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lunedì 09 settembre 2024
 
 

Riforma Difesa, a qualcuno pare finta

17/02/2012  Il ministro Di Paola annuncia il taglio di 41 aerei F-35 e di 43 mila unità. La società civile fa i conti. Che non tornano. Invoca misure più radicali. E il 25 febbraio scende in piazza

Meno generali, meno ammiragli, meno aerei F-35, meno mezzi militari, meno effettivi, il tutto per garantire più operatività alle Forze Armate e migliorare le loro dotazioni tecnologiche. Questo l'obiettivo della riforma dello strumento militare, secondo quanto sintetizzato dal responsabile della Difesa, Giampaolo Di Paola. Sono stati giorni intensi e cruciali, per il ministro. L'8 febbraio ha partecipato al Consiglio supremo della Difesa, al Quirinale, presente il padrone di casa, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il 14 febbraio ha presentato il nuovo modello di difesa al Consiglio dei ministri e l'indomani, il 15 febbraio, ha fatto altrettanto davanti alle Commissioni difesa della Camera e del Senato riunite in seduta congiunta.   

«Abbiamo uno strumento militare sovradimensionato e sottocapitalizzato», ha affermato il ministro della Difesa. «Per ogni 100 euro di ricchezza nazionale prodotta», ha ricordato Di Paola, «90 centesimi vanno alle Forze Armate, contro una media di 1 euro e 60 centesimi dell'Europa. E queste risorse vanno per il 70% (contro il 50% dell'Europa) al personale e solo il restante 30% all'operatività ed agli investimenti. Serve dunque una riforma che riequilibri le risorse da mettere a disposizione: questi 90 centesimi debbono essere spesi bene».

Abbondano gli alti gradi, scarseggia la truppa. I generali sono ben 425, mentre c'è carenza di volontari in servizio permanente. Elevato anche il numero di marescialli, addirittura 55 mila rispetto ai 25 mila previsti. L'obiettivo è arrivare ad uno strumento militare composto in tutto da circa 150 mila unità nel giro di pochi anni, rispetto ai 183 mila effettivi attuali. Il taglio, dunque, è di 33 mila militari cui vanno aggiunti 10 mila civili inquadrati nella Difesa (oggi sono circa 30 mila). La forbice toccherà in misura maggiore generali ed ammiragli (-30%). Questo traguardo, è stato specificato, va raggiunto nell'arco di dieci anni, attraverso l'esodo verso altre amministrazioni e tramite i prepensionamenti che riguarderanno soprattutto gli ultracinquantenni, in coerenza con le esigenze di una Difesa più giovane ed operativa.

Non è, ha riconosciuto il ministro, «una riforma che si fa in un giorno o in un anno: parliamo di avviare un percorso che in un decennio porterà in equilibrio lo strumento militare». Il risultato, nelle aspettative del Governo, «sarà una struttura della Difesa ridimensionata nei numeri, ma in grado di esprimere un'operatività all'altezza delle aspettative dell'Unione europea e della Nato». E, per sottolineare la necessità di adeguarsi agli standard europei anche in questo campo, il ministro si è permesso di citare uno dei padri del Partito comunista, ricordando che «una volta Antonio Gramsci disse: per essere cosmopoliti bisogna prima avere una Patria».

Sarà ridotto il numero di basi militari, caserme ed enti nel Paese aprendo ad «un importante piano di dismissioni di immobili ed infrastrutture, quale contributo alla ristrutturazione della Difesa e come concorso al più generale risanamento finanziario del Paese», ha sottolineato Giampaolo Di Paola. Per la componente terrestre, ha spiegato il ministro, «si ridurranno le brigate di manovra da 11 a 9, la linea dei mezzi pesanti (carri e blindo), la linea degli elicotteri ed un numero significativo di unità per il supporto al combattimento (artiglieria) e logistiche». Per la componente marittima, ha proseguito, «si contrarranno le linee delle unità di altura e costiera (i pattugliatori, ad esempio, si ridurranno da 18 a 10), dei cacciamine e dei sommergibili (da 6 a 4)».

La scure, infine, non risparmierà il programma più caro e discusso: quello legato ai cacciabombardieri F-35 frutto del progetto Jsf, Joint strike fighter, sviluppato e realizzato non senza problemi di carattere economico (impennata dei costi) e pratici (difetti da correggere)  dalla Lockheed Martin. Il programma vale 15 miliardi di euro fino al 2026, di cui 2,5 già spesi.

Il nuovo modello di Difesa, con i relativi tagli, prevede l'acquisto di 90 cacciabombardieri F-35 invece dei 131 previsti dal programma Joint Strike Fighter, con una riduzione di 41 unità. La componente aerotattica, ha sottolineato Di Paola, «è irrinunciabile: ora è assicurata da Tornado, Amx e Av-8B, che nell'arco di 15 anni usciranno per vetustà dalla linea operativa. Saranno sostituiti da Jsf, che è il miglior velivolo in linea di produzione, nei programmi di ben 10 Paesi».

