Don Antonio Coluccia, 46 anni, vocazionista. In alto e in copertina: don Giustino Maria Russolillo (1891-1955).
A chi gli chiedeva cosa facesse a Pianura, il quartiere della periferia occidentale di Napoli dove era nato e vissuto, rispondeva: «Faccio i preti». Non a caso don Giustino Maria Russolillo è stato definito “l’apostolo delle vocazioni” perché, spiega don Salvatore Musella, consigliere generale per la formazione dei Vocazionisti nonché presidente della Commissione per la canonizzazione, «la sua idea era quella di lavorare perché tutto il mondo fosse santo attraverso la vocazione alla vita e alla fede».
Il suo saluto abituale era «Fatti santo», completato a volte come «Fatti santo davvero, che tutto il resto è zero». Per questo, mentre guida la parrocchia di San Giorgio a Pianura, nel 1920 fonda la Congregazione dei Padri Vocazionisti con alcuni dei ragazzi più motivati che già l’avevano seguito e l’anno dopo quella delle Suore Vocazioniste. «Don Giustino», sottolinea Musella, «diceva che il problema non era la mancanza di vocazioni ma dei coltivatori di vocazioni, coloro che si dedicavano a suscitare la nostalgia di Dio nei giovani e a formarli adeguatamente. Secondo lui la parrocchia era il luogo privilegiato per la pastorale vocazionale. Non a caso, è stato parroco fino alla morte senza abbandonare mai questa forma di apostolato nonostante fosse predicatore di esercizi spirituali, fondatore, padre spirituale e conferenziere».
Russolillo ha un’intuizione: il Vocazionario, ossia un centro di aggregazione e promozione delle vocazioni dove i giovani vivevano insieme per poter discernere a quale scelta di vita fossero chiamati. «È lui che conia questo neologismo», spiega Musella, «il primo Vocazionario vede la luce nell’ottobre 1920 nella canonica di Pianura. Era l’antesignano dell’odierno Centro di orientamento vocazionale. Oggi ce n’è uno in ciascuno dei 19 Paesi del mondo in cui siamo presenti. Non era uno strumento per i Vocazionisti ma per tutta la Chiesa, perché se un giovane, ad esempio, era indirizzato alla vita matrimoniale, lì veniva aiutato a fare discernimento e poi guidato e formato».
Russolillo accoglieva tutti, a cominciare dai ragazzi delle famiglie meno abbienti che non avevano i soldi per pagare la retta del seminario: «Uno stile che nasce da un episodio personale», ricorda don Musella, «quando don Giustino voleva entrare nel seminario di Pozzuoli, la famiglia, che non era agiata, chiese aiuto a un benestante di Napoli che rifiutò. A quel punto la mamma vedendo la tristezza nel figlio disse: “A costo di impegnarmi gli occhi, mamma ti farà sacerdote”. Per questo lui stesso si rivolse alla Madonna e disse: “Se mi aiuti a diventare sacerdote, ti prometto che aiuterò gli altri a diventare sacerdoti”. Da qui l’idea di dare vita ai Vocazionisti».
Chi si ispira al carisma di don Russolillo è il prete vocazionista don Antonio Coluccia, da molto tempo impegnato nella lotta alla criminalità organizzata. Opera in quartieri romani come San Basilio e il Laurentino, ha fondato l’Opera Don Giustino Onlus e vive sotto scorta per il suo impegno nel togliere i ragazzi dalla strada. Di notte, fa delle ronde antidroga nel rione e con un megafono prega: «Convertitevi, basta spaccio».
«Don Giustino», dice Coluccia, «ha spronato tutti i religiosi alla profezia, ad avere a cuore la vita. La nostra Congregazione, che da Pianura ha abbracciato il mondo, è eminentemente missionaria perché accogliamo famiglie e minori a rischio. Don Giustino si recava nei cortili, nei quartieri, andava a cercare le persone. Ha incarnato una chiesa di prossimità e in uscita anticipando il Concilio». Uno stile che è una bussola preziosa per i sacerdoti come don Antonio, che operano in contesti difficili.
«Don Giustino», nota Musella, «diceva sempre che dietro la scorza più indurita di un peccatore incallito c’è sempre un possibile santo. Per questo, la prima fondamentale regola del vocazionista è: mai disperare. Anche davanti al peccatore conclamato c’è un possibile santo, anche oggi nelle periferie del mondo e di Napoli si possono scorgere e coltivare semi di bene. C’è sempre qualcosa di positivo da poter trarre dagli uomini. Nasce da questa convinzione la passione a servizio delle vocazioni che don Giustino declinava sempre in vocazione alla vita, alla fede e alla santità».