Diciamo sempre che l’8 marzo è tutti i giorni e che al rispetto della dignità delle donne tocca pensarci sempre. Invece ci sono donne dimenticate tutti i giorni e che tutti i giorni subiscono violenza, perché donne, e perché cristiane. C’è una persecuzione religiosa ancora più odiosa, ancora più infame, suscitata dall’odio
religioso, o prendendo a pretesto l’odio religioso, che abbiamo visto agire il 7 ottobre sulle donne israeliane, ostaggio dei terroristi di Hamas. È una persecuzione che agisce in tanti Paesi dove le minoranze cristiane sono emarginate, isolate, rese fragili in contesti fragili, dove sono i bambini e le donne a pagare il prezzo più alto. Matrimoni forzati come pressione, violenza sessuale come strategia di guerra, percosse, torture.
Insomma, c’è una persecuzione religiosa specifica di genere che non suscita attenzione, interesse e indignazione, non scatena cortei. Porte aperte è una onlus che ha trent’anni di vita e si occupa dei cristiani perseguitati, fornendo notizie, sostegno, assistenza pratica e spirituale. Basta scorrere il report di quest’anno sul Gender specific religious persecution. Leggere la lista dei Paesi a rischio che è lunga (ben 78). Camerun, Myanmar, India, Pakistan, Nigeria… Proprio in Nigeria i cristiani vengono presi di mira con sequestri di massa. È passata sotto silenzio la notizia terribile di 200 donne e bambini rapiti nel nord-est dai miliziani di Boko Haram.
Ricordiamo questo nome temibile? Ricordiamo le 276 studentesse rapite a scuola, a Chibok, 10 anni fa? Che ne è stato di loro? Più di cento sono ancora prigioniere. Convertite a forza, sposate a forza, diventate madri a forza, forse uccise. Avevano tra i 16 e i 18 anni. Nessuna famiglia ha avuto più loro notizie né il governo si è sforzato molto per liberarle. Sono passati dieci anni, e purtroppo dobbiamo amaramente constatare che, se non spinti da motivazioni politico-ideologiche, dei diritti delle persone, e perfino delle donne, ci importa assai poco. Realtà troppo lontane, non ci servono come bandiera. In un mondo tranquillo (fino a quando?) dove si può liberamente fare a meno di Dio, che si possa
morire per Dio ci pare assurdo e forse incredibile. Ci saranno altri motivi, si pensa. La fede non c’entra, sono questioni razziali. L’incomprensione della realtà minimizza. Non è così: le donne cristiane subiscono violenza in quanto cristiane, in quanto caparbiamente cristiane. Vanno nelle scuole cristiane, partecipano alle liturgie anche a rischio della vita. Non si convertono alla jihad. La violenza può piegarle, ma non nel profondo del cuore. Come accadeva nei primi secoli della Chiesa, anche la schiavitù è martirio. E nel nostro tempo le persecuzioni dei seguaci di Cristo sono atroci e numerose.
Possiamo fare ben poco. Però possiamo non dimenticare, pregare per loro e ricordare a tutti che tra i tanti diritti che spuntano a ogni sospiro e fremito, quello alla vita è primario. Alla libertà di vivere professando la propria fede. Finché arrivi il giorno, forse non così lontano, che proprio nella patria dei diritti quelli dei cristiani saranno dimenticati. Se non gridiamo noi, grideranno le pietre.