Sulle colline della Valle dell’Ombrone che si ritagliano uno spazio tra le province di Siena e Grosseto, c’è un monastero dalle forme cistercensi che impreziosisce lo scenario dei poggi toscani da appena vent’anni. Se la memoria immagina subito vetrate istoriate e antichi codici, gli occhi restano meravigliati da un gioiellino all’avanguardia, la cui struttura − progettata esclusivamente con materiali ecocompatibili − non fa mistero d’essere figlia del terzo Millennio. Stiamo parlando del monastero di Siloe, che sette monaci arrivati nelle colline maremmane da varie località del Centro-Nord Italia hanno costruito a Poggio del Sasso, frazione di Cinigiano. Quella di fondare un monastero sembrava pura utopia eppure, a furia di sognarlo, nel 1996 il progetto è diventato realtà. Il 16 dicembre dell’anno successivo poi – esattamente vent’anni fa – anche il vescovo di Grosseto ha riconosciuto questa comunità come «associazione pubblica di fedeli» che vive secondo la regola del santo di Norcia pur senza appartenere formalmente all’ordine di san Benedetto.
A ricordare l’avventura della fondazione è padre Stefano Piva che abita a Siloe insieme a sei confratelli e due novizi: «Siamo stati accolti nella diocesi di Grosseto, dove non esisteva ancora un monastero. Non avevamo soldi ma grande determinazione e ci ha dato una mano la Provvidenza». La Provvidenza per Siloe ha avuto il volto di una donna del posto che ai primi cinque monaci, muniti di tanta volontà ma poco denaro, ha regalato 11 ettari di oliveto adagiati sopra una collina (oggi diventati 25). Proprio in corrispondenza delle Pescine (come veniva chiamato questo luogo con una sorgente d’acqua, ndr) è nato il primo nucleo del monastero di Siloe, consegnato alla vita con lo stesso nome della fonte sacra di Gerusalemme.
COSTRUIRE SENZA FRETTA
Negli anni, il sogno è cresciuto grazie al sostegno di benefattori e dei bandi nazionali ma ancora oggi l’opera non è conclusa. Il complesso procede lento come lo stile dei monaci che lo abitano e che non hanno nessuna fretta: «Nel 2005 abbiamo inaugurato il lato est con le celle, mentre quattro anni fa abbiamo concluso la parte sud, con una sala conferenza, un luogo di accoglienza per gruppi e la biblioteca. Ora manca il lato ovest, per il quale il progetto prevede stanze per l’ospitalità e soprattutto la chiesa».
In questi vent’anni infatti i monaci di Siloe hanno scandito il ritmo delle proprie giornate recitando le Ore – dalle lodi alla compieta – nella cappella della Santissima Trinità, costruita all’arrivo ristrutturando un vecchio ovile. Una scelta che simbolicamente, anche in un punto fisico, mette in collegamento il rispetto delle preghiere quotidiane con la vocazione al lavoro, altra attività ineludibile della comunità e peraltro prevista dalla regola dell’ora et labora.
I PRODOTTI DELLA TERRA
Anche in questo caso i monaci hanno però reso attuale il lavoro dei campi, mettendo in piedi un’azienda agricola che produce olio, vino, legumi, peperoncino, miele e cereali ma che rispetta i dettami del biologico e la biodiversità. A Siloe si limita lo sfruttamento di risorse naturali, si preferisce il concime organico ai pesticidi chimici e si applica la tradizionale rotazione delle colture per favorire la fertilità del suolo, anche se – ammette padre Stefano – «all’inizio non è stato facile lavorare la terra; abbiamo dovuto imparare le tecniche di coltivazione da autodidatti e metterci in gioco».
I risultati però arrivano e hanno la forma di legumi e grani antichi come il cece nero o il grano Triticum turanicum dalle ottime proprietà nutrizionali ma dalla bassa resa rispetto ai grani moderni che sul mercato lo hanno soppiantato. Tra le varietà che crescono a Siloe, si scopre anche una coltivazione di zafferano, tipica dell’antica Maremma, poi scomparsa nell’era contemporanea e oggi recuperata dai monaci. «L’attenzione al territorio e all’ambiente fa parte da sempre della tradizione monastica ma per noi oggi è una responsabilità ancora più specifica», spiega padre Stefano. «Vogliamo essere testimoni di un modo corretto d’abitare il creato: stare a contatto con la terra aiuta ad avere una visione più giusta di se stessi e avvicina a Dio».
Proprio per le sue iniziative “verdi” Siloe sta diventando un punto di riferimento per le realtà che sognano un umanesimo ecologico in linea con l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco e che a livello italiano si sono riunite nella Rete nazionale dei centri per l’etica ambientale. Durante l’estate il monastero apre quindi le porte per conferenze sul tema della cura del creato e in luglio ospita il Siloe Film Festival, una rassegna giunta alla quarta edizione durante la quale vengono proiettati cortometraggi su tematiche ambientali.
LA PORTA È SEMPRE APERTA
Ma qui accorrono anche pellegrini in cerca di tranquillità e accoglienza. «In tutti i momenti dell’anno passano diverse persone che ospitiamo nelle quattro casette di legno realizzate l’anno scorso», racconta padre Stefano. «Vivono con noi qualche giorno: molti hanno bisogno di staccare e ricercare un po’ di pace interiore, altri si trovano in momenti particolari della vita. In questi anni ho notato che tante persone si sentono perse avendo poco tempo da dedicare a sé durante le proprie giornate».
Da questa valle dove regna il silenzio, il monastero di Siloe dimostra che vivere secondo una regola vecchia millecinquecento anni non solo è ancora possibile ma è una scelta attuale, che permette di «stare in prima linea» e affrontare le problematiche del nostro tempo. «Il monachesimo non è mai stato sganciato dalla realtà», conferma padre Stefano. «Non siamo qui per evadere dal mondo ma per vivere l’oggi con uno spirito diverso, quello della lentezza».
IL CASO: AL MONASTERO ECOLOGICO L’ARCHIETTURA È BIOMODERNA
A unire l’antica tradizione monastica alle tecniche del nostro tempo nel monastero di Siloe è anche l’architettura. Da un lato, infatti, il complesso rispetta le parti strutturali dei monasteri: la pianta quadrangolare, il chiostro su cui s’affaccia la sala capitolare più bassa di qualche gradino a ricordare la vasca battesimale, l’orientamento della chiesa che fa parte della simbologia cristiana e nel contempo favorisce l’esposizione solare. Dall’altro, l’edificio progettato dal bergamasco Edoardo Milesi s’ispira alle tecniche della moderna bioarchitettura che suggerisce l’uso di pietre locali e materiali come legno, rame e ferro che garantiscono il minimo spreco energetico. Infine le risorse naturali usate derivano da fonti rinnovabili: l’acqua viene attinta da un pozzo e poi smaltita attraverso un impianto di depurazione; con l’impianto fotovoltaico e solare-termico la comunità ottiene energia mentre per il riscaldamento sono sfruttate le biomasse ricavate dagli scarti della lavorazione delle olive che i monaci stessi coltivano.
Foto di Pietro Paolini/Terraproject