Due tunnel autostradali convertiti in spazi museali. Alla donna che sapeva guardare lontano e sognare in grande sarebbe piaciuta la location scelta per raccontare la sua storia: a Trento, in una delle gallerie di Piedicastello, dal 7 dicembre 2019 è aperta la mostra Chiara Lubich Città mondo, dedicata alla fondatrice del Movimento dei focolari nel centenario della nascita. «Per poter scoprire la persona che è stata Chiara Lubich, per comprendere la fisionomia delle comunità dei focolari, ma soprattutto per capire perché Chiara abbia scelto di guardare all’umanità e alla storia dalla prospettiva della parola evangelica dell’unità, occorre “viaggiare” tutta Trento: i luoghi che lei frequentava, ma anche la storia di questa città, crocevia di divisioni e ricomposizioni religiose, civili e sociali», dice Maria Voce, che alla morte della Lubich, avvenuta il 14 marzo 2008, ne ha raccolto il testimone e che quest’anno lascerà il posto a una nuova presidente.
Sarà una donna, perché così prevede lo statuto del Movimento, oggi presente in 194 Paesi con oltre due milioni di aderenti, in maggioranza cattolici. «È stato un istinto divino che forse ha fatto decidere a Chiara di avere sempre una donna a capo. Quando ne parlò con Giovanni Paolo II il Papa le rispose “Magari!”, e poi ne approvò lo statuto nel 1990», ricorda Voce. «È qualcosa di grande, una donna a capo di un Movimento che ha dentro di sé di tutto, differenze religiose, di etnie, geografiche, uomini e donne, famiglie, consacrati e laici. Questa condivisione porta a una comprensione più ampia e a una maggiore concretezza. È il principio mariano, di autorevolezza materna». È il cuore dell’Opera di Maria, come Lubich chiamò il Movimento da lei fondato.
La ricca rete di opere e realizzazioni che in questi decenni il Movimento dei focolari ha realizzato in tutto il mondo, parte dal sogno di una giovane donna che, nel ’44, in piena guerra, si chiede se esista un ideale che nessuna bomba possa far crollare. La risposta che trova dentro di sé («Sì, è Dio Amore») la porta a condividere la sua scoperta con altre ragazze. Mentre la famiglia Lubich lascia la casa di via Gocciadoro e si rifugia in montagna, Chiara decide di restare in città per sostenere la nascente comunità e prestare soccorsi ai poveri, prende alloggio nella “casetta”, che diventerà il primo focolare, in piazza Cappuccini. Nei rifugi antiaerei le ragazze vivono alla lettera le parole del Vangelo. Nel testamento di Gesù («che tutti siano uno») Chiara coglie la specificità del carisma che Dio le sta donando: contribuire al comporsi nel mondo della fraternità universale. È quella spiritualità dell’unità o della comunione che, percepita subito dall’allora arcivescovo di Trento, monsignor Carlo De Ferrari («qui c’è il dito di Dio»), è oggi riconosciuta come carisma dalla Chiesa cattolica e da altre Chiese cristiane e compresa nel profondo da altri mondi laici e religiosi, dall’islam al buddhismo.
Nata il 22 gennaio del 1920, seconda di quattro figli, Silvia Lubich (questo il suo nome all’anagrafe) apprende la prima scuola all’accoglienza in famiglia, dove le diversità ideologiche (papà socialista, fratello partigiano comunista, mamma fervente cattolica) diventano palestra feconda di relazioni. Animatrice del Terz’Ordine francescano, Silvia è affascinata da Chiara da Assisi e ne prende il nome. Frequenta inoltre l’Azione cattolica e, con un gruppo di giovani donne dell’associazione, nel 1939 si reca al santuario di Loreto dove, dinanzi alla Santa Casa, intuisce la sua vocazione sul modello della famiglia di Nazaret: piccole comunità (saranno “i focolari”) dove si ritrovano consacrati e sposati, che vivono in mezzo al mondo seguendo la legge dell’amore.
