Cari amici lettori, tra i cardinali nominati pochi giorni fa da papa Francesco c’è un personaggio forse un po’ insolito: mi riferisco a padre Luis Dri, un frate cappuccino argentino di 96 anni (!), che esercita da una vita il delicato ministero della confessione. Una bella figura, che per anni ha “dispensato” con semplicità e umiltà tanta misericordia come confessore in un santuario argentino. In questa veste lo stesso Bergoglio, da arcivescovo di Buenos Aires, lo aveva conosciuto.
È una figura che ci ricorda come la misericordia – che dovrebbe essere al cuore dell’esperienza del sacramento della penitenza – sia l’aria pura da far circolare nella vita della Chiesa, per farla respirare e rigenerare. La crisi attuale della confessione ci dice che grande è la responsabilità dei sacerdoti, chiamati a essere strumenti di questa misericordia divina, e non “funzionari del sacro”. Ma anche che forse non conosciamo davvero il “cuore” di questo sacramento.
La storia di padre Dri mi ha ricordato l’esperienza che ho fatto come confessore domenicale sei o sette anni fa mentre ero per un breve periodo di riposo in una località di mare, in una chiesa a due passi dalla spiaggia. Mi chiedevo chi sarebbe venuto mai a confessarsi in una assolata domenica d’estate, se era un ambiente che predisponeva al sacramento… Ma mi sono messo a disposizione e, con mia grande sorpresa, sono venute a chiedere il sacramento davvero tante persone, una dopo l’altra. Per fortuna c’era una stanzetta con due sedie, non il classico confessionale!
Ma, ancor più, mi ha sorpreso come tanti si siano aperti con fiducia di fronte a un prete sconosciuto, rivelando pezzi di sé e della propria vita.Ho ascoltato molto, parlato il necessario, mettendomi semplicemente a disposizione, incoraggiando e aiutando a guardare alle proprie situazioni con occhi diversi. Più di uno mi ha ringraziato alla fine di quello che era stato un vero dialogo di vita e non un elenco asettico di peccati fuori contesto
.Ripenso a quell’esperienza estiva leggendo le parole di padre Dri: «Mi sembra di dover sempre avere una parola di misericordia, di aiuto, di vicinanza per chiunque venga qui. Nessuno deve andarsene pensando di non essere stato compreso o disprezzato o rifiutato».Gioia del penitente, gioia del confessore e in definitiva gioia di Dio perché «ciò che era perduto è stato ritrovato».
Una maggiore disponibilità (di cuore e di tempo) da parte dei pastori, ma anche una maggiore fiducia da parte di chi va a confessarsi aiuterebbero a “riabilitare” questo sacramento. «Io penso che dobbiamo avere una certa vicinanza, una speciale amabilità», ha raccontato ancora il frate, «perché delle volte c’è gente che non sa molto bene cosa sia la confessione. “Non ti spaventare, non ti preoccupare”. La confessione… l’unica cosa che ci vuole è il desiderio di essere migliore, niente altro». Sante parole.
Chissà che questi giorni estivi, in cui siamo un po’ meno pressati dal tran tran quotidiano, non ci facciano sentire anche la sete della Sorgente stessa della misericordia.