Subito dopo la morte, cosa succede al corpo e all’anima? L’anima sopravvive nell’attesa del Giudizio Universale finale? - GIUSEPPE SCHILLACI
La dottrina cattolica tradizionale, anche per il bisogno di trovare parole adatte rispetto un tema così complesso, ha da sempre affermato che, nel momento della morte individuale, l’anima si separa dal corpo continuando a sopravvivere nella visione beatifica, per poi ricongiungersi al corpo nella risurrezione finale. Tuttavia, posta in questi termini la questione non è priva di problemi, come rilevato dalla teologia degli ultimi secoli. La lettura antropologica di fondo, infatti, sembra essere quella platonica (il dualismo corpo-anima), che non corrisponde all’antropologia biblica, la quale vede l’uomo come un tutt’uno di corpo, anima e spirito senza separazione alcuna. Perciò, è tutto l’uomo che risorge in quanto con la morte, la sua vita, la sua libertà, la sua storia, cessano di vivere qui per essere “con Cristo” nella risurrezione. Come afferma la Lettera della Congregazione della dottrina della fede del 1979, la risurrezione si riferisce «all’uomo tutt’intero» e, pertanto, col termine “anima” deve intendersi l’io umano della persona, «dotato di coscienza e volontà». Per cercare di semplificare (con l’avvertenza di approfondirle) possiamo dire tre cose:
1. La fede cristiana crede nell’immortalità dell’anima dopo la morte, ma ciò non va inteso nel significato della visione filosofica greca, bensì nella visione offerta dalla Scrittura: l’anima è intrinsecamente unita al corpo nell’unica persona. Il corpo, nella Bibbia, non è mai una prigione dell’anima o un “rivestimento esterno” ma nell’unità col corpo e con lo spirito, dice la totalità della persona, l’io individuale di ciascuno.
2. Di conseguenza, chi muore “in Cristo”, e perciò nella sua grazia, vive il momento della morte come compimento della sua esistenza ed entra da subito in una nuova condizione qualitativa della vita, cioè risorge “con Cristo”. La risurrezione interessa, quindi, il suo “io umano” (che per l’appunto corrisponde a ciò che chiamiamo “anima”). Nelle parole del teologo Ancona: la risurrezione «non rimanda semplicemente all’idea di un’immortalità dell’anima di marca greco-romana, ma ad una verità teologica che richiama […] il dono dello Spirito della vita di Dio, che crea e conserva nell’essere la sua creatura. In questo senso, ciò che vive o sopravvive non è una parte dell’uomo, ma l’intera identità umana nella sua nuova condizione di esistenza, libera da ogni forma di limitazione spazio-temporale» (G. Ancona, Escatologia cristiana, Queriniana, 2013, p. 324).
3. Dunque, la totalità umana della persona, in una condizione nuova rimane tale davanti a Dio e risorge, essendo più grande dei singoli organi del corpo, che si decompongono. Al contempo, trovandosi in una nuova condizione temporale, non si tratta di “risurrezione momentanea” in attesa della fine, quanto piuttosto dell’inizio di un processo di trasformazione che troverà il suo compimento nella venuta finale del Signore: siamo già con Cristo subito dopo la morte, ma lo saremo pienamente alla fine, insieme ai fratelli e alle sorelle del suo Corpo. La risurrezione, infatti, non è solo un fatto individuale, ma un processo che coinvolge, come nella vita terrena, la relazione con gli altri e con il creato.