«Appena tornato in Ecuador poco tempo fa, i miei amici mi hanno subito avvisato di non uscire di sera e fare molta attenzione». Don Francesco Rizzo, sacerdote della diocesi di Ibarra in Ecuador, sacerdote fidei donum in Banglades, quasi non riconosce più il Paese in cui ha vissuto per molti anni. «È una realtà sprofondata nella violenza. Quando sono arrivato, ho trovato una situazione totalmente cambiata». Non era il Paese conosciuto da questo sacerdote italiano che lo ha scelto per annunciare il Vangelo.

Dopo l’assassinio della notte del 9 agosto a Quito, la capitale, di Fernando Villavicencio, candidato come presidente alle elezioni in Ecuador, è cominciato lo stato di emergenza che accompagnerà il Paese alle elezioni del 20 agosto. Il provvedimento adottato dal presidente Guillermo Lasso, consente pattugliamenti militari nelle strade di una nazione colpita dalla violenza legata al narcotraffico. Il provvedimento cerca di garantire lo svolgimento delle elezioni presidenziali del 20 agosto. Villavicencio, un ex giornalista di 59 anni, aveva scoperto e denunciato diversi casi di corruzione. I membri di un cartello messicano, probabilmente quello di Sinaloa, la famigerata organizzazione di narcotrafficanti, lo avevano minacciato nei giorni precedenti, poi un uomo lo ha freddato sparandogli alla testa mentre usciva da un centro sportivo nel nord della capitale dopo aver tenuto un comizio. Sono stati arrestati sei uomini di nazionalità colombiana mentre un comunicato del gruppo narcos Los Lobos, ha rivendicato l’attentato. Il presidente dell'Ecuador, Guillermo Lasso, ha chiesto all’Fbi un supporto per le indagini sull'assassinio.

Villavicencio era candidato del partito Construye e Gente Buena che assieme ad altri sette candidati, concorreva alla presidenza per le elezioni anticipate in Ecuador denunciando corruzione e il traffico della cocaina.

L'Ecuador, un Paese di circa 18 miliondi abitanti a cavallo dell'equatore, è da anni nei piani di espansione dei Cartelli di Sinaloa e di Jalisco Nueva Generación per la sua posizione invidiabile: sotto il Perù, sopra la Colombia e vicino alla Bolivia. Il triangolo della cocaina. Confina con l'unica regione al mondo che produce tanto papavero quanto, una volta, ne usciva dal Triangolo d'oro (Birmania, Laos, Thailandia).

Secondo quanto riferito dalla Direzione nazionale antidroga nazionale, dal 2018 i cartelli messicani si sono uniti a gruppi armati ecuadoriani come Los Lobos e Los Choneros per espandere la loro presenza e spiazzare i narcotrafficanti colombiani.

Il Paese è stato per decenni un'oasi di pace in Sudamerica ma, a causa dei legami con i narcos, sta cambiando rotta. «Non solo nelle strade delle grandi città come Guayaquil o Quito, la capitale, ma anche nei piccoli paesini, la violenza avanza. Il racket è oramai una piaga larghissima e non risparmia nessuno, dai piccoli venditori ai grandi magazzini», racconta don Rizzo.

Siamo all'inizio dell'America meridionale, all’altezza del parallelo dell’equatore, da cui deriva il nome del Paese, parliamo di un piccolo stato di 18 milioni di abitanti, attraversato dalla cordigliera delle Ande e affacciato sull’oceano Pacifico. Per le strade di Quito, città patrimonio dell’Unesco per le sorprendenti capolavori architettonici in stile coloniale, circolano soldati con mitra in spalla. Un patrimonio di bellezza spettacolare, arricchito da una flora e una fauna ricco di una sorprendente varietà di specie naturali capaci di incantare Darwin che nelle Galapagos, le isole dell’Ecuador dove ha soggiornato, ora è minacciato dalla violenza.

Eppure, a differenza dei vicini Perù e Colombia, sembrava che la situazione si fosse incamminata sulla via della pace. Almeno fino a poco tempo fa. Terminata la dittatura nel 1979, il Paese aveva imparato a vivere in democrazia.

«È un posto magnifico con la Sierra, monti e vulcani straordinari e la foresta amazzonica. La cordialità e il calore delle persone è turbato in queste ore da un’onda violenta che rappresenta un’anomalia per il paese. Pacifico per antonomasia, oggi è irriconoscibile», ammette don Francesco. Un cambiamento nato da una politica capace di contaminarsi con elementi non certo immacolati. Ma vi è un altro fattore che ha fatto scivolare nel baratro l’Ecuador. Il narcotraffico. Da luogo di passaggio della droga che arrivava da altre aree del continente, è diventato centro di commercio e spaccio. Si è così radicato questo virus che dopo aver contaminato Colombia e Messico, è presente anche qui.

«Un uomo, un padre di famiglia della parrocchia dove ho vissuto, è stato sequestrato poche settimane fa a scopo di riscatto, alla fine è stato ucciso. Era un professionista stimato, che lascia la moglie e tre figli», racconta don Francesco. Un episodio che accomuna drammaticamente il pacifico Ecuador alle aree terribilmente famose per estorsione e corruzione del continente americano. Ormai tutti stanno toccando il clima della trasformazione che avvelena il Paese.

Dopo una strage in carcere per scontri tra detenuti legati al narcotraffico e l'omicidio di un sindaco, il presidente ecuadoriano Lasso aveva decretato lo stato di emergenza a fine luglio in diverse città. Il tasso annuo di omicidi è quasi raddoppiato nel 2022 a 25 ogni 100.000 abitanti. Ora si attende di capire chi siano i mandanti dell’uccisone di Villavicencio.

È chiaro che la strada intrapresa dal Paese centramericano porterà abitanti e turisti a evitare le belle passeggiate serali tra il monastero di San Francesco e la basilica barocca dei Gesuiti, un patrimonio di bellezze culturali adesso sporcate dalla violenza che invade anche il non più tranquillo Ecuador.