Pubblichiamo alcuni stralci del libro Carlo Casini. Storia privata di un testimone del nostro tempo (San Paolo, pp. 176, euro 16), in uscita in libreria il 20 marzo. È l’intervista del nostro direttore, don Stefano Stimamiglio, a Marina, figlia primogenita di Carlo, storico fondatore del Movimento per la vita (di cui Marina oggi è la presidente) e a lungo parlamentare italiano ed europeo, in occasione del terzo anniversario della sua morte (23 marzo 2020).
Quello che colpisce dell’infanzia e della giovinezza di Carlo Casini è la sua fede e la sua capacità di costruire e mantenere nel tempo tante relazioni significative in contesti diversi. Veniamo ora al Carlo “intimo” e partiamo da lui come sposo di quella che sarà la sua donna per sempre, Maria. Come si conobbero?
«Il babbo e la mamma si sono conosciuti nel 1961. Ed è proprio nella Chiesina che è avvenuto il loro primo incontro: in una delle sale parrocchiali in cui lui teneva un corso sulla dottrina sociale della Chiesa in preparazione alla Pasqua. In realtà c’era già un certo retroterra: non solo abitavano a pochi metri di distanza, ma soprattutto la mamma era venuta a conoscenza dell’esistenza della famiglia Casini attraverso tre miei zii: lo zio Elio, il medico di famiglia; lo zio Nilo, professore della mamma al liceo Dante di Firenze; lo zio Mario, che frequentava la Congregazione mariana dei Gesuiti, dove la mamma andava con l’amica Vanna Cecchi. Il babbo ci raccontava di averla già notata prima ancora di averla vista alla conferenza: nei suoi ricordi era una ragazza dal viso delicato, bella, alta, esile, composta, nel suo cappottino azzurro».
E la mamma da cosa rimase affascinata?
«La mamma ha sempre detto di essere rimasta colpita da quel giovanissimo magistrato, di sette anni più grande di lei, intelligente, sorridente, generoso, dall’animo grande. Il 22 gennaio 1962 – abbiamo persino la data! – ci fu la “dichiarazione” del babbo e il 22 febbraio la “fedina” di fidanzamento. Mamma spiega così quelle che furono le basi della loro unione: «Quando Carlo ed io ci fidanzammo, lui mi regalò un libro di Fulton Sheen il cui titolo mi parve allora strano: Tre per sposarsi. Poi ho capito che la famiglia, oltre agli obiettivi comuni di crescita materiale e spirituale su questa terra, ha bisogno di un obiettivo comune che ci supera».
Basi profonde, dunque. Basi condivise, fin da subito…
«Certamente. Ci sono alcuni passaggi del diario del babbo e successivamente una poesia che lo confermano e che raccontano anche da cosa lui fu affascinato. Il 14 febbraio 1962, da poco fidanzati, così scrive: «Nel momento attuale il mio amore corrisposto per Maria deve essere tuffato in quest’altra realtà: che tutta la vita mia e di lei dev’essere immersa in questo programma: “Eritis mihi testes”»; e, ancora, il 24 ottobre 1962: «Sto riflettendo sui doni che Dio mi ha elargito. Ultimo è Maria. Maria è buona oltre che carina e innamorata di me. Non conosco ancora bene la profondità della sua bontà, ma certo credo che oggi è molto difficile trovare una ragazza che abbia le sue doti di spirito. Ammiro il suo spiccatissimo senso del pudore, la sua modestia, il suo senso di pena di fronte al male. Soprattutto è una gioia grande fare al mattino la comunione insieme a lei. Ella prega per me – lo so – ed in primis per il mio bene spirituale. Credo che sia cosa davvero rara vedere due fidanzati che ogni mattina fanno la comunione insieme. Questo dunque deve tradursi per me in grande motivo di forza».
La profondità e la delicatezza del loro legame si riflette anche nella poesia, scritta a Metaponto con data 2 settembre 1962, e dedicata a lei:
Marina di Metaponto
Il tuo sorriso
nella purezza azzurra
increspata di gioia
del mare.
