Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
martedì 20 maggio 2025
 
dossier
 

Matteo Messina Denaro, il boss latitante da 30 anni arrestato a Palermo

16/01/2023  Nella sua carriera criminale ha collezionato decine di ergastoli. Oltre a quelli per le bombe del 1993 a Roma, Firenze e Milano, ha avuto il carcere a vita per il sequestro e l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito rapito da un commando di Cosa nostra, strangolato e sciolto nell'acido nel 1996

In questa storia il 1993 è un anno cruciale. Il 15 gennaio – esattamente trent’anni fa – viene arrestato Totò Riina, il capo dei capi di Cosa Nostra, e inizia la latitanza di Matteo Messina Denaro, considerato uno dei ricercati più pericolosi al mondo. Latitanza che si è conclusa il 16 gennaio 2023 nella clinica privata Maddalena di Palermo e che fu preannunciata da lui stesso in una lettera inquietante scritta alla fidanzata dell'epoca, Angela: «Sentirai parlare di me – le scrive facendo intendere di essere a conoscenza che di lì a poco il suo nome sarebbe stato associato a gravi fatti di sangue – mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità».

Nato a Castelvetrano (Trapani) il 24 aprile 1962, Matteo Messina Denaro era figlio di Francesco, detto Ciccio, storico alleato dei corleonesi di Totò Riina, e anche lui è stato capomandamento di Castelvetrano, che controlla tutta la provincia di Trapani. Nel 1994, vengono diramate le ricerche in campo internazionale, per arresto ai fini estradizionali. Detto ’U siccu, ma anche “Diabolik”, come il suo fumetto preferito perché come lui avrebbe voluto farsi montare due mitra nel frontale della sua “164”. Nei pizzini che si scambiava con Provenzano si firmava Alessio. Ha una figlia, Lorenza, che non conosce (come confida in una lettera a un amico agli atti degli inquirenti). Liceale, ha vissuto nella casa dei nonni paterni con la madre, Francesca Alagna, fino al 2014, quando sono diventate note le intercettazioni di alcuni familiari sull’esistenza di un altro figlio di Denaro, di cui si sa solo che si chiama Francesco come il nonno, è che è nato tra il 2004 e il 2005.

Prima che diventasse latitante tutti lo ricordano scorrazzare per Castelvetrano, dove aveva fama di dongiovanni incallito, su una Mercedes o su una Bmw, sempre in abiti di ottimo taglio e con Rolex al polso. Una delle sue amanti, Maria Mesi, classe 1965, per avergli dato ospitalità durante la latitanza – a Bagheria e a Palermo – è stata condannata per favoreggiamento. In uno degli appartamenti messi a disposizione fu trovato il giochino elettronico preferito da Diabolik, un Nintendo. «Ti prego non dirmi di no. Desidero tanto farti un regalo», scrive il boss in una lettera a Mesi, «sai, ho letto sulla rivista dei videogiochi che è uscita la cassetta di Donkey Kong 3 e non vedo l’ora che sia in commercio per comprartela. Quella del Secret of Mana 2, ancora non è arrivata... Sei la cosa più bella che ci sia».

Commette i primi delitti al servizio di Leoluca Bagarella, impegnato, nei primi anni Novanta, a combattere appartenenti alle famiglie dei perdenti (gli sconfitti dai corleonesi nella seconda guerra di mafia). Il più efferato il duplice omicidio dei fidanzati Vincenzo Milazzo e Antonella Bonomo (incinta di tre mesi, ritenuta testimone scomoda degli affari di Cosa nostra), il primo morto sparato, la seconda strangolata (secondo le accuse, personalmente da Denaro). Grazie alle dichiarazioni del pentito Gioacchino La Barbera i loro cadaveri furono trovati, in avanzato stato di decomposizione, avvolti in buste di plastica, il 14 dicembre 1993 in località Balata di Baida, in agro di Castellammare di Stabia, all’interno di una cava di materiale pietroso in disuso.

Ha 21 anni quando si presta all’esecuzione delle stragi riuscite e tentate del 1993 dirette sempre da Leoluca Bagarella. Aver fatto parte della fazione stragista di Cosa nostra non gli impedisce di diventare uomo di fiducia di Bernardo Provenzano, col quale comunica a mezzo pizzini. A 14 anni sa maneggiare le armi, a 18 commette il primo omicidio. «Con le persone che ho ammazzato io, potrei fare un cimitero», confida a un amico. In linea con la strategia stragista dei corleonesi, dei quali, come suo padre, resterà sempre fedele alleato, è coinvolto nelle stragi del '92 in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un ruolo quello di Messina Denaro emerso solo nel, quando la Procura di Caltanissetta, che ha riaperto le indagini sugli attentati, ha chiesto la custodia cautelare per il boss di Castelvetrano e a ottobre del 2020 lo ha fatto condannare all'ergastolo per i due attentati. Secondo gli investigatori sarebbe stato presente al summit voluto da Riina, nell'ottobre del 1991, in cui fu deciso il piano di morte che aveva come obiettivi i due magistrati.

I pentiti raccontano, poi, che faceva parte del commando che avrebbe dovuto eliminare Falcone a Roma, tanto da aver preso parte ai pedinamenti e ai sopralluoghi organizzati per l'attentato. Da Palermo, però, arrivò lo stop di Riina. E Falcone venne ucciso qualche mese dopo a Capaci. Un ruolo importante Denaro lo ha avuto anche nelle stragi del 1993 a Roma, Firenze e Milano. Imputato e processato è stato condannato all'ergastolo per le bombe nel Continente.

L'immagine del volto di Matteo Messina Denaro, ripreso da una telecamera di sicurezza, e mostrate dal Tg2 in esclusiva il 30 settembre 2021. Le immagini, afferma il servizio, sono state registrate da una telecamera in strada in provincia di Agrigento, risalgono al 2009 (Ansa)

Nella sua carriera criminale ha collezionato decine di ergastoli. Oltre a quelli per le bombe del Continente, ha avuto il carcere a vita per il sequestro e l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito rapito da un commando di Cosa nostra, strangolato e sciolto nell'acido nel 1996 dopo quasi due anni di prigionia.

Riconosciuto colpevole di associazione mafiosa a partire dal 1989, l'ultima condanna per mafia è a 30 anni di reclusione in continuazione con le precedenti. Il tribunale di Marsala per la prima volta gli ha riconosciuto la qualifica di capo nel 2012. E una pioggia di ergastoli il boss li ha avuti anche nei processi Omega e Arca che hanno fatto luce su una serie di omicidi di mafia commessi tra Alcamo, Marsala e Castellammare tra il 1989 e il 1992.

Su di lui era stata posta una taglia da un milione e mezzo, ma per fargli attorno terra bruciata gli investigatori hanno stretto in una tenaglia micidiale la rete dei fiancheggiatori. Neanche i suoi familiari sono stati risparmiati: la sorella Patrizia, arrestata e accusata di avere gestito un giro di estorsioni, il fratello Salvatore, i cognati, un nipote. E tanta gente fidata, costituita da prestanome spesso insospettabili, che hanno subito ripetuti sequestri patrimoniali.

Multimedia
Il video dell'arresto di Matteo Messina Denaro
Correlati
WhatsApp logo
Segui il nostro canale WhatsApp
Notizie di valore, nessuno spam.
ISCRIVITI
Segui il Giubileo 2025 con Famiglia Cristiana
 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo