L'ALFABETO DELL'ETICA
3. Compassione
Il resoconto sulla lezione del Dalai Lama sulla compassione è la terza
tappa della serie "L'alfabeto dell'etica", un'indagine sulle parole
e i concetti da riscoprire per orientarsi di fronte alle sfide del
nostro tempo. La serie è stata inaugurata dalla conversazione con Laura Boella sull'immaginazione come facoltà morale ed è proseguita con l'intervista a Richard Sennett sulla collaborazione quale modalità vincente della convivenza. Il rispetto sarà il tema del quarto appuntamento.
«C'è poi chi considera assodato
che provare compassione per il prossimo
sia utile soltanto agli altri
e non a sé stessi.
Anche questo è un errore»
(Dalai Lama,
La felicità al di là della religione).
L'uomo compassionevole gode di buona salute. La nostra felicità dipende da quella degli altri. Perciò, se vogliamo essere egoisti, conviene che lo siamo in modo intelligente: cioè prendendoci cura degli altri e provando compassione per ogni essere umano. Hanno la dirompente forza della semplicità le parole del Dalai Lama, massima autorità spirituale (e fino a poco tempo fa anche politica) del popolo tibetano, reduce da una lunga visita in Italia in coincidenza con la pubblicazione del suo La felicità al di là della religione. Una nuova etica per il mondo (Sperling & Kupfer).
«Se mi rivolgessi a voi pensando che sono monaco, che vengo dal Tibet, che sono un maschio, creerei immediatamente una distanza fra me e voi», ha esordito davanti a un Forum di Assago gremito per la sua lezione. «Se vogliamo incontrarci, dobbiamo pensare invece al fondamento comune che rende uguali tutti gli esseri umani: il desiderio di felicità, la pura del dolore...». Persistere a inventare differenze, a erigere steccati è anacronistico, perché oggi «viviamo in un mondo in cui tutto è globale - l'economia, l'ambiente, i diritti. Ragionare in termini di "noi" e "gli altri" non ha senso: oggi quel "noi" è l'umanità intera. Un detto indiano dice: il tuo sangue è il mio sangue, la tua terra è la mia terra... Significa che la tua felicità è la mia felicità, il tuo dolore è il mio dolore. Quindi, se volete essere egoisti, siatelo in modo intelligente: occupatevi degli altri. I primi a trarne beneficio non saranno loro, bensì voi stessi».
«Sono nato nel '35, il prossimo mese compirò 77 anni», ha continuato il leader tibetano. «Da quando sono bambino, sono stato testimone di guerre e violenze. Il XX secolo è stato segnato da tanti conflitti, si calcola che siano state uccise 200 milioni di persone. È stato il secolo della bomba atomica. Io stesso, di recente, ho conosciuto un'anziana, che ancora ne soffriva gli effetti Il XXI secolo si è aperto con nuove tensioni, spesso derivate dai nodi irrisolti del secolo precedente. È tempo di trovare un nuovo approccio, e questo non può che essere il dialogo. Il dialogo e non le armi. Provate a fare del XXI secolo l'epoca del dialogo! Su che cosa si fonda? Sul rispetto degli altri, sul diritto di ciascuno a essere felice. Non possiamo più rapportarci agli altri in termini di vincitori e vinti: di fronte agli inevitabili conflitti di interesse, è necessario negoziare».
L'etica che si sta profilando, sottolinea il Dalai Lama, «si fonda unicamente sull'intelligenza dell'uomo, sulla consapevolezza di ciò che ci è utile e di ciò che ci danneggia. L'onestà, il dialogo, la tolleranza generano fiducia e amicizia. Alcuni ritengono che la felicità derivi dalla richezza: ai miei amici ricchi dico che quando si sentono soli», ha raccontato, con quell'amabile ironia che lo contraddistingue, «diano dei bacetti ai diamanti che portano alle dita». E veniamo così al cuore del suo messaggio: è ignoranza pura pensare e agire sulla base della convinzione che l'egoismo, la chiusura, l'odio, ovvero tutti i sentimenti e i comportamenti che escludono e feriscono gli altri aumentino la nostra felicità. «Fin da bambini, ci è evidente che il nostro benessere dipende dagli altri. Il neonato lo sa perché "dipende" dalla mamma. Ecco perché chi ha compassione per gli altri sta bene, nel fisico e nell'animo. Chi ne è consapevole, mette in atto una sorta di egoismo saggio e intelligente». Un egoismo altruistico, insomma.
Uno degli elementi più interessanti del saggio La felicità al di là della religione e degli insegnamenti tenuti dal Dalai Lama sta nel fatto che questa tesi centrale - la nostra felictà dipende da quella degli altri, quindi solo chi è aperto e compassionevole è felice - è surrogata con i risultati delle più recenti scoperte scientifiche. «È stato dimostrato che l'odio e la paura distruggono le difese immunitarie, mentre la bontà le rafforza. Che fare del bene, aprirci agli altri, accresce il nostro benessere. Al contrario, ci sono ampie evidenze scientifiche che gli atteggiamenti negativi si ripercuotono in maniera negativa su noi stessi, prima ancora che sugli altri».
I principi illustrati vanno a costituire quella che il Dalai Lama definisce "un'etica secolare". Qualcuno l'ha definita anche etica laica, ma è lui stesso ad avvisare che si tratta di un'espresisone fuorviante, perché non si pone in contrapposizione con le religioni. Certo, essa si configura come un'etica fondata sull'intelligenza dell'uomo, non su dettati religiosi: in questo senso prescinde da ogni contenuto religioso, nel tentativo di essere un'etica universale, comprensibilie accettabile da tutti, al di là della nazionalità e delle fedi. Quindi un'etica adatta al mondo globalizzato, in cui non esistono più le piccole comunità chiuse di una volta. Un'etica, ancora, che ha una componente utilitarista, in quanto propone la compassione - espressione suprema dell'apertura agli altri - per i benefici che porta in dono a chi la prova, ancor prima che al beneficiario.
L'etica della compassione, l'etica che scaturisce dalla consapevolezza che la tua felicità non è in competizione con la mia, ma che sono interdipendenti, «va insegnata fin da bambini. La chiave di tutto, infatti, è l'istruzione, l'educazione», ha aggiunto il Dalai Lama, accennando a un progetto molto suggestivo a cui sta lavorando in India: «Stiamo tentando di redigere le linee guida di un'etica secolare e universale da insegnare in tutte le scuole».
La risposta a una domanda del pubblico chiarisce un altro aspetto interessante, ovvero la sua filosofia delle emozioni. Lo fa parlando della paura: «Può essere di due tipi. Quella che si basa su ragioni reali, è utile, perché attiva le nostre risorse per reagire a un pericolo che è, appunto, reale. Questa forma di paura è utile. Quella derivante dalle nostre proiezioni mentali, invece, è inutile». Ancora una volta un approccio utilitaristico, dunque. «Quando siamo chiamati a gestire una tragedia, dobbiamo essere molto realisti: analizzare la situazione e valutare le vie d'uscita. In questo caso, la pura è utile. Se, al contrario, la tragedia è inevitabile, bisogna accettarla, evitando uno spreco di energie per ciò che è immutabile. Ogni emozione ha una doppia faccia. Anche l'egoismo: se si declina come sopraffazione degli altri, è dannoso, non solo a loro, ma anche a noi stessi, perché causa sfiducia, odio, livore. Se invece si esprime come una sana fiducia in sé stessi, come consapevolezza della capacità di dare beneficio agli altri, allora è utile e positiva».
Il Popolo tibetano considera il Dalai Lama come la propria guida spirituale, simbolo dell'unità, della storia e della tradizione culturale e religiosa del proprio Paese e - fino a poco tempo fa, quand'egli vi rinunciò - anche il leader politico. Secondo il buddhismo, i Dalai Lama si succedono in reincarnazioni, che vengono riconosciute con un processo complesso e antichissimo.
Tenzin Gyatso, l'attuale Dalai Lama, il 14°, è nato da una famiglia contadina nella regione tibetana dell'Amdo il 6 luglio 1935. Dai sei ai 23 anni, ha ricevuto un'educazione monastica, studiando con i principali maestri tibetani contemporanei, fino a conseguire a pieni voti il titolo Gheshe Lharampa, un dottorato in filosofia buddhista. Nel 1950, ancora giovanissimo, è stato chiamato ad assumere i pieni poteri della sua carica, a causa del precipitare della situazione politica, in seguito all'invasione cinese del Tibet. Dopo aver cercato vanamente una soluzione pacifica, nel 1959, a causa della brutale repressione della rivolta di Lhasa, fu costretto a fuggire in India, dove vive tuttora, precisamente a Dharamsala, che è anche la sede delle principali istituzioni tibetane in esilio. Qui lavora per il bene del suo popolo, aiutando i profughi e cercando di far valere i diritti umani in Tibet e di preservarne l'integrità culturale. Ha proposto un piano di pace in cinque punti.
Da sempre si è opposto all'uso della violenza ed è stato, ed è ancora oggi, uno strenuo fautore della compresione fra i popoli e le religioni. Ha dato vita alla democratizzazione interna del Tibet, abbandonando ogni carica politica in favore del Governo in esilio democraticamente eletto fra i membri della diaspora tibetana. Accanto al suo impegno per la pace, continua a meditare e a insegnare. Nel 1989 gli è stato conferito il Nobel per la pace.
Si
chiama Tenzin Gyatso e in tre giorni ha “chiamato”circa diecimila persone che hanno pagato da venti a trenta
euro per sentirlo parlare nel grande palazzo dello sport di Milano. Una visita
a sorpresa al Duomo dove ha chiesto
fosse deposta sull’altare la sciarpa bianca di seta tibetana che è il suo
simbolo di pace. “Fa parte della mia pratica promuovere l’armonia tra le
religioni- ha detto- E vi dico che tutte le religioni portano lo stesso
messaggio e hanno tante pratiche comuni. L’obiettivo è di aiutare gli altri, il
consiglio è non cambiate la vostra religione”. Un discorso che il
quattordicesimo Dalai Lama ripete nel mondo sin dagli anni settanta, durante i
suoi pellegrinaggi.
A Milano, lo aspettava il conferimento della
cittadinanza onoraria promessa e poi negata dal sindaco Pisapia dopo un
intervento a gamba tesa del Governo cinese, che minacciava di sabotare l’Expo
del 2015. Poteva nascere un caso diplomatico ma
lui ha commentato senza polemica: “Succede ovunque vada”. La gente comune probabilmente
si è chiesta come e perché quell’uomo, premio Nobel per la pace, riesca a trasmettere un senso di pace e di
serenità a chi si avvicina a lui. E
anche per questo è nata la curiosità di
conoscerlo da vicino, di ascoltare i
suoi messaggi di pace in quello che è il tempio della musica pop.
Bene, voglio raccontarvi quello che mi è accaduto quando l’ho incontrato e conosciuto
personalmente. Qualche anno fa era
arrivato nel nostro Paese per incontrare i suoi fedeli in una “Casa del Tibet”
arrampicata sull’Appennino tosco-emiliano. L’invito era da una cara amica, Ivana Spagna, molto legata
al Dalai Lama. L’appuntamento era nella
piazzetta di un piccolo paese alle falde della
montagna: la piazza era stata allestita con grande semplicità, qualche
sedia riservata agli ospiti e tutto attorno il paese al gran completo, alunni
delle scuole compresi.
A un certo punto un acquazzone improvviso tentò di
rovinare la festa, ma nessuno si mosse e neanche un ombrello si aprì.
Nonostante la pioggia, qualche minuto
dopo arrivò il Dalai Lama con la sua tunica arancione e il braccio destro nudo. Si trovava qualche metro sopra la piccola piazza e mentre
tutti stavamo con il naso all’insù di
colpo la pioggia cessò e alle sue spalle
apparve un grande arcobaleno. Quasi fosse un segnale, subito i bambini
cominciarono a gettare petali di fiori su di lui e sulla gente in piazza. Un momento da brividi, vi garantisco.
Certo una straordinaria casualità, un
comune fenomeno meteorologico. Comunque era successo qualcosa che nessuno si aspettava.
Poi su sino alla Casa
del Tibet. E ognuno dei pochissimi invitati ebbe personalmente quella sciarpa
bianca che il Dalai Lama concede in segno di amicizia, un auspicio di serenità,
di pace interiore, quasi una specie di benedizione. “Usate il cuore", ha detto
durante le conferenza stampa a Milano e, rivolto a noi giornalisti: "Non
raccontate solo fatti negativi, abbiate il naso lungo come l’elefante,
informatevi, cercate di impadronirvi della conoscenza più completa e raccontate
la verità”.
Ecco, forse queste parole e
la mia piccola storia “fantastica” possono aiutare a capire ciò che quell’uomo, perseguitato con la sua gente, rappresenta
per chi si avvicina a lui. Quello che ho avuto il privilegio di vivere lo considero momento magico. Un segno di pace che, soprattutto di questi tempi, è quasi una
benedizione.