Tra Barbiana e Bozzolo ci sono 155,6 km in linea d’aria. Papa Francesco li percorrerà in elicottero la mattina del 20 giugno. Bozzolo e Barbiana non sono soltanto quello che sono fisicamente: un paesone in provincia di Mantova sotto la diocesi di Cremona e una punta di campanile tra le case sparse nella vegetazione intricata dei monti del Mugello a 40 km da Firenze.
Sono molto di più: sono il luogo, fisico e spirituale, di don Primo Mazzolari e di don Lorenzo Milani. Il luogo delle loro – diverse – solitudini, anche. Solitudini spiritualmente vicine, molto più dei chilometri che li dividevano. Solitudini che oggi prova a raccogliere in un abbraccio comune – per la prima volta a 50 anni dalla morte di Lorenzo Milani e 58 dalla morte di Primo Mazzolari – papa Francesco.
Abbiamo chiesto a Mariangela Maraviglia, storica della Chiesa, nel comitato scientifico della Fondazione Don Primo Mazzolari, una vita a studiare i “disobbedienti”, Mazzolari, Milani, Turoldo, di guidarci a capire la “storicità” di questo viaggio, in luoghi in cui arrivavano a fatica i vescovi, figuriamoci un Papa. «C’è di certo una portata storica in questa visita: queste due figure furono in vita condannate da una Chiesa che tentò inutilmente di ridurle al silenzio: furono censurati i loro libri, nel caso di Mazzolari anche la predicazione, don Milani fu esiliato a Barbiana, gli fu ritirato dal commercio Esperienze pastorali (quel decreto dell’allora Sant’Uffizio è stato dichiarato decaduto solo nel 2015 da papa Francesco, ndr). Furono osteggiati anche dopo la morte e anche dopo il concilio Vaticano II. Ancora oggi non sono unanimemente amati. E ora vengono riconosciuti da un Papa come figure degne di speciale attenzione. A me sembra che questa visita possa essere letta come un segno esteriore, rilevante simbolicamente, di quel cambio di passo, qualcuno ha detto della “rivoluzione culturale”, che Francesco sta imprimendo alla Chiesa; poi per capire meglio l’intenzione di Francesco dovremo sentire le sue parole. Ma sicuramente possiamo dire che don Milani e don Mazzolari avvertirono fortemente nella propria vita la necessità che la Chiesa fosse come indica il Papa: “Non una Chiesa chiusa in sé stessa, autoreferenziale, ma un corpo vivente che cammina e agisce nella storia”. Ho l’impressione che in entrambi papa Francesco individui quell’amore fattivo per gli “scartati della storia” e insieme quella fedeltà alla Chiesa, mai venuta meno, che fanno di loro testimoni privilegiati del modello di Chiesa che il Papa indica nel suo ministero quotidiano».
AFFINITÀ ELETTIVE
Don Milani e don Mazzolari non si sono mai incontrati ma in vita si sono conosciuti, scambiandosi poche lettere; da queste si colgono una consonanza profonda e alcuni innegabili elementi comuni pur appartenendo a generazioni diverse: Mazzolari era nato nel 1890 e morto nel 1958, don Milani è morto il 26 giugno del 1967 a 44 anni.
«Li accomuna», continua Mariangela Maraviglia, «il metodo, per dirla con Mazzolari, dell’incarnazione: la convinzione che il cristianesimo nasca dall’incarnazione di Cristo nella storia, che non possa ridursi a uno “spiritualismo disincarnato”. Li accomuna la convinzione, sintetizzata nell’I care (“mi interessa”) milaniano, che un cristiano che prenda sul serio il Vangelo non possa che tradurlo nello spendersi per una società più giusta. Li accomuna il fatto di credere nel dialogo con i lontani, cosa che portò entrambi a prese di posizioni costose in epoca di scomunica dei comunisti. Mazzolari sul quindicinale Adesso, da lui fondato, a quel proposito scrisse: “Il Vangelo mi chiede di condannare l’errore ma di amare l’errante: condanno il comunismo, amo i comunisti”».
Don Milani, con pragmatismo, negli stessi anni, a San Donato a Calenzano, fondò una scuola laica, ponendosi il problema di non imporre ai figli degli operai comunisti scelte laceranti tra la scuola popolare e la famiglia: «Nella sua visione credenti e atei devono dialogare senza preclusioni per la ricerca della verità».
SEMPRE DENTRO LA CHIESA
Anche nei momenti di massima amarezza, di fronte a una Chiesa non pronta a comprendere le urgenze pragmatiche dei contesti sociali in cui operavano: «Don Milani e don Mazzolari non pensarono mai che la Chiesa potesse essere abbandonata, neppure quando li colpiva con durezza. Nessun dubbio per loro che il primato del Vangelo e della coscienza debbano essere affermati dentro la Chiesa, non contro. A questo proposito Mazzolari parlava di “servire in piedi”, concetto che anche Milani ha applicato vivendo».
Una sintonia a distanza la loro che si è nutrita anche di significative differenze: «Mazzolari, figlio di contadini, era entrato in seminario a 12 anni, Milani, di famiglia facoltosa, colta e laica, folgorato dalla vocazione a 23 anni».
LA PAROLA AI POVERI
Lo stesso concetto, fondamentale nel ministero di entrambi: “Dare la parola ai poveri”, non a caso titolo di una rubrica mazzolariana su Adesso, che ospitò anche scritti di don Lorenzo Milani: «È declinato in modi diversi: per Mazzolari significò riconoscere l’esistenza dei poveri e incalzare con i suoi scritti la Chiesa e la politica perché si facessero carico dell’emergenza sociale. Milani affidò alla scuola, prima a San Donato poi a Barbiana, il compito di dare ai poveri il dominio della parola, con l’idea, forse utopica, che cittadini consapevoli potessero raddrizzare il mondo».
Nemmeno Bozzolo e Barbiana sono la stessa cosa: «Bozzolo è un grosso borgo in cui Mazzolari, che si definiva prete rurale, ha potuto esprimersi dentro una comunità. Barbiana è stata un esilio. Ma mi sembra significativo che queste visite alla periferia, in cui, diceva Mazzolari, “maturano i destini del mondo”, avvengano nello stesso giorno. E non credo che sia senza peso, alla base, l’esperienza personale e pastorale di Bergoglio, sacerdote e vescovo a contatto diretto con la povertà in Argentina e ora Papa dalla scelta di vita semplice».
Dagli slum di Buenos Aires a Barbiana. Dalla fine del mondo, alla fine del mondo.