Via 30 mila militari, 41 cacciabombardieri F-35 in meno e tagli qua e là. Il titolo dato dal ministro Giampaolo Di Paola a questo film è accattivante: “meno generali ed ammiragli, più operatività e tecnologia”. Peccato che sia un film già visto e che il finale non ci piaccia per niente.

La regia è stata magistrale facendo cominciare il tutto alcuni mesi fa, quando nel Paese è cresciuta la consapevolezza dell’assurdità - in piena crisi economica - di spendere 15 miliardi di euro per 131 cacciabombardieri. Nelle televisioni e sui giornali, il ministro-ammiraglio Di Paola, che appariva sempre rigorosamente da solo, diceva che sarebbe stato rivisto tutto il "sistema difesa" e che l’F-35 non era un totem. Poi l’8 febbraio, un passaggio al Consiglio supremo di Difesa, al Quirinale, presente il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, quindi un San Valentino alquanto speciale, giocato a palazzo Chigi, al Consiglio dei ministri, con  l’ok del presidente Monti, che non ha risparmiato elogi per il ministro-ammiraglio Di Paola ed infine il Parlamento, il 15 febbraio, davanti alle Commissioni Difesa della Camera e del Senato riunite in seduta congiunta. Lì finalmente sono state fornite le cifre precise dell’”epocale” riforma.

Partiamo dalla questione cruciale in questa fase di crisi, cioè dell’aspetto economico. Il Presidente Monti ha detto che: «il nostro Governo, così impegnato nelle riforme strutturali, considera quella del modello di difesa proposta dal Ministro Di Paola un’importantissima riforma strutturale dal punto di vista economico». Peccato però che questa riforma, non porterà un solo euro nelle casse dello Stato, ma ridistribuirà al suo interno le risorse che oggi la Difesa gestisce in proprio. Dopo la manovra “salva Italia”, in cui si sono chiesti pesanti sacrifici a tutti gli italiani, ci saremmo aspettati un contributo anche dalla Difesa, ma non è così. Però, il ministro-ammiraglio di Paola ha presentato il suo bilancio come la Cenerentola dell’Europa, dove la media delle spese militari è dell’1,6%, mentre il nostro Paese si ferma allo 0,9%. Peccato che la Nato attribuisca all’Italia l’1,4% di spesa rispetto al Prodotto interno lordo, il Pil appunto, ma Giampaolo Di Paola si limita a contare solo i fondi della funzione Difesa, lasciando fuori quelli delle missioni e quelli dei sistemi d’arma finanziati con fondi del ministero dello Sviluppo Economico.

Che si spenda tanto e male, noi lo denunciamo da tempo, ma proprio per questo avevamo chiesto un ampio dibattito sul nostro Modello di Difesa per decidere poi dopo quanti uomini, donne e mezzi servono per rispondere a queste esigenze. La storia è vecchia, sentiamo parlare di "nuovo Modello di Difesa" da dopo la prima guerra del Golfo, e cioè dal lontano 1991, ma non troviamo traccia di un'apporofondita discussione da nessuna parte: troviamo semplicemente i provvedimenti presi di volta in volta o troviamo modifiche al bilancio della Difesa che di fatto cambiano la fisionomia del nostro strumento militare.

Stessa cosa avviene oggi. Si replica. Ed è proprio questo aspetto che ci piace di meno del finale già scritto di questo film. Si taglia il personale, per spostare le risorse per acquistare nuovi sistemi d’arma come l’F-35. Infatti il Modello che ha in testa il nostro ministro-ammiraglio è uno strumento agile con una forte componente aeronavale in grado di girare il mondo in difesa dei nostri interessi e, se necessario, anche di bombardare. Per questo serve la portaerei Cavour con imbarcati i cacciabombardieri F-35, cosa che sposta completamente l’asse delle nostre operazioni militari all’estero, caratterizzate principalmente da operazioni di peacekeeping. Ci sembra però che la strada indicata dalla nostra Costituzione all’articolo 11 vada in una direzione diversa.

Una cura dimagrante per i lavoratori con le stellette era d’obbligo, visto che allo stato attuale abbiamo più comandanti che comandati, ma anche qui negli ultimi anni di tentativi ne sono stati fatti diversi, ma tutti hanno portato zero risultati. Cosa fare? Spostare personale in altre amministrazioni, sì, ma con quali incentivi? E perché questo si fa per la Difesa e non per altri settori? Se gli oneri sono a carico dell’amministrazione che riceve, per lo Stato si crea un ulteriore aggravio di spesa. Noi non vogliamo lasciare a casa nessun padre di famiglia, però i 30.000 militari si devono spostare portandosi dietro il corrispettivo del costo dei loro stipendi. A queste condizioni per la loro ricollocazione c’è solo l’imbarazzo della scelta, dal controllo dell’ordine pubblico alla protezione civile, passando per la lotta all’evasione fiscale.

Veniamo al nodo cruciale degli F-35, con una tempistica incredibile mentre il ministro-ammiraglio annunciava il taglio di 41 esemplari degli F-35 da acquistare, il responsabile delle forniture del Pentagono e la stessa Lockheed Martin, azienda produttrice del JSF hanno detto che con i tagli dell’Italia e l’allungamento dei tempi di consegna dei prossimi 179 F-35 nel corso dei prossimi 5 anni da parte degli USA, il prezzo di ogni singolo caccia-bombardiere è destinato a salire ulteriormente. Quindi alla fine i risparmi potrebbero essere ben poca cosa ed inoltre rischiamo di acquistare aerei ancora non pronti a causa delle miriadi di problematiche tecniche riscontrate nello sviluppo.

E siccome siamo solo all’inizio della partita F-35 il rischio grosso è che la riforma che doveva razionalizzare le spese militari, alla fine potrebbe portare addirittura ad un loro aumento. Per questo la campagna “Taglia le ali alle armi” prosegue ed intensifica la sua azione per chiedere di non acquistare il cacciabombardiere F-35. Il 25 febbraio prossimo c'è una giornata di mobilitazione su tutto il territorio nazionale, invitiamo tutti a scaricare il modulo per la raccolta delle firme dal sito www.disarmo.org/nof35, e chiedere a parenti, amici e colleghi di firmare. E’ venuta l’ora che il nostro Paese svuoti gli arsenali e riempia i granai.  

 Massimo Paolicelli,
 Rete Italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci

«Non è solo una questione di risparmi e di efficienza. Quello che auspichiamo, e che purtroppo non vediamo, è un generale ripensamento della nostra politica di Difesa, non una semplice riorganizzazione del comparto militare».

Così il presidente delle Acli Andrea Olivero, commenta il ridimensionamento delle spese militari annunciato dal ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, e in particolare la decisione di rinunciare all’acquisto di 41 cacciabombardieri sui 131 inizialmente previsti. «Meglio di niente, si potrebbe dire. Ma resta assolutamente discutibile la scelta di investire una cifra che resta considerevole in veicoli militari per missioni d’attacco».

Con la Rete Disarmo, la Tavola della Pace e Sbilanciamoci, le Acli sostengono la campagna “Taglia le ali alle armi”, che chiede al Governo italiano la cancellazione del programma d’acquisto dei caccia F-35. «L’attenzione alla spesa e agli equilibri economici è un segnale certo apprezzabile e comprensibile da parte di un governo “tecnico”» afferma Olivero. «Ma resta l’impressione, in assenza di altri segnali, che l’unica politica industriale del nostro Paese sia quella militare. Mentre è tempo di riconvertire i nostri impianti industriali alla luce di un nuovo modello di sviluppo».

«Le Acli – continua Andrea Olivero - propongono un modello di difesa diverso, che investa meno sulle armi e più sulla difesa del territorio, sulla protezione civile, sulla cooperazione internazionale, sul servizio civile. Perché la difesa della Patria deve diventare sempre di più la difesa delle fasce sociali più deboli e la messa in sicurezza del nostro territorio».

«Il taglio da 131 a 90 nell’acquisto dei cacciabombardieri F-35, come annunciato dal ministro della Difesa Di Paola, unitamente alla riduzione di 33.000 posti militari e 10.000 civili nella Difesa italiana, sono segnali positivi ma non ci bastano. Il Governo, in questa situaizone di grave crisi del nostro Paese, non ha giustamente avuto il coraggio di rischiare impegni per la candidatura alle Olimpiadi di Roma, ma non ha neppure il coraggio di dare un taglio netto e completo a inutili spesi per l’acquisto degli F-35. Non ci basta ‘il regalino’ per stare bravi. Un po' di fumo negli occhi, non fermerà la voce di tante associazioni e di quella parte della società civile che si è mobilitata, in queste settimane, per contrastare questa commessa tanto costosa, quanto inutile».

Questo è il commento di Guido Barbera, presidente del Cipsi (Coordinamento iniziative popolari di solidarietà internazionale). “Il risparmio economico che consegue ai tagli previsti dal ministero della Difesa, è sicuramente importante in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo. Ma non è di certo sufficiente di fronte ai sacrifici chiesti dal governo agli italiani! Inoltre, l’economia finanziaria, la necessità di tenere a posto i conti e limitare le spese, non possono esimere il governo e le istituzioni da una riflessione più ampia. L’Italia ripudia la guerra. È scritto nella nostra Costituzione. Ed è alla carta costituzionale che le istituzioni dovrebbero guardare. Per questo, torniamo a chiedere di cancellare completamente l’acquisto degli F-35 e riallocare i soldi previsti in altre spese e attività. Ad esempio, finanziando il servizio civile nazionale per i giovani, o iniziative di cooperazione internazionale e di integrazione sociale per i migranti e le minoranze. O ancora, prevedendo forme di tutela dell’occupazione e del lavoro».


