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domenica 16 marzo 2025
 
ricorrenze
 

Don Bosco parla ai ragazzi ancora oggi, il suo carisma non è cambiato

31/01/2024  Valdocco lo ricorda con tante iniziative. «Rivolgersi ai ragazzi “con la mansuetudine e la carità”: ecco la grande sapienza che il santo ha portato nella nostra città e in tutta la Chiesa»

«All’età di nove anni (era il 1824, ndr) ho fatto un sogno, che mi rimase profondamente impresso nella mente per tutta la vita». C’era un cortile con una moltitudine di ragazzi. Qualcuno giocava tranquillo, ma altri si azzuffavano e bestemmiavano. Allora «mi sono subito lanciato in mezzo di loro, adoperando pugni e parole per farli tacere». Ma ecco, poco dopo, arrivare un uomo vestito con abiti sfolgoranti: «Non con le percosse, ma con la mansuetudine e con la carità dovrai guadagnare questi tuoi amici». Sono passati duecento anni da quel sogno. All’epoca San Giovanni Bosco era appena un bambino e certo non poteva comprenderne il valore simbolico e profetico. Lo comprese molti anni dopo. E fu lui stesso a raccontarlo, nei suoi scritti. A distanza di due secoli, il sogno è ancora lì, vivido nelle sue promesse, nella concretezza ma anche nella complessità. È ancora lì, nei tantissimi confratelli e consorelle di don Bosco – i membri della famiglia salesiana – che in ogni angolo del pianeta camminano accanto ai giovani, cominciando dalle “pietre scartate”, cioè dai più soli, sbandati, disperati e apparentemente senza futuro. Ecco perché la memoria liturgica di don Bosco, che si celebra il 31 gennaio, quest’anno ha avuto un sapore e un colore speciali. Le comunità salesiane di tutto il mondo si sono unite in preghiera, anche per ricordare che quel sogno continua, attraverso gli occhi, i volti, le mani e i piedi di chi ogni giorno lo trasforma in realtà.

 

A Valdocco, nel cuore di Torino, là dove l’esperienza del “santo dei giovani” ha preso avvio, l’intera giornata del 31 gennaio è stata, come da tradizione, dedicata alla preghiera e alle celebrazioni. Tanti i momenti di popolo, vissuti con intensità e affetto dai Torinesi che vedono in don Bosco “uno di famiglia”. La Messa delle ore 11 è stata presieduta da monsignor Roberto Repole, arcivescovo della diocesi sabauda. «Spesso si evocano i “santi sociali” torinesi per la portata delle opere che hanno realizzato. Ed è innegabile che abbiano costruito opere grandiose: ciò che San Giovanni Bosco ha fatto per i giovani è davanti ai nostri occhi» ha sottolineato il presule. «Ma non dimentichiamo la radice di quest’opera, che è stata la trasformazione del cuore. C’è un’interiorità, un’intimità che fa parte di noi fin da quando siamo bambini. Già con il sogno dei nove anni, Dio ha illuminato l’interiorità del futuro don Bosco ed è quella trasformazione che ha poi consentito al santo di compiere opere grandi».  

 

«Rivolgersi ai ragazzi “con la mansuetudine e la carità”: ecco la grande sapienza che don Bosco ha portato nella nostra città e in tutta la Chiesa» ha sottolineato ancora monsignor Repole. «La sapienza è nello stile con cui ha incontrato i giovani. La sapienza è nell’aver compreso che, quando vuoi bene a qualcuno, tu diventi la porta d’accesso perché possa incontrare il Vangelo e trasformarsi». Quella di don Bosco è una «sapienza autorevole e paterna. A volte noi confondiamo la mansuetudine e la carità con l’indifferenza, con il “fai quel che vuoi”. Ma questo non è voler bene. Don Bosco è stato mansueto e caritatevole perché è stato un padre. Ha saputo anche porre degli argini ai giovani, per dare loro ciò di cui più hanno bisogno: la sicurezza».

 

 

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