Un’intuizione che l’accompagna al ritorno da Loreto e si fa strada nella quotidianità, tra famiglia, parrocchia e il lavoro da maestra in Val di Sole. Il 7 dicembre del 1943, vigilia dell’Immacolata, Chiara va in chiesa: «Ho detto a Gesù: “Sono tutta tua”» e suggella questo patto silenzioso con tre garofani rossi che pone davanti al crocifisso. Questo il momento che viene considerato l’atto di nascita dei focolari. Giorno scelto per inaugurare la mostra di Trento, che racconta anche cosa succede dopo quella consacrazione, con fotografie d’epoca, quaderni e oggetti appartenuti alla Lubich, video e installazioni multimediali. La mostra, che ha ottenuto il patrocinio del Consiglio d’Europa e sarà replicata in altre capitali del mondo, il 25 gennaio sarà visitata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Sui pannelli scorrono le foto di Lubich che riceve il Premio Unesco per l’educazione alla pace e quello del Consiglio d’Europa per i diritti umani, quelle dei suoi 16 dottorati nelle più varie discipline, le decine di onorificenze, gli incontri nelle baraccopoli e quelli con i capi di Stato, tra le Mariapoli di tutto il mondo, in templi buddhisti, sinagoghe e moschee. Stile sobrio, capelli argentati, sorriso sincero, Lubich è diventata, senza clamore, una delle donne più importanti del ’900 della Chiesa cattolica. «Non aveva compiuto particolari studi teologici, eppure potrebbe essere definita Dottore della Chiesa per la sua intuizione della relazione trinitaria», dichiara l’arcivescovo di Trento, monsignor Lauro Tisi. La signorina guardata con sospetto dalle gerarchie ecclesiastiche («Ciò che attira la meraviglia sono le donne che fanno da maestre di spirito», «con le donne vi può essere pericolo di isterismo», scrive Franca Zambonini, già vicedirettrice di Famiglia Cristiana, in un volume dedicato all’eredità di Chiara, riportando i verbali di un’assemblea dei vescovi sul nascente Movimento), nel post Concilio ha ricevuto il sostegno dei Papi e di diverse istituzioni internazionali.
È complessa la mappa delle opere dei focolari. Una delle coordinate per orientarsi è «l’impegno per il dialogo, che nel nostro tempo deve diventare consapevolezza storica e disciplina politica», dice il teologo Piero Coda, preside dell’Istituto universitario Sophia, l’ultima opera fondata dalla Lubich. Dietro il sorriso, la cordialità focolarina, c’è infatti una volontà di ferro a perseguire il dialogo a 360 gradi, tra persone, culture e religioni. Una scelta che ha portato la fondatrice a ritenere indispensabile una seria formazione per i membri che aderiscono all’Opera, con scuole specifiche, fatta non al chiuso in una casa, ma al centro di un tessuto di relazioni, come avviene a Loppiano, la prima delle 25 Cittadelle internazionali dei focolari. Dialogo, formazione e poi vita di comunità. Sono i piccoli gruppi – nelle case, nelle parrocchie, nelle comunità religiose, tra cattolici e riformati o con buddhisti e musulmani, in India come in Corea, come negli Stati Uniti – gli spazi dove vivere prima che altrove la ricerca dell’«unità». Tre coordinate che si traducano in opere, economia, arte, politica, dialoghi teologici.
Il 2020 sarà l’occasione per celebrare tutto questo facendo memoria della fondatrice, per la quale si è appena conclusa la fase diocesana del processo di beatificazione. «Siamo sicuri che Chiara è viva: questo centenario è pensato non per ricordarla ma per incontrarla», ha detto Maria Voce. «Quello che Chiara ha lasciato è un messaggio di fraternità, unità e comunione. Era convinta che Dio è Padre di tutti e che, quindi, tutti sono fratelli: riscoprire questo significa costruire la famiglia di Dio, una fraternità universale che oggi è ancora più urgente del tempo in cui Chiara è vissuta, proprio per questi muri che si creano e che noi vogliamo abbattere: il centenario è anche questo».