«Prendiamo esempio dalle donne africane. In Liberia, Paese della presidentessa Sirleaf – premio Nobel della Pace 2011 – gli stanziamenti per la difesa sono pari all’1% del PIL. Gli stanziamenti per l’istruzione, sono del 3%!», continua Barbera. «Promuovere un’Italia di pace, credere nei diritti e nella solidarietà significa prendersi la responsabilità di compiere scelte radicali e coerenti con i dettati costituzionali», conclude Barbera. «Scelte che vadano sì nella direzione di un risparmio economico, ma che siano soprattutto indirizzate a nuove politiche centrate sulla pace, l’integrazione, l’equità. Questo è il cambiamento che chiediamo al nostro governo! Questo è il paese che vogliamo e dobbiamo costruire tutti insieme come cittadini sovrani».

Per questo il Cipsi invita tutti a partecipare alle manifestazioni nelle piazze italiane il 25 febbraio, per dire no agli F-35 e si ad una cultura nonviolenta e della pace.

Finalmente le spese militari sono arrivate sul tavolo del Governo e, soprattutto, del Parlamento. Per anni abbiamo chiesto che fossero trattate alla pari di tutte le altre spese dello stato senza che nessuno ci desse ascolto. E oggi finalmente è accaduto. Come del resto accade in tutti gli altri Paesi democratici. Da noi è un evento. «»

Dunque, tagliare si può. Le spese militari non sono intoccabili. Si possono tagliare senza compromettere la sicurezza del nostro Paese. Per anni ci hanno detto il contrario accusandoci di essere degli irresponsabili, degli incoscienti, dei sognatori. E così hanno sprecato una montagna di soldi. Qualcuno, un giorno, gli dovrà presentare il conto.

Irresponsabile, però, è la decisione di riconfermare i piani d’acquisto (seppur rivisti al ribasso) dei cacciabombardieri F-35: una delle più micidiali armi da guerra mai costruite, che costa circa 115 milioni di euro al pezzo. Irresponsabile è farlo mentre si costringono milioni di italiani a fare enormi sacrifici e mancano i soldi per la Polizia, la Giustizia, la Protezione civile, la scuola, la lotta alla povertà e per gli enti locali. Come mai non ci sono i soldi per mandare i soldati a spalare la neve mentre si trovano per comprare questi bombardieri? Ora tocca al Parlamento dire la sua. L’ammiraglio-ministrotecnico Di Paola ha presentato i numeri.

La parola passa ai parlamentari e alle forze politiche che hanno innanzitutto la responsabilità di trovare le risposte a queste domande: a che ci serve comperare queste spaventose macchine da guerra? Dove e quando pensiamo di impiegarle? Quanto ci costa comprarle? Quanto ci costa mantenerle? Cosa potremmo fare con gli stessi soldi?   Ma non ci sono solo gli F-35. Da domani il Parlamento deve ripensare l’intera spesa militare italiana, le Forze Armate, gli obiettivi, la struttura, i mezzi. Facciamo appello al Parlamento, alla Rai e a tutto il mondo dell’informazione perché sia una discussione aperta e trasparente. Noi non mancheremo di portare le nostre valutazioni e proposte.  

Flavio Lotti
Coordinatore Nazionale della Tavola della pace

«Il principio che un cacciabombardiere F-35 non sia la risposta al cammino verso la pace rimane fermo. Certo, ridurre la produzione è stato un passo positivo. Però è soltanto un primo passo». Così monsignor Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e presidente di Pax Christi Italia, commenta le dichiarazioni rese dal ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, alle commissioni Difesa congiunte di Camera e Senato.

Pax Christi Italia da tempo ha preso posizione contro questo investimento dello Stato per l'acquisto degli F-35. «La domanda vera è: qual è la difesa che un Paese deve progettare? - si chiede monsignor Giudici - Anche in questi giorni comprendiamo bene che la vita è difesa dalle infrastrutture che funzionano, da istituzioni efficienti e amiche delle persone. Di conseguenza il tema della pace ha bisogno di questa ampiezza per essere compreso».

«Questa scelta del governo - conclude il vescovo - dovrà ora passare al vaglio del dibattito parlamentare.
Noi ci auguriamo che, attraverso le mozioni che verranno proposte, si apra un confronto sulla difesa che dobbiamo approntare come Paese».

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