I tuoi capelli
nell’ampio respiro del vento
fluente e silente, scherzoso e fragrante.
I tuoi occhi
nel limpido aprirsi del cielo
trasparente mistero di luce…
… La tua mano qui,
nella mia.
Carlo
Ci incuriosisce la figura della mamma. Ci racconti qualcosa di lei?
«Mamma è nata a Matera ed è la terzogenita di Benedetta Paradiso e dell’avvocato Donato Nitti. Si trasferì a Firenze insieme al fratello Roccangelo, dopo le scuole medie, per frequentare il liceo classico Dante. I suoi genitori facevano la spola tra Firenze e Metaponto dove l’altro figlio, il maggiore, di nome Vincenzo, coltivava dei terreni agricoli. Ed è, infatti, a Metaponto che abbiamo passato nell’infanzia buona parte delle vacanze estive. Finito il liceo, la mamma si è iscritta alla facoltà di Lettere classiche, laureandosi a pieni voti con una tesi su Claudio Rutilio Namaziano. L’insegnamento è sempre stata la sua passione. Appena sposata ha iniziato a insegnare latino e greco come supplente per un anno al liceo classico Virgilio di Empoli e poi alla scuola media di Limite sull’Arno. Avrebbe voluto proseguire con l’insegnamento liceale, ma poi entrò in graduatoria per le scuole medie ed ebbe la cattedra. Si trovò bene, era apprezzata, aveva un buon rapporto con gli studenti e le colleghe, e decise di continuare con l’insegnamento, sempre alle scuole medie. Per nove anni ha insegnato alla scuola Leon Battista Alberti di Firenze nelle sezioni differenziali, in seguito diventate sperimentali, completando la sua formazione classica con testi di psicologia e pedagogia. Aveva, perciò, classi di ragazzini con difficoltà caratteriali e di apprendimento; è stata ben voluta dai suoli allievi, a giudicare dall’affetto e dalla gratitudine che nel tempo le sono stati dimostrati. Sapeva coinvolgere, non si sgomentava e aveva tanta pazienza. Il fatto che la mamma fosse un’insegnante ci avvantaggiava per l’abbondanza di libri scolastici che avevamo a casa e che lei volentieri metteva a nostra disposizione per le ricerche e gli approfondimenti».
Poi però abbandonò l’insegnamento…
«Ha lasciato il mondo della scuola per poter seguire la famiglia – c’erano sei ragazzi da seguire! – e per stare più vicina al babbo, con cui condivideva tutto l’impegno sociale e politico. Questo è molto importante ed è una chiave per rileggere la parabola della loro unione. “Maria è entusiasta e diviene battagliera”, scrive, infatti, il babbo nel suo diario il 15 gennaio 1977. “Comprende le mie battaglie e mi sostiene. Certo che averla sempre a fianco così, sarebbe una vera energia”. E 40 anni dopo conferma così quel pensiero: “Mi ha sostenuto in tutte le mie attività, non solo con il suo affetto, ma anche con il suo consiglio e il suo stimolo. In pratica tutto ciò che ho fatto a servizio della vita, lo abbiamo fatto insieme. Mi piace ricordare che mi ha accompagnato in almeno la metà delle migliaia di incontri ai quali ho partecipato in Italia e all’estero”. A lei il babbo riconosce anche il merito del grandissimo lavoro da lui svolto: “Si può essere una bella ragazza e, come mia moglie, intelligente, generosa, umile, innamorata della famiglia e della vita. Devo dirlo: non ci sarebbe tutto quel poco che ho fatto, forse nemmeno lo stesso Movimento per la Vita, senza una moglie come lei. Il tema della vita l’ha sentito e fatto proprio. Nel Movimento è stata elemento di raccordo e di accoglienza di persone”. Ma mi sono dimenticata di parlare di un episodio curioso…»
Prego.
