ll periodo estivo è caratterizzato, a livello religioso, dalle feste patronali, dalle processioni e da altre manifestazioni di devozione popolare. Mi rendo conto che all’interno della comunità ecclesiale, anche tra il clero, è diffusa una certa diffidenza verso queste manifestazioni che effettivamente hanno a volte risvolti non sempre positivi o opportuni. Può accadere, infatti, che talvolta il confine tra il folklore e la spiritualità sia molto sottile. Ancor più grave quando si verificano infiltrazioni malavitose che utilizzano le feste popolari come occasione per trarne vantaggi economici o come espressione di potere delle famiglie o dei clan più influenti.
La domanda che risuona in diversi modi è se questo sia un motivo per eliminare e rifiutare queste espressioni della religiosità popolare. Chi infatti ha la fortuna di prendere parte a queste manifestazioni non può evitare di incontrare anche segni evidenti della fede di molte persone semplici.
Per tanta gente la devozione popolare è l’unico modo per entrare in contatto con il sacro, l’unica occasione o modalità per avvicinarsi a Dio a loro modo.
Si registra per esempio una resistenza del fenomeno delle confraternite, a cui sempre più spesso aderiscono molti giovani. Si tratta certamente anche di un’espressione identitaria, ma potrebbe essere l’occasione per avvicinare questo mondo che ha già una predisposizione alla relazione con Dio. Piuttosto che distruggere o ironizzare, potrebbe essere un’opportunità per evangelizzare. Quei riti e quelle espressioni di devozione hanno radici antiche e forse anche teologicamente profonde.
Per quanto faticoso, bisognerebbe riscoprire l’origine di quella fede e provare a spiegarla con un linguaggio più attuale. Questo ovviamente richiede conoscenza, studio e fatica. Forse per questo a volte si preferisce cancellare queste espressioni religiose piuttosto che fare lo sforzo di provare a purificarle e convertirle.
Sarebbe utile riconoscere
la domanda che c’è dietro queste espressioni di religiosità popolare: a volte si tratta di un bisogno di speranza, a volte di un tentativo di gestire le paure, in ogni caso si tratta sempre di una possibile mediazione per parlare di Dio alle persone e aiutarle a fare un passo in più.