Gli antidoti della Chiesa calabrese contro le mafie? Regole severe per i riti, i sacramenti, il culto; e formazione per chi opera sui temi della legalità e del senso civico. Una nuova evangelizzazione senza tentennamenti è quanto auspicano la Conferenza episcopale calabrese e il suo presidente Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace. Un richiamo testimoniato da molti documenti e note recenti dell’episcopato regionale, raccolti a giugno assieme a documenti del passato in un volumetto dal titolo molto esplicito: La ’ndrangheta è l’antivangelo. Monsignor Bertolone è anche postulatore della causa di canonizzazione di don Pino Puglisi, un esempio di stile sobrio e sommesso per tutti gli uomini di Chiesa. Ed è autore di un recente volume intitolato L’enigma della zizzania.
Quali ragioni hanno spinto la Conferenza episcopale a pubblicare una raccolta delle note elaborate dai vescovi della Calabria contro le mafie?
«È una piccola antologia dei documenti che la Conferenza episcopale calabra ha prodotto dal 1916 al 2016, sulla necessità di purificare la pietà popolare e contrastare il fenomeno mafioso ’ndranghetista, che costantemente cerca di infiltrarsi dovunque per ottenere consensi e riconoscimenti popolari. Ma è anche una sorta di appendice alla Nota pastorale dei vescovi calabresi sulla ’ndrangheta e al successivo direttorio Per una nuova evangelizzazione della pietà popolare del 30 giugno 2015. In questo modo noi vescovi di Calabria abbiamo collegialmente riaperto il tema della pietà, devozione e religiosità popolare, sottolineandone i valori e i rischi, affrontando anche il problema della celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, ma pure del matrimonio e della celebrazione delle esequie. Sono tutti scenari nei quali, se non si pone la dovuta attenzione e non si osservano le norme già vigenti, si corre il rischio di compiere errori pastorali che potrebbero condurre al consolidarsi di tentativi di inltrazioni criminali».
Come si manifesta l’azione della Chiesa? Qual è, in concreto, l’impegno della Chiesa contro la ’ndrangheta?
«In ogni diocesi calabrese si opera per consolidare un piano pastorale di formazione per il clero, i seminaristi e i religiosi che qui operano, avamposti di una Chiesa in uscita che funge da “pronto intervento” o da “ospedale da campo” per la nuova evangelizzazione del nostro territorio. Ma poi c’è la necessità della formazione su tempi medio-lunghi dei catechisti e, in generale, degli operatori pastorali sui temi della giustizia, dell’educazione alla legalità, dell’impegno civico, della partecipazione alla “cosa pubblica”, della custodia del creato, nostra casa comune, come ci ricorda la Laudato si’. L’educazione su tempi lunghi può sembrare inutile ma, in realtà, trasforma e forma profondamente le coscienze e il contesto. Di qui l’elogio dell’utilità dell’“inutile”, cioè di tutto ciò che ripristina la dignità umana, il rispetto della persona, la purificazione delle relazioni affettive, la pratica religiosa e il culto. Inoltre, non può mancare l’annuncio di pentimento e di conversione – che è risuonato particolarmente forte nel corso dell’anno giubilare straordinario della misericordia e che viene rivolto a tutti gli “scomunicati” per mafia, cioè a tutti coloro che, in quanto affiliati, si collocano fuori dalla comunione ecclesiale – nella convinzione che esso sia il vero e autentico antidoto a ogni mafia. Questo è il cuore pulsante del messaggio evangelico, che non può essere solo di denuncia ma anche di impegno autenticamente vissuto da parte dei testimoni della fede, della legalità e della giustizia».
Quali sono le difficoltà che la Chiesa deve fronteggiare sia sul territorio che all’interno della stessa comunità cattolica?
«La Chiesa punta da sempre su due direttrici: legalità e fede. Sono gli antidoti alle difficoltà attuali della società civile e dello stesso contesto ecclesiale. Certo, ciascuno dovrà fare una parte, magari quella che normalmente recita. Diceva in proposito il beato Pino Puglisi, assassinato dai sicari della cupola maosa di Brancaccio, che se ciascuno fa il suo allora tutti insieme possono mandare avanti un progetto, che è progetto di nuova evangelizzazione. Per costruire una società più giusta, bisogna scegliere da che parte stare, esporsi, sporcarsi le mani. La Chiesa professa con coraggio che, per sconfiggere il male, anche quello ’ndranghetista e mafioso, ciascuno deve fare il proprio dovere fino in fondo. Tuttavia, alla Chiesa si deve chiedere di essere Chiesa, educatrice delle coscienze nello spirito e nell’insegnamento del Vangelo, e non altro, senza più incertezze né tentennamenti».
In che modo la Chiesa collabora con le istituzioni e le altre forze della società civile?
«La ’ndrangheta è un’organizzazione criminale fra le più pericolose e violente, poggia su legami familiari che rendono più solidi sia l’omertà sia i veli di copertura. Utilizzando vincoli di sangue, o costruiti attraverso una religiosità deviata, nonché lo stesso linguaggio di atti sacramentali – si pensi alla figura dei “padrini” – i boss riescono ad assicurarsi obbedienza, coperture e fedeltà. La ’ndrangheta, lì dove attecchisce e prospera, condiziona profondamente la vita sociale, politica e imprenditoriale. Mediante l’educazione alla giustizia e alla legalità la Chiesa prepara cittadini “vaccinati” contro tali fenomeni devianti e, in questo senso, concorre all’azione di prevenzione dello Stato. Inoltre, prende nettamente le distanze da qualunque deriva illegale. La mafia è una sola: coi picciotti spara, coi colletti bianchi muove denaro e vince appalti. E la si potrà battere, come osservava il generale Dalla Chiesa, “con un abile, paziente lavoro psicologico: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi pagati dai cittadini, non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”. All’inizio del 2017 i vescovi delle regioni meridionali si ritroveranno a Napoli per discutere del dramma della disoccupazione con i rappresentanti del governo, delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali. Oltre a riflettere su ciò che già fa la Chiesa, verrà posto all’ordine del giorno il problema della disoccupazione, terreno su cui la mala pianta della mafia attecchisce. L’impegno della Chiesa è di prospettare soluzioni concrete. Non una passerella, ma uno spazio offerto in particolare ai giovani, per capire come creare lavoro che dia loro dignità proponendo l’esempio di don Pino Puglisi, che con la sua azione coraggiosa e costante di evangelizzazione e promozione umana, di formazione e di denuncia profetica, costituisce quello che mi piace denire il “metodo Puglisi” e rappresenta un raro e fecondo seme di speranza e di riscatto per una vita più dignitosa».