«Occorre tornare un po’ indietro. Quando i miei non erano ancora fidanzati ma già si conoscevano, la mamma partecipò al concorso di Miss Italia. Una bella ragazza come era lei ebbe anche questa occasione… Le cose andarono così: fu notata sulla spiaggia di Metaponto e a modo di gioco le fu proposto, passando per il consenso dei genitori, di partecipare all’elezione di Miss Metaponto. Di lì arrivò il concorso di Miss Lucania e, in quanto vincitrice anche di quello, andò a Salsomaggiore. Qui il 3 settembre 1961 vi fu la fase finale. Non vinse, ma per la stampa fu lei la “vera Miss”. Ma poco importa! In quel periodo il babbo, andando al cinema con un amico, vide nell’intervallo la proiezione della sfilata delle candidate di Miss Italia fra cui la mamma… Lì per lì non ci rimase molto bene. Ma poi, conoscendola e sapendo come erano andate veramente le cose, ci sorrise sopra. Anzi, ne divenne orgoglioso. I concorsi di una volta erano in effetti molto casti e in ogni caso mamma andò “blindata” dai genitori e dal fratello Roccangelo».
A fianco di un grande uomo c’è sempre una grande donna. Che presenza fu quella di Maria accanto a Carlo?
«Buona, semplice, saggia, riservata; ha sempre seguito il cammino del marito con attenzione e partecipazione, intessendo relazioni e aiutando il babbo a tenere a mente le persone e le situazioni. Credo che in pubblico abbia parlato solo tre volte, sempre accanto a lui. Una volta, in occasione del Giubileo dei giovani, il 26 agosto nel 2000 nella Basilica di San Giovanni in Laterano sul tema “I figli, preziosissimo dono”; un’altra volta il 6 agosto 2006 al Seminario Quarenghi su “Essere sé stessi per essere coppia”; infine il 19 maggio 2011 in occasione del premio “Una vita per la vita”, assegnato al babbo dall’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Intensa è stata, poi, la testimonianza della mamma sulla loro vita insieme, pubblicata nel volume già citato e curato da Francesco Ognibene. C’è un bellissimo passaggio di una sua lettera al babbo in occasione del suo – cioè del babbo – sessantesimo compleanno: “Spero di aver capito che cosa vuol dire vivere in Dio e nella sua volontà. In fondo me lo hai insegnato tu. Me lo hai insegnato vivendo, me lo hai insegnato con la tua benevolenza verso tutti, me lo hai insegnato vedendo sempre la trave nel tuo occhio e mai la pagliuzza nell’occhio dell’altro. Me lo hai insegnato spingendomi ad amare sempre gli altri vicini e lontani. Me lo hai insegnato volendo bene a me e a tutti i miei47. Ti ringrazio di tutte le bellezze anche umane che mi hai fatto conoscere, ti ringrazio della luce che hai portato nella mia vita. Dio ti ha voluto particolarmente bene e tu hai particolarmente risposto al suo bene. Io ho la gioia di non essermi frapposta tra il vostro Amore e spero di averti sempre incoraggiato a dire di sì”. Tanta delicatezza c’era anche da parte del babbo, che le ha scritto lettere molto belle e dedicato poesie composte da lui. La chiamava affettuosamente “Mariola”. Un canto popolare che le cantava sin da fidanzati era “Calabrisella mia”».
E dalla loro unione è venuta una bellissima famiglia…
«Nel 1966 sono nata io e poi, nell’ordine, Francesco nel 1969, Donatella nel 1970, e Marco nel 1974. È giusto aggiungere anche Benedetta e Donato, i nostri cugini, figli dello zio Vincenzo, fratello della mamma, cresciuti con noi come figli dei miei genitori e fratelli nostri. Sono rispettivamente del 1967 e del 1975. Con noi c’era anche nonna Benedetta, chiamata affettuosamente “Pupuccia”, che, con il suo inconfondibile accento materano che avevamo imparato a imitare, era la nostra mascotte. Sapeva fare tante cose: cucinare – proverbiali le sue orecchiette fatte in casa alle cime di rapa! –, lavorare a maglia, all’uncinetto, col chiacchierino, cucire. Era l’addetta alle riparazioni dei vestiti e spesso ce li faceva lei di sana pianta, compresi quelli di carnevale. È volata in Cielo nel 2007».