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Anniversari
 

Chi era Cesare Terranova, giudice istruttore ucciso da Cosa Nostra il 25 settembre 1979

24/09/2019  Ogni anno si ricordano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, massacrati in modo così eclatante da restare scolpito nella memoria del Paese, molto meno si ricordano i colleghi che ne hanno anticipato il percorso e il destino. Uno di loro era Cesare Terranova.

È il settembre 1979, l'Italia fronteggia la violenza terroristica e mafiosa. Tempi durissimi per chi contrasta il crimine su quei fronti. Cesare Terranova ha 58 anni, è rientrato da pochi mesi in servizio come consigliere di Corte d’Appello a Palermo, dopo un mandato parlamentare e un significativo impegno in Commissione parlamentare antimafia, in un momento in cui la consapevolezza del fenomeno nelle istituzioni è tutta da costruire. Cesare Terranova porta lì l’esperienza accumulata come magistrato, prima al Tribunale di Palermo e poi a Marsala come Procuratore della Repubblica, quindi a Palermo come giudice istruttore, ruoli in cui si era messo sulla rotta di collisione dei boss più agguerriti del momento e sulle tracce di Luciano Leggio (noto come Liggio), di cui aveva avviato i processi. La relazione di minoranza della Commissione antimafia del 1976 firmata con Pio La Torre è un importante contributo alla conoscenza delle dinamiche mafiose. Durante il mandato parlamentare di Terranova, però, alcune significative condanne vengono annullate e Cosa nostra alza il livello di scontro con lo Stato.

Terranova è nel mirino dei Corleonesi in ascesa fin dalla metà degli anni Settanta. Già prima, da giudice istruttore a Palermo, nella sentenza del 13 ottobre 1967 aveva avuto parole di chiarezza insolita per i tempi, spazzando in poche parole tutta la retorica della “mafia buona” del tempo andato che ha ammantato fin lì e per lungo tempo a venire racconti di comodo: «Esiste una sola mafia» scrive Terranova, «né vecchia né nuova, né buona né cattiva, eiste la mafia che è associazione delinquenziale di mafiosi. Il mirino lo tiene sotto tiro ancora di più quando si comincia a fare con insistenza il suo nome per il posto di capo dell’ufficio istruzione di Palermo: ha intuito le trame tra economia, politica e criminalità organizzata e la guida dell’ufficio istruzione è il luogo adatto a cercare di reciderle. All’ufficio istruzione lavora già Rocco Chinnici che la pensa come lui e a capo della Procura c’è Gaetanto Costa, altro magistrato della stessa pasta.

Insieme, con la loro visione unitaria del fenomeno mafioso, con il loro metodo e il loro gioco di squadra, sono un pericolo e i Corleonesi decisi a non correre il rischio fermano Terranova “preventivamente” sulla più prevedibile delle strade, tendendogli un agguato: alle 8,30 del mattino del 25 settembre sta andando in auto verso l’ufficio con accanto il maresciallo di pubblica sicurezza Lenin Mancuso che lo scorta, l’auto rallenta ostacolata da una segnalazione di lavori in corso e i killer hanno buon gioco: una trentina di colpi esplosi uccidono all’istante Terranova e poco dopo Mancuso. l'attentato viene rivendicato da Ordine nuovo, ma il terrorismo in quel caso è solo fumo negli occhi, un tentativo di depistaggio.

Leonardo Sciascia dirà che Cesare Terranova fu ucciso perché "stava occupandosi di qualcosa per cui qualcuno ha sentito incombente o immediato il pericolo". Da giudice istruttore aveva intuito la metamorfosi della mafia, la sua vocazione imprenditoriale che stava cambiando il volto urbanistico di Palermo: ripeteva che l’unico contrasto possibile sarebbe passato per "leggi adeguate, polizia efficiente, giudici sereni" . Da capo dell’ufficio la sua azione sarebbe stata anche più incisiva ed è arrivata la vendetta.

A confermare a Giovanni Falcone i sospetti saranno nel 1984 le prime dichiarazioni di Tommaso Buscetta, il collaboratore di giustizia che per la prima volta descrisse allo Stato la struttura di cosa nostra: Luciano Leggio, secondo Buscetta, è il mandante di quella morte. Dichiarazioni che altri collaboratori confermeranno successivamente. Il 1° marzo 1978, Terranova aveva scritto alla moglie una lettera che sa di testamento, dentro c'è un'idea dell'uomo e del magistrato: «Ad onore dei miei genitori voglio ricordare che i principi che mi hanno guidato in tutta la vita sono frutto della educazione da loro ricevuta e che, se in qualche misura sono riuscito ad operare bene da uomo e da cittadino, ciò lo devo soprattutto agli insegnamenti e agli esempi costanti di mio padre e di mia madre, ai quali va la mia infinita gratitudine».

il ricordo del presidente Mattarella

Nel giorno del 40° anniversario, il presidente della Repubblica, lo ricorda così in una lettera inviata al sindaco del Paese d'origine di Terranova, Petralia Sottana (Palermo): «Magistrato rigoroso e preparato, profondo conoscitore della realtà siciliana, Cesare Terranova seppe cogliere la forza e la pervasività della mafia, qualificandola per primo come una 'associazione delinquenzialè dalle variegate forme, la più pericolosa ed insidiosa delle quali 'è quella camuffata sotto l'apparenza della rispettabilita».

«Da giudice istruttore, ricorda il Capo dello Stato, «comprese la trasformazione in atto della mafia, ormai infiltrata nella vita pubblica ed economica e ben sorretta dal pilastro inossidabile dell'omertà. A lui si deve l'avvio di una stagione di indagini coraggiose e di processi inediti, culminata molti anni più tardi nel maxiprocesso di Palermo». «Rievocare la vile uccisione di Cesare Terranova e Lenin Mancuso richiama la necessità di resistere alle intimidazioni della mafia, opponendosi a logiche compromissorie ed all'indifferenza, che minano le fondamenta dello stato di diritto. A distanza di quaranta anni, desidero rinnovare i sentimenti di partecipazione e vicinanza del Paese ai loro familiari, ai colleghi e agli amici che li hanno conosciuti e stimati e che, in questi anni, ne hanno costantemente tenuto viva la memoria».

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40 anni fa la mafia uccideva il giudice Cesare Terranova
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