancanza di educazione a creare intolleranza. Allora ben vengano preti come don Luigi Venturi – nella cui chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini a Roma i padroni possono portare i loro cani ogni volta che vogliono – che rafforzano quel prezioso legame che lega il mondo degli uomini a quello degli animali.





