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“Emanuela sta in Cielo!...Emanuela sta in Cielo!”. Papa Francesco lo ripete per due volte ad un attonito Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela Orlandi, la quindicenne figlia di un dipendente del Vaticano misteriosