Un labirinto che riapre nella più dedalica città del mondo. Proprio quando riapre anche il “labirinto” Venezia. Quasi un presagio di rinascita, un auspicio di tempi migliori per quella che è stata tra le città più sedotte e abbandonate dai visitatori durante la pandemia.
Lo splendido labirinto vegetale dedicato a Borges e alla sua arte, posto al centro dell’isola di San Giorgio, è finalmente visitabile e percorribile in tutto il suo chilometrico percorso, composto da 3200 piante di bosso fittissimo. Fu creato dieci anni fa dalla Fondazione Giorgio Cini grazie all’abilità dell’architetto inglese Randoll Coate, diplomatico, ma soprattutto labirintologo, amico di Borges, che nel labirinto aveva trovato il simbolo perfetto del tempo e della vita. A volere questa creazione vegetale fu la vedova del grande scrittore argentino morto 35 anni fa, Maria Kodama, che intendeva ricordare così l’amore del marito per la città lagunare.
Quello che riapre oggi è un sogno realizzato e, al contempo, un dono: quello di un amico a un artista e alla città che forse meglio rappresenta il “labirinto”: Venezia, perché ancor prima della sovrabbondanza di simbologie e richiami criptici contenute tra quelle siepi, quell’intrico dei bossi richiama in modo fisico l’intrico di calli, svolte, rio terà, fondamente in cui si dipana da sempre l’andare pedestre nella città dei dogi. Ma di più: in entrambi a casi, sia in quello vegetale che in quello cittadino, il labirinto si svela per quello che è, e cioè, linearmente la via più lunga per raggiungere un posto, ma anche l’unica strada per vivere quel luogo, e forse ogni luogo, se davvero vuoi conoscerlo. E’ l’andare girovagando, perché il perdersi è il ritrovarsi. L’orientarsi disorientandosi. E il labirinto diventa la vera “guida”, che irridendo googlemappari e tourguidati, ti squaderna il vero volto di un posto e, insieme, quello del viaggiatore che vi giunge e vi sta.
Per il grande scrittore argentino il labirinto è l’amato simbolo archetipico del caos che il destino ha inserito come variabile impazzita delle nostre esistenze, per crearne disorientamento e insicurezza. Un po’ come la città indeterminata, e perciò labirintica, in cui Italo Calvino pone il viaggiatore contemporaneo, il quale “gira gira e non ha che dubbi: non riuscendo a distinguere i punti della città, anche i punti che egli tiene distinti nella mente gli si mescolano”, come scrive nelle “Città invisibili”.
L’ispirazione per il disegno del labirinto vegetale venne data a Coate dal celebre racconto di Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano dove proprio i simboli del labirinto e del libro sono al centro del testo. Vi si racconta la vicenda del professore cinese Yu Tsun, spia al servizio della Germania, che vive in Inghilterra durante la Prima Guerra mondale. Continuamente braccato dal Richard Madden, non ha modo di comunicare la posizione dell’artiglieria britannica ai suoi superiori tedeschi. Così escogita un piano. Dall’elenco telefonico ricava il nome della persona che può fare da tramite per l’informazione. Si chiama Stephen Albert, che per coincidenza è uno studioso di letteratura cinese e anche dell’opera di Ts’ui Pen, antenato del protagonista, noto per due opere: un romanzo, all’apparenza senza senso, e un labirinto che nessuno però è mai riuscito a trovare. Proprio Albert ha scoperto l’enigma che si cela dietro l’opera di Ts’ui Pen: libro e labirinto non sono nient’altro che la stessa opera, ovvero il giardino dei sentieri che si biforcano. L’epilogo è da romanzo giallo: Yu Tsun uccide con un colpo di pistola Albert e poi si lascia arrestare. Ma tutto ciò gli permette di portare a termine la missione, perché la notizia dell’assassinio esce sui giornali e arriva in Germania dove riescono a decifrare il messaggio: la località dove si nascondeva l’artiglieria inglese era una cittadina che si chiamava Albert. Un “indovinello, una parabola” come l’ha definita Borges, travestita da surreale spy-story, che ci parla del tempo, “senza mai menzionarlo” direttamente, ma girandoci attorno, con circonlocuzioni.
Ilaria D'Uva e Antonio Fresa
A fare da filo di Arianna nel percorso labirintico non c’è una guida “diretta”, a parole, a parte l’introduzione multilingue. L’idea suggestiva di Ilaria D’Uva, l’audiovisionaria titolare dell’omonima azienda che si occupa da 60 anni di valorizzare siti culturali e museali italiani, è stata quella di accompagnare il visitatore nel suo smarrirsi dentro le siepi con l’aiuto della sola musica. Così nasce Walking the labirinth, la suite in quattro movimenti composta dall’eclettico musicista Antonio Fresa, già coinvolto da D’Uva per accompagnare la visita alle adiacenti Vatican Chapels, nel padiglione della Biennale dedicato a Città del Vaticano.
Stavolta il brano, eseguito dall’Orchestra del Tetro La Fenice, è un percorso a ritroso nel tempo, che parte dall’evaporazione, la fine della vita, per proseguire indietreggiando, alla solidità dell’età matura; e poi ancora al caos (labirintico) della giovinezza, dove ancora a ogni biforcazione tutte le direzioni sono possibili come in un continuo Sliding Doors; per finire con l’inizio, quello della nascita che è la via d’uscita dal labirinto, ma che ne è anche l’ingresso, in un ciclico, perenne movimento.
Quanto si sperimenta immersi nella musica è visibile anche dall’alto della terrazza Grassi dove il labirinto diventa “leggibile” nella sua grafia verde: dall’alto infatti, disegnati dal bosso, sono visibili i simboli prediletti da Borges: il punto di domanda, il bastone, lo specchio, che si accompagnano alle lettere del suo nome e all’immancabile libro (o enciclopedia), che guarda caso richiama al contenuto della splendida biblioteca di palazzo Grassi. Tutto si sdoppia, ma tutto si tiene, come nell’universo di Borges. E ancora tornano alla mente le parole di Calvino: “Un libro è qualcosa come un principi e una fine, è uno spazio in cui il lettore deve entrare, girare, magari perdersi, ma ad un certo punto trovare un’uscita, o magari parecchie uscite, la possibilità di aprirsi una strada per venirne fuori”. Appunto, un labirinto.
Alla fine si scoprirà che per uscirne, dobbiamo riconoscere il labirinto che sta in noi; il labirinto che siamo noi. Questa consapevolezza di essere dedalici e non lineari, contorti e non retti, criptici di noi stessi, è, forse, già l’inizio per poter districare l’intrico delle nostre coscienze. Verrebbe da dire: vietato l’uso di geolocalizzatori che cancellano il senso ltimo del viaggio, per portarti alla meta senza aver compreso la direzione. E’ il trionfo di Borges, a cui Venezia presta i suoi labirinti come onirico palcoscenico celebrativo, e Fresa la sua colonna sonora. Nel perdersi, in realtà non ci si perde nulla, anzi.
Il Labirinto Borges è visitabile tutti i giorni, escluso il mercoledì.
Le visite si prenotano su visitcini.com, dove sono disponibili anche i tour della Fondazione Giorgio Cini e delle Vatican Chapels. Le musiche dell’audioguida Walking the labirinth del maestro Antonio Fresa si trovano anche in disco (The Borges Labirinth & Vatican Chapels Live, A soundtrack experience).
Per informazioni o comunicazioni: info@visitcini.com.