Si vede che i francesi adorano Nanni Moretti. Il direttore generale di Cannes, Thierry Frémaux, ha fatto in modo che il primo weekend del festival fosse tutto suo programmando le proiezioni di Mia Madre in diretta concorrenza con quelle di The sea of trees del favorito Gus Van Sant. Commozione e applausi per Moretti mentre l'americano ha incassato ululati di disapprovazione.
Certo, ci ha messo del suo per meritarseli.
Il mare di alberi (è la traduzione del titolo) è l'immensa foresta di Aokigahara, ai piedi del monte Fuji, in Giappone. Nota anche come la foresta dei suicidi. Lì arriva l'americano Arthur (un Matthew McConaughey sopra le righe) deciso a farla finita dopo la morte della moglie (Naomi Watts). Non è che i due andassero poi così d'accordo, ma questo non fa che aumentare i rimorsi. Il guaio è che in mezzo agli alberi trova un giapponese ferito e spaurito (Ken Watanabe) che deve averci ripensato, ma che non sa come cavarsela. L'istinto da buon samaritano costringerà Arthur a rivedere le cose in un consolatorio percorso “new age”, tanto caro all'americano medio. Risatine e buuh in sala (voto per la delusione, 4).
Di Nanni invece ce n'è uno solo. Perché il cinema di Moretti è inconfondibile, personale. Per certi geniale, per altri pressoché insopportabile. Ma Nanni non è uno solo. C'era lo splendido quarantenne di Caro diario, poi c'è stato l'acuto cinquantenne de Il caimano (culmine di un cinema di feroce critica sociale cresciuto da Ecce Bombo fino a Palombella rossa). Il Nanni Moretti di oggi è un sessantenne smarrito. Lo si era intuito con Habemus Papam, delicata intrusione in un mondo della fede diviso (a suo modo di vedere) tra pompose istituzioni e solitudini spirituali. Lo si capisce guardando Mia Madre, che in Italia ha già incassato oltre 3 milioni di euro.
Stavolta Moretti non si confronta con la morte improvvisa, accidentale di una persona cara (come ne La stanza del figlio, il film suo più bello, premiato proprio qui nel 2001 con la Palma d'oro). La cinepresa guarda in faccia la morte naturale di chi giunge, sfinito, a fine cammino. Illusorio, però, che si possa essere preparati. Specie se l'anziana che vedi morire è la tua mamma. Semplice, ma non banale. Moretti fa entrare lo spettatore nella pelle della protagonista, un'ansiosa regista (Margherita Buy, suo alter ego) alle prese sul set con un attore americano megalomane (John Turturro) e con il difficile ruolo di figlia, ogni qual volta va in ospedale a trovare la madre malata. Si finisce così sballottati in un frullatore di sentimenti e di emozioni di vita quotidiana. S'intrecciano realtà e ricordi.
Più passano i giorni, più la malattia avanza, più si complica il film, più lei si sente inadeguata. Al cinema. Alla vita. A tutto.
Ciò che colpisce è l'assenza di conforto morale, di fede, di preghiera. Di una qualsiasi speranza. Un ateismo, un vuoto incolmabile che Moretti ha l'onestà di non camuffare. Disse una volta di preferire la definizione di non credente alla parola ateo, per poi aggiungere: “Non sono credente e mi dispiace”. Una sincerità totale, spiazzante che tocca l'animo di chi guarda e ha commosso i critici sulla Croisette. Non solo francesi.
Cinque minuti di applausi a scena aperta dopo l'anteprima per la stampa ne valgono quindici alla proiezione di gala.
Lo sa Nanni, che approfitta della ressa nella sala in cui lui e il cast incontrano i giornalisti per togliersi i sassolini dalle scarpe.
“La differenza con l'Italia”, attacca sorridendo, “è che qui, nel vedere e nel giudicare, non ci sono quelle interferenze che invece da noi esistono. Non ci si preoccupa di misurare il tasso di simpatia o di antipatia del regista, né di calcolare il suo livello di freddezza o di calore nei confronti dei giornalisti. In Francia, il mio film si vede e basta”.
A questo punto, battimani dei francesi e di coloro che ce l'hanno su con gli italiani. E Moretti rincara la dose: “Quando si viene a Cannes ci si rende conto di come meriti di essere trattato il cinema. Da parte di tutti: giornalisti, produttori, critici, politici. C'è attenzione. Si respira tanta allegria, ma anche serietà. Quando poi torni a casa, sei contento ma anche dispiaciuto perché sai quanto sia diversa la situazione. Da noi c'è sciatteria... I film sono considerati qualcosa di marginale. C'è superficialità sia sul piano artistico che industriale”.
Difficile dargli torto, anche se fa un po' male essere presi a schiaffi così in pubblico. Resta la soddisfazione per un cinema italiano che fa parlare di sé sulla Croisette. Ottimo Garrone, ancora meglio Moretti (sull'onda dei francesi, voto 9). Nella corsa ad ostacoli verso il Palmarès, comincia a mettersi bene. E mercoledì sbarcherà Paolo Sorrentino col suo Youth – La giovinezza, che nessuno ha visto ma di cui tutti favoleggiano.