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domenica 09 febbraio 2025
 
lo storico agostino giovagnoli
 

«Così Montini appoggiò con discrezione i costituenti cattolici»

31/05/2021  A colloquio con lo storico Agostino Giovagnoli. Il due giugno si votò anche per i membri della Costituente. Incoraggiati dall'allora sostituto alla Segreteria di Stato, uomini come De Gasperi, La Pira, Dossetti, Lazzati, Fanfani e Moro seppero tradurre le idee del magistero in progetti concreti, fondamentali nel modellare la Carta all'insegna dei diritti individuali e della solidarietà

Agostino Giovagnoli.
Agostino Giovagnoli.

(In alto, Giuseppe Dossetti, a sinistra, con Giorgio La Pira)

 

Per lo storico Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano, il plebiscito tra Monarchia e Repubblica e le elezioni per la Costituente segnano il “grande  ritorno” per i cattolici. «La novità di  questo primo grande appuntamento elettorale del  dopoguerra (c’erano state anche le amministrative ma certo non ebbero la stessa importanza) è  proprio questa: la partecipazione del mondo dei  credenti nel suo complesso. L’esperienza era stata  interrotta dal fascismo ma anche dalla Chiesa stessa: sotto il pontifi‚cato di Pio XI ci fu un grande  vuoto che ora, con De Gasperi, veniva colmato».

C’erano state delle avvisaglie di questo “grande ritorno”?

«I cattolici tornarono senza riserve dopo che nel 1944 Pio XII affermò che la  democrazia è il sistema politico preferibile.  Anche sulla spinta di queste parole si inserì la  formazione della Democrazia cristiana, che  raccolse la grande maggioranza dei cattolici, non a caso fondata da un gruppo di ex popolari, di  “liberi e forti” che erano stati in qualche modo condannati perché avevano ostacolato i rapporti  tra Chiesa e fascismo Furono loro i politici riconosciuti come leader (in  primo luogo De Gasperi), coloro che potevano  guidare il ritorno dei cattolici in politica».

Si può  dire che i cattolici si riappropriano della politica  dopo che questa funzione era stata demandata alla  Chiesa e al suo rapporto-scontro con il  regime di Mussolini?

«In qualche modo sì. De  Gasperi intuì che il Concordato del 1929  rimuoveva un ostacolo insuperabile all’impegno  dei cristiani nella cosa pubblica. Ma quella  premessa non aveva sortito effetti sotto il regime  fascista. Solo dopo il suo crollo i cattolici poterono riprendere l’iniziativa».

Che ruolo ebbe  l’evento di Camaldoli, che anticipò in piena  guerra l’avvenire del Paese?

«Nel luglio 1943  nell’eremo di Camaldoli un gruppo di laureati cattolici organizzò una  settimana di studi dedicata sostanzialmente alla  nuova Italia: si parlò di Stato, economia, relazioni  internazionali. Si progettò il futuro. Fu un momento di fermento, perché prima dell’8 settembre c’era già stato un segnale con il famoso  messaggio di Natale del 1942 di Pio XII.  Un messaggio sulla ricostruzione sociale, che  invitava i credenti a reagire».

I cattolici capirono  che quelle parole spronavano all’azione?

«Lo  percepirono perché avevano i contatti giusti. Il  rettore della Cattolica, padre Agostino Gemelli,  scrisse all’allora sostituto della Segreteria di  Stato, monsignor Giovanni Battista Montini,  futuro Paolo VI, e lui rispose: “Andate avanti”.  Anche Sergio Paronetto, uno dei principali  ispiratori del Codice di Camaldoli, si rivolse a  Montini, e probabilmente ricevette la medesima  risposta. Paronetto e i laureati cattolici erano  legati alla Santa Sede».

I cattolici erano  prevalentemente monarchici o repubblicani? 

«Erano l’uno e l’altro, anche se non sappiamo in quali percentuali. La componente monarchica era  molto forte, tanto che De Gasperi evitò un pronunciamento esplicito per la Repubblica. Ci fu un invito a votare Dc fatto in modo tale da non scoraggiare i fautori dei Savoia, che, com’è noto, al Sud ottennero la maggioranza. C’erano prelati più realisti del re come il cardinale di  Napoli Alessio Ascalesi, celebre  per le sue posizioni ‚lomonarchiche».

Quale fu il  contributo dei cattolici nella Costituente?

 «Possiamo partire dall’immagine evocata dal  giovane Aldo Moro della “casa comune” durante i  lavori, nel marzo ’47. Moro aggiunse con nettezza che la “casa comune” si basava  sull’antifascismo. Non era scontato per un uomo che veniva dal Sud e non aveva partecipato alla Resistenza. Per Moro l’antifascismo non era un  partito o una fazione, era un baluardo morale. I  cattolici hanno sentito la Costituente come occasione per costruire una comunità al servizio di tutti. Più degli altri i democristiani coltivavano  l’idea che con la Costituzione si ponevano le  fondamenta di una costruzione in cui tutti si  potessero riconoscere. Credenti come Lazzati, Fanfani, La Pira, Dossetti accolsero la miglior eredità liberal-democratica, alla Costituente i liberali erano in minoranza, che affondava le sue radici nelle idee di libertà,  uguaglianza e fraternità della Rivoluzione  francese. Raccolsero cioè il meglio del  liberalismo, direi, come la libertà di stampa, di  religione... lo unirono, nella Carta, a una visione  solidarista, condivisa in parte anche da socialisti e  comunisti. I primi dodici articoli, quelli  irriformabili, dedicati ai diritti fondamentali della  persona, vero e proprio architrave della  Costituzione, si devono in gran parte al  personalismo cristiano di Maritain e, soprattutto,  alla visione illuminata e profetica di Giorgio La  Pira».

Il laico Croce evocò il Veni Creator alla fine  dei lavori. Perché?

«La cosa fece molto stupore  conoscendo l’anticlericalismo di Croce. Ma il  filosofo era un grande ammiratore del cristianesimo  inteso come ispiratore della civiltà. Celebre il suo “perché non possiamo non dirci cristiani”. Inoltre aveva percepito il perdono  cristiano come fondamento della ricostruzione post bellica. Durante i lavori pareva un po’ infastidito da trattative  fin troppo minuziose sul  testo dei vari articoli. E così, per riportare la  nuova Carta su un livello alto come lui voleva, concluse con quella suggestione, con quell’inno liturgico legato allo Spirito Santo». 

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