«Nessuno deve morire di freddo di fronte a casa nostra». Don Luigi Chiampo lo dice chiaro e tondo, sorseggiando una tazza di caffè. Il rifugio Fraternità Massi di Oulx, dove mi accoglie, è a pochi chilometri dal confine tra Italia e Francia: è nato per ospitare i migranti di passaggio sulla rotta alpina e per rispondere all’emergenza umanitaria scoppiata in Val di Susa nell’inverno 2017, quando il flusso era altissimo e in primavera riaffioravano dal ghiaccio i cadaveri di chi non ce l’aveva fatta. Allora i migranti in transito erano quasi tutti africani, giovani e inesperti di montagna, che si trovavano ad attraversare i boschi innevati con temperature estremamente basse. Respinti dalla gendarmerie al confine francese all’altezza di Briançon, venivano scaricati in Italia, senza sapere dove andare. Per questa ragione i migranti avevano occupato il sottoscala della chiesa di Claviere, in corrispondenza del passo del Monginevro che porta in Francia, creando scompiglio nella curia diocesana e qualche contrasto con residenti e turisti. Il parroco di Claviere si trovò a denunciare gli occupanti per legittimare lo sgombero e don Luigi, parroco di Bussoleno e responsabile dell’Ufficio migranti della diocesi di Susa, fu chiamato a occuparsene. Come via di uscita, propose di creare un centro d’accoglienza staccato dal confine, a Oulx, che desse una risposta efficace all’emergenza migranti senza però rimanere incastrato dal vortice delle polemiche politiche. A distanza di tre anni da quella stagione tragica, di fatto è ancora l’unico prete della zona schierato in prima linea in difesa di profughi e rifugiati che cercano di valicare le Alpi. Spalle larghe e risata dirompente, don Luigi non è sempre stato prete. Originario di Condove, in Val di Susa, ha un passato da operaio e maratoneta e, da giovane, alternava la sua vita tra podio e acciaieria. A tempo perso, poi, faceva il volontario al Cottolengo e aiutava in cascina, dove è cresciuto, e dove oggi sorge la Casa-famiglia Budrola, un centro di accoglienza per una sessantina di bambini ed adolescenti in difficoltà, che non possono vivere con le loro famiglie. Nel 1978 era addirittura arrivato primo alla maratona di Torino e ha gareggiato nella squadra di Fiat Iveco, la Sisport, considerata la Juventus dell’atletica leggera. Insomma, la sua vita correva sui campi d’atletica, «lontano dalla parrocchia, che in passato non avevo frequentato molto», confessa. Poi un momento di difficoltà, nato forse da un cambio di stabilimento in acciaieria, una leggera anemia che lo porta ad avere risultati sportivi meno interessanti e una scottatura d’amore… Finché una mattina presto, dopo il turno di notte in fabbrica, 25 anni e zaino in spalla, parte con gli scout.
METTERSI AL SERVIZIO
Quest’esperienza lo avvicina alla vita parrocchiale e così ha inizio il suo cammino di ricerca interiore. Dopo un periodo di riflessione entra in seminario e inizia gli studi di teologia, mentre nel tempo libero continua a correre. Pensando a quei tempi, spesso si paragona ai ragazzi che incontra in rifugio, li osserva cambiare e nota come, dai momenti di difficoltà, si possa rifiorire. «Oggi un ragazzo siriano mi raccontava come guardava il mondo quando è arrivato, la differenza culturale che lo sovrastava. A distanza di due anni mi ha chiesto se poteva aiutare i nuovi ragazzi in arrivo a colmare quella distanza. Lui ha fatto un percorso di crescita e ora ha deciso di mettersi al servizio degli altri. Ecco, questo è quello che ho fatto anch’io: sono cresciuto, sono cambiato e ora metto il mio impegno nell’aiuto di chi ha bisogno». In questa striscia di confine, tra impianti sciistici e alberghi appariscenti, dove l’unica preoccupazione sembra quella di sapere se le piste saranno aperte per la settimana bianca, «chi ha bisogno» sono praticamente solo i migranti, gli invisibili che viaggiano di notte: un flusso costante di persone che, nonostante tutto, resta quasi impercettibile a chi non li vuole vedere. Eppure ci sono occhi a cui non sfugge questo derelitto popolo dell’esodo. Sono gli occhi del manipolo di operatori che, ogni sera, lavorano insieme con don Luigi al rifugio, per servire un piatto di pasta o per attrezzare i viandanti con indumenti adeguati alla montagna.
