Suor Anna Donelli torna in libertà, il Tribunale del Riesame ha deciso per l'annullamento della custodia cautelare per la religiosa. Era tra le persone raggiunte il 5 dicembre scorso da 25 misure cautelari nel corso di un’indagine relativa a un’associazione di matrice 'ndranghetista della Direzione distrettuale antimafia di Brescia, che aveva coinvolto anche l'ex consigliere comunale di Brescia in quota Fratelli d'Italia Giovanni Acri, e Mauro Galeazzi, ex assessore in quota Lega a Castel Mella.
La religiosa secondo l'ipotesi di accusa sarebbe stata «a disposizione del sodalizio per garantire il collegamento con i sodali detenuti in carcere» agendo come intermediario «approfittando dell’incarico spirituale che le consentiva di avere libero accesso alle strutture penitenziarie», accuse attorno alle quali si avvertiva lo sconcerto di tante persone che in questi anni l'hanno conosciuta e hanno collaborato con lei, nelle attività di volontariato, convinte della sua buonafede.
Cinquantasette anni, minuta ed energica, suor Donelli è entrata a 21 tra le suore di carità delle Sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, dette anche suore di Maria Bambina, scelte per la dedizione alle opere di misericordia. A parte una parentesi romana, ha lavorato sempre in Lombardia, prima tra i giovani delle periferie tra Mirabello, (Pavia) e il Gratosoglio (Milano) e poi tra comunità di recupero tra Milano e Vimodrone, e carceri: San Vittore, Bollate, Opera a Milano e negli ultimi anni a Brescia, come religiosa volontaria.
Della sua attività cinque anni fa raccontava a Famiglia Cristiana: «Se la direzione è quella indicata da Gesù “Beati gli ultimi…”, mi pare sia la strada migliore. La carriera nel senso del ruolo non mi interessa, né penso che il problema delle donne nella Chiesa sia poter o meno celebrare la Messa. Per me l’essenziale è che i superiori, e in questo son fortunata, capiscano il mio modo di vivere il carisma, anche quando si tratta di recuperare un ragazzo in strada a sera tardi o di rispondere la notte al grido di aiuto di una famiglia. Fino a qualche decennio fa era scontato che le suore a ora di cena fossero tutte in casa, adesso meno. Ma a mio modo di vedere non dai la vita timbrando il cartellino: s’è mai vista una madre che non si alza all’una se il bimbo piange o che rimanda al giorno dopo l’ansia per un figlio adolescente che all’alba non è tornato? Se non c’è osmosi tra Vangelo e vita non serve a niente, qualche incomprensione all’interno può capitare, ma si va avanti. Poi, è chiaro, devi avere solidità spirituale e coltivarla». Della scelta religiosa spiegava: «Non che avessi escluso l’idea di una famiglia, ma a un certo punto si è affacciato il pensiero di dare la vita a Qualcuno che non m’avrebbe mai abbandonata. Solo mia sorella gemella (scomparsa a 34 anni, ndr.) mi incoraggiò: ho provato ad accantonare l’idea, ma non se ne andava. Gli chiedevo: “Però, se non è la mia strada, fammelo capire presto, non lasciare che dia ai miei un dolore inutile”».
A proposito dell’abito aggiungeva: «Farà ridere, ma la cosa che temevo di più era la consapevolezza di dover portare la gonna per tutta la vita: ero abituata ai pantaloni, mi piacevano le moto e giocare a calcio. Ho capito dopo che l’abito aiuta perché ti dà modo di spiegare e con i ragazzi saper palleggiare vestita così aiuta. Ora arbitro partite di calcetto in carcere (all’epoca si parlava di San Vittore, ndr.). Stanno alle mie regole: darsi cambio per giocare tutti, in un posto dove la mentalità corrente è “chi vince regna”. Possono darmi dell’arbitro venduto e lo sanno. Però non lo fanno».
L’ordinanza del Gip di Brescia, secondo quanto ha riportato l’Agi, l’accusa di essere andata molto oltre: si sarebbe messa «a disposizione degli esponenti» del clan di 'ndrangheta dei Tripodi radicato nel Bresciano e legato alla cosca calabrese degli Alvaro, tramite «la propria opera di assistente spirituale», all'interno delle carceri «per trasmettere ordini, direttive, aiuti morali e materiali ai soggetti sodali o contigui al sodalizio reclusi in carcere», «ricevendo informazioni dai detenuti utili per meglio pianificare strategie criminali di reazione alle attività investigative delle Forze dell'ordine e dell’autorità giudiziaria», «favorendo lo scambio informativo tra i detenuti e i loro prossimi congiunti nel caso di divieti di colloqui», e infine «risolvendo dissidi e conflitti tra i detenuti all'interno del carcere».
Saranno il prosieguo delle indagini e i processi a chiarire le responsabilità, venerdì prossimo la suora sarà sentita dai magistrati, ma intanto si aprono molte domande che non possono non interrogare anche a proposito delle interpretazioni improprie del dettato evangelico: «Ero carcerato e mi avete visitato».
Comparsa davanti al Gip il 13 dicembre, la suora aveva risposto per due ore e mezza alle domande del magistrato, negando ogni addebito. «Lei ha radicalmente negato tutto. Assolutamente dice, sia per il ruolo che ho come suora, sia per quello che sono, perché lei è un po' l'angelo degli ultimi», ha riferito il suo legale Roberto Ranieli all'uscita, «se tutte le persone fossero come lei, il mondo andrebbe molto bene. Lei ha negato radicalmente tutto e ha dato una spiegazione» ha aggiunto il difensore. «In particolare, quelle intercettazioni sono fatte da altri, dette da altri, ma lei non c'è. Lei è stata in quella che è ritenuta la base dei Tripodi accusati di mafia, che era un'officina, ma perché semplicemente in un certo periodo ha vissuto a Brescia perché era in una comunità qui, quindi lavorava anche nel carcere di Brescia e conosceva uno dei due perché lo aveva aiutato come volontaria quando era stato detenuto per breve tempo a San Vittore e quindi l'ha ritrovato lì».
«Quella dei Tripodi - che nelle intercettazioni dicevano "la monaca è dei nostri" ndr. - era una millanteria, una semplice millanteria», sostiene il difensore della religiosa. Il difensore ha poi spiegato che cosa intendesse la suora quando, intercettata, disse di potersi affidare a degli amici potenti per risolvere un incidente che aveva avuto la nipote. «L'ha chiarito perché non è così, non era una questione di amici potenti, lei ha detto un'altra versione assolutamente vera, anche quella credibile, Lei voleva solamente che venisse fatto un chiarimento su una contravvenzione che aveva avuto una nipote e quelle persone che erano lì erano di un'officina e quindi potevano verificare se la regolarità della macchina che aveva fatto l'incidente con la nipote c'era o no».