dI Giovanni Ferrò
foto di Giovanni Hänninen
C’è chi la chiama affettuosamente Bones e chi la paragona ai protagonisti della serie tv Csi. Cristina Cattaneo non dà però quell’idea di cruda efficienza delle star americane protagoniste delle serie crime televisive. Semmai, ciò che trasmette alla prima impressione è un senso di empatia con le vittime, la muta solidarietà nei confronti di chi è stato offeso dalla vita con una morte tragica e violenta. Docente di Medicina legale e direttrice del Labanof, il Laboratorio di antropologia forense dell’Università di Milano, la professoressa Cattaneo è forse l’antropologa forense più famosa d’Italia: si è occupata dei grandi casi di cronaca nera italiani, da Yara Gambirasio a Elisa Claps. Ideatrice del Musa (Museo universitario delle scienze antropologiche, mediche e forensi per i diritti umani), è anche autrice di alcuni libri, tra cui lo straziante Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo (Raffaello Cortina editore). Sì, perché, a un certo punto Cattaneo è finita anche a occuparsi dei migranti non identificati morti nel Mediterraneo, cercando di dar loro un nome e una tomba su cui i familiari potessero piangerli.
Professoressa, com’è iniziato tutto?
«In maniera abbastanza naturale: il laboratorio che dirigo nasce nel 1995 con la missione proprio di restituire un’identità ai morti. Poi ci siamo evoluti, occupandoci anche di crimini e altre questioni, ma il cuore del Labanof era questo già 30 anni fa. Il fatto è che l’antropologia, essendo una disciplina che tende a ricostruire il “profilo biologico” della persona a partire dai suoi resti, è sempre stata la disciplina più indicata ad affrontare il problema dei morti senza nome. Già negli anni Novanta c’era il problema di chi viveva ai margini della società o anche chi si perdeva per qualche motivo e che, poi, poteva finire sepolto sotto una lapide con su scritto “sconosciuto”. Dunque, noi ci siamo occupati da sempre di questo tema, ma sicuramente il problema del diritto all’identità dei morti è “esploso” con il succedersi dei naufragi dei barconi di migranti nel Mediterraneo».
Per identificare questi corpi sconosciuti voi avrete a che fare con i parenti che cercano di sapere qual è stata la sorte dei loro cari e che non hanno risposte a distanza anche di anni. Che cosa le chiedono? Qual è la loro “tragedia nella tragedia”?
«La parola chiave sono proprio i parenti, coloro che hanno perso il loro caro. Spesso si sottolinea che restituire l’identità ai morti è questione di rispetto della dignità della persona che non c’è più. Questo è certamente vero, ma c’è anche altro: c’è il diritto sacrosanto di chi sta dietro a quei morti. Faccio un esempio, tornando ai migranti nel Mediterraneo: un bambino, che magari è stato lasciato in un campo profughi perché mamma e papà sono partiti prima, perché non potevano portare tutta la famiglia, o perché volevano preparare il terreno. Ecco, se i genitori muoiono nella traversata e non c’è un certificato di morte, l’orfano non può essere adottato. Simile situazione vale per le vedove. E oltre ai problemi amministrativi, per la vita di chi rimane c’è anche il tema della salute mentale: pensiamo a una mamma che non sa se il figlio è vivo o morto. Gli psichiatri chiamano questo limbo “perdita ambigua”, cioè una zona grigia dove non si riesce a elaborare il lutto perché non si hanno certezze, una situazione che porta quasi sicuramente a malattie e a disagio psichico. Quindi, identificare i morti è un diritto alla salute mentale di chi quei morti li cerca disperatamente. Spesso riteniamo che questo sia un problema degli “altri”, di stranieri che vivono in Paesi lontani, ma soltanto nella città di Milano – non a Lampedusa, quindi – negli ultimi vent’anni sono stati sepolti 101 morti sconosciuti. E ogni anno, due o tre corpi si aggiungono a questa lista senza nome».
Continua….
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• Questa intervista con Cristina Cattaneo, fa parte di Viandanti della speranza, una serie di dialoghi con personalità del mondo ecclesiale, della cultura, dell’impegno sociale, dello spettacolo e dello sport in preparazione al Giubileo 2025. Si tratta di un progetto multimediale che, oltre al servizio su Credere, comprende anche la versione televisiva di questa intervista che sarà trasmessa su Telenova (Canale 18 del digitale terrestre in Lombardia e Piemonte orientale) martedì 10 settembre alle 22.30 e mercoledì 11 settembre alle 11.00. Il video di tutte le interviste è disponibile anche su App e sito di Telenova (www.telenova.it).