Cari amici lettori, il 14 maggio prende il via la settimana del Festival della comunicazione, evento organizzato dai Paolini (editori di Credere) e dalle Figlie di San Paolo ormai da qualche anno, in collaborazione con la diocesi che lo ospita (per questa edizione, la diciottesima, Catania), in vista della Giornata delle comunicazioni sociali (quest’anno il 21 maggio). Il tema del Festival, Parlare col cuore e farlo con mitezza, riprende quello del Messaggio del Santo Padre per la 57ma Giornata, intitolato Parlare col cuore.
«Secondo verità nella carità» (Efesini 4,15), sviluppandone le diverse sollecitazioni con incontri, tavole rotonde, testimonianze e iniziative. Il tema voluto da papa Francesco ci invita a una seria riflessione sul linguaggio che caratterizza la comunicazione, ma anche il nostro quotidiano, le nostre relazioni, la nostra “fraternità” ecclesiale. Infatti, come si legge nel Messaggio, il nostro è un «tempo propenso all’indifferenza e all’indignazione», da cui una comunicazione spesso aggressiva, virulenta, che cerca ciò che è eclatante, fatta per creare contrapposizione.
Uno stile di comunicazione così pervasivo, che non risparmia nessuno dai suoi effetti, neanche i credenti. Ma è possibile una comunicazione diversa? Sì, è possibile, ci dice il Papa. E ce lo dicono anche tanti esempi positivi, che fortunatamente esistono ancora, e che coltivano altri stili di comunicazione, più improntati o comunque vicini a quello evangelico: una comunicazione che parte dal cuore (da un «cuore purificato», specifica il messaggio), un cuore «che vede» anche oltre l’apparenza, che propone la propria verità ma con rispetto. Una comunicazione che sia «piacevole, istruttiva, stimolante» (papa Paolo VI a proposito degli scritti di san Francesco di Sales).
All’insegna di un parlare amabile, mite. Anche all’interno della Chiesa urge una comunicazione «gentile e al contempo profetica». Ma – sottolinea il Papa – questo non riguarda solo gli “addetti ai lavori”, i comunicatori di professione, ma coinvolge tutti ed «è responsabilità di ciascuno»: «Tutti siamo chiamati a cercare e a dire la verità e a farlo con carità». Questo ci interpella profondamente: quanto siamo, in ogni ambito, disposti prima ad ascoltare, condizione per aprire il cuore e parlare con il cuore? Quanto siamo consapevoli di ciò che abita il nostro cuore, magari inconsapevolmente, rispetto all’altro, e che ha bisogno di purificazione? Quanto nella Chiesa ci preoccupiamo di una comunicazione che «sappia accendere il fuoco della fede piuttosto che preservare le ceneri di un’identità autoreferenziale»? La tradizione cristiana ci mette in mano un vasto arsenale (pacifico!) di risorse per una buona comunicazione: le parole della Scrittura, l’esempio stesso di Cristo (il messaggio ricorda lo stile di Gesù che si affianca ai discepoli di Emmaus), l’esempio dei santi (san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e artefice di una comunicazione mite in tempi di controversie religiose), una tradizione spirituale di vigilanza sul proprio cuore e tanti esempi anche attuali di buona comunicazione. Perché senza “parole buone”, anche dentro la Chiesa, smentiremmo il messaggio cristiano che vogliamo comunicare. Mentre la mitezza, la cordialità, anche la franchezza (liberata dalla voglia di affermarsi sull’altro) sono i mezzi che smontano i muri e costruiscono ponti.