Alcuni momenti della partecipazione di papa Francesco al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, il 10 novembre 2015. Dal sito ufficiale dell'evento: http://www.firenze2015.it/.
Il messaggio lanciato da papa Francesco sabato 30 gennaio nell'incontro con l’ufficio della Conferenza episcopale italiana per la Catechesi, ha l’aria di un ultimatum, soprattutto per la sua espressione finale: «Dopo cinque anni, la Chiesa italiana deve tornare al Convengo di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare».
Le linee guida suonano chiare e forti. In primo luogo, il kerygma, in quanto si tratta di ri-evangelizzare la società, la cultura e le persone del nostro Paese ormai post-cristiano. Questa necessità veniva già intravista dall’apostolo Paolo nella sua I lettera ai Corinzi, quando, di fronte alla crisi di fede che attraversava la comunità, sentiva il bisogno di rievangelizzarla, offrendo anche a noi la più antica attestazione scritta dell’evento della resurrezione (1Cor 15,1-11). Quello che Paolo ha fatto per i Corinzi deve ora riproporlo la Chiesa, che è in Italia, agli italiani.
Nel passato abbiamo vissuto (anche in prima persona) momenti di slancio e di profezia, che purtroppo non sono stati messi in atto in una prospettiva di continuità fra passato-presente-futuro. Il progetto catechistico italiano, cui papa Francesco si riferisce, citando il Documento di base, ha prodotto dei testi, ma non un’autentica sensibilità ecclesiale. Con una boutade, a tal proposito, potrei citare un film irriverente, ma stimolante, di Alice Rohrwacher, Corpo celeste, di dieci anni fa. L’adolescente protagonista, in questo racconto di una iniziazione, incontra Gesù, non nella parrocchia che frequenta, ma in una chiesa abbandonata, dove un vecchio prete le mostra il vangelo di Marco. Piuttosto che “libri” bisogna creare incontri, perché la cultura dell’Evangelo è, come dice papa Francesco, “cultura dell’incontro” e la Bibbia non è un libro che va letto, ma proclamato ed ascoltato nella comunità.
Il convegno di Firenze, cui il Papa fa riferimento, non è nato dal nulla, ma è stato il quinto di una serie di appuntamenti ecclesiali, che hanno scandito il percorso della Chiesa italiana a partire dal 1976 fino, appunto, al 2015. Cosa è rimasto di questo cammino? I vescovi italiani si stanno barcamenando fra il dover dare indicazioni sul gesto della pace e il segno delle ceneri e la più cogente e fondamentale attenzione ai poveri e alle nuove povertà, ma fra questi due poli mi sembra almeno altrettanto urgente, come dice il Papa, pensare alla catechesi, ovvero alla elaborazione educativa e culturale del kerygma. Di qui la necessità di elaborare un progetto ecclesiale, che metta al centro la persona, fra natura e cultura, in modo da ri-esprimere e ri-proporre, non solo alle comunità credenti, ma al Paese, l’insopprimibile identità del messaggio cristiano con tutta la sua dinamica formativa e culturale, sociale ed ecclesiale.
Questa proposta non potrà che assumere la forma della “sinodalità”. Era il messaggio trasversale del Convegno fiorentino. Possiamo, senza ombra di dubbio, affermare, che abbiamo perso un quinquennio, col progressivo abbassarsi della tensione e dell’entusiasmo, fino all’invito odierno, al quale la Chiesa Italiana è chiamata a rispondere, perché “non è mai troppo tardi!”. Qui, infatti, si tratterebbe di porre in essere una serie di iniziative, locali e nazionali, ispirate dalla continuità e dalla discontinuità. Continuità nel senso che il passato ha un peso, anche in quanto ha individuato, per esempio nella frattura fra cultura laica e pensiero credente, un elemento cruciale per l’evangelizzazione del nostro Paese e direi dell’Occidente. I tentativi di superare tale crisi o iato, per quanto encomiabili, sono decisamente falliti nella modalità elitaria attraverso cui si è cercato di attuarli. La discontinuità si dovrebbe, invece, stabilire proprio nell’attuazione di un’autentica sinodalità, da cui sgorghino rinnovate alleanze, quali quelle indicate dal convegno fiorentino. Se bisogna, come dice il Papa, coniugare kerygma e futuro, non possiamo esimerci dalla fatica del pensiero e della progettazione pastorale e culturale in orizzonte e modalità sinodale.