ASSISTENZA SENZA ETICHETTE
Quattro dipendenti della Fraternità Massi e una ventina di volontari fanno i turni giorno e notte. La legge morale che governa le loro azioni è quella della montagna: non negare mai l’aiuto a nessuna persona che sia in difficoltà. E di “difficoltà” ormai sono esperti: sulla rotta alpina dal lato di Oulx, in quei pochi chilometri che separano l’Italia dalla Francia in una foresta innevata che supera i 2.800 metri di altitudine, dal 2018 a oggi sono transitate illegalmente circa 15 mila persone. Lungo l’intera sezione delle Alpi che va da Ventimiglia al Gran San Bernardo si sono contati circa 100 mila passaggi. «Gli ultimi 12 mesi sono stati un periodo singolare, come sappiamo», mi dice don Chiampo. Con la pandemia, per due o tre mesi si è fermato tutto, compreso il flusso dei migranti. «Con l’arrivo della bella stagione si è sbloccata la situazione, e sono arrivati in massa dalla rotta balcanica: famiglie mediorientali in viaggio da anni, madri con bambini appena nati, concepiti in viaggio e messi al mondo nella foresta lungo la strada. Ora per lo più arrivano qui da Treviso con un bus e hanno le idee molto chiare: raggiungere il nord Europa, costi quel che costi. Non importa se dovranno provarci ogni notte, non importa se è inverno, se si sprofonda nella neve e i bambini piangono. Il loro viaggio deve continuare, non hanno nessuna intenzione di rimanere qui o di farsi registrare in Italia. In Germania spesso hanno una rete di familiari e conoscenti che li aspetta e ci sono politiche di accoglienza migliori. Se vengono respinti dai gendarmi francesi al confine, i volontari della Croce Rossa di Susa partono nel cuore della notte e vanno a prenderli, per poi portarli a Oulx qui da noi, dove troveranno modo di rimettersi in forze e riprovarci, magari la notte successiva». Per don Luigi, usare misericordia vuol dire dare attenzione alle singole persone in quanto tali, senza appiccicare etichette. I migranti arrivano spaesati, spaventati, non sanno nemmeno dove si trovano sulla mappa. Al rifugio trovano assistenza primaria e chi li accoglie, che fa di tutto per farli sentire a proprio agio, nonostante il breve e confuso lasso di tempo a disposizione.
AL LAVORO PER L’INTEGRAZIONE
Personalità vulcanica, don Chiampo non si occupa solo di migranti: quindici anni fa ha trasformato la cascina ereditata dai genitori a Condove nella Casa-famiglia Budrola, una struttura di accoglienza per minori che ospita bambini e adolescenti con gravi problematiche familiari, sostenuta dalla fondazione Talita Kum. L’esperienza si è poi allargata e la fondazione ha iniziato a occuparsi di migranti, seguendoli sul territorio con il progetto Mad (Micro accoglienza diusa), che prevedeva un’accoglienza diluita in 36 Comuni della zona, in modo da non creare pericolosi ghetti chiusi, bensì cercare di integrare i ragazzi ospitati. Ogni Comune dava accoglienza a piccoli gruppi di stranieri (massimo dieci), aiutandoli a trovare un lavoro, a imparare la lingua e a inserirsi nel tessuto cittadino. L’esperienza è stata un successo, ma si è conclusa il 31 gennaio scorso per mancanza di fondi: uno degli effetti del decreto legge Salvini. Don Chiampo però non si ferma: «Ho 60 anni, sono ancora un prete giovane», dice con un filo di ironia. «Le cose da fare sono tante e le idee per nuovi progetti di solidarietà non mi mancano».
Chi è don Luigi Chiampo
UN PASSATO DA OPERAIO E MARATONETA
Età 61 anni
Vocazione Adulta
Incarico Parroco a Bussoleno (Torino)
Fede Capace di vivere la fraternità
Don Luigi Chiampo ha maturato la vocazione dopo aver lavorato come operaio ed essersi cimentato – con successo – come atleta. In tre decenni di sacerdozio ha vissuto la chiamata nella pastorale giovanile e nella carità. Fra le iniziative a cui ha dato vita c’è Casa Budrola: ha trasformato la casa di famiglia, eredita dai genitori, in un centro di accoglienza di minori in difficoltà. Oggi il suo impegno è rivolto ai migranti.
(Foto in altro: don Luigi Chiampino, di Diana Bagnoli)