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sabato 30 settembre 2023
 
dibattito
 

Cara Murgia, la complessità del Dio Bambino è una provocazione non solo per la fede

28/12/2022  Il teologo Gilfredo Marengo replica alla riflessione della scrittrice che ha sostenuto che “i cattolici amano un Dio Bambino perché rifiutano la complessità”: «Quel Bambino e la sua Famiglia sono il segno, inatteso e inimmaginabile, dell’agire salvifico di Dio tra gli uomini, da secoli atteso, ma che si compie in una forma assolutamente nuova e impensabile»

Il teologo Gilfredo Marengo
Il teologo Gilfredo Marengo

In molte parti d’Italia si usa dire che un fatto dalla brevissima vita dura – appunto - “da Natale a Santo Stefano”. È il destino che appartiene nel nostro tempo a molti dibattiti che diventano d’un tratto protagonisti nello scenario della comunicazione e che, per la loro esile consistenza, appena accesi già si spengono. Così si può dire di quanto si sta agitando intorno alle affermazioni della scrittrice Michela Murgia secondo la quale la commozione davanti al Presepe, dove Gesù Bambino nasce, sarebbe il segno che la fede cattolica non è capace di misurarsi con la complessità dell’esistenza e del mondo. Suggerire quanto sia urgente per la vita dei cristiani lasciarsi provocare da tale complessità è sempre utile e non lo si fa mai abbastanza.

Prendere pretesto dal Presepe è ingenuo o superficiale. Il prossimo anno si celebreranno gli ottocento anni dalla sua “invenzione” per opera di San Francesco: è arduo accusare il Santo di Assisi di vivere una fede zuccherosa e incapace di misurarsi con i drammi della storia. È legittimo non apprezzare alcuni canti liturgici, ma converrebbe non dimenticare che il Poverello ha testimoniato che non per modo di dire “Dio si è fatto come noi per farci come Lui”: lo si vede, però, nei segni delle stimmate dove il Santo “diventa” come quel Bambino, ormai uomo fatto, morto in croce per la salvezza del mondo.

Il fastidio di fronte a qualunque “retorica zuccherosa” è sempre da condividere; ma ci si può chiedere se essa sgorghi dal Presepe o non piuttosto da una sensibilità, oggi pervasiva, in cui la perdita della memoria dell’evento che ci fa festeggiare il Natale, lo riduce a luci, canzoncine e pacchetti di regali pieni di stelline luccicanti.

Certamente si può leggere la vicenda della Sacra Famiglia tenendo sul fondo dello sguardo le storie di emigrazione, violenze ed emarginazione che segnano drammaticamente il nostro presente.

Allo stesso tempo, non sarebbe inutile guardare il Presepe con lo sguardo di Giuseppe, commosso per un Figlio che non era suo, nato da una donna che era sua moglie, ma da amare secondo modi mai prima conosciuti, ultimamente divini. Quel Bambino e quella Famiglia (Sacra) era il segno, inatteso e inimmaginabile, dell’agire salvifico di Dio tra gli uomini, da secoli atteso, ma che si compiva in una forma assolutamente nuova. La commozione, lieta e drammatica, del Falegname di Nazareth non ha nulla di zuccheroso ed è desiderabile per ciascuno di noi anche oggi.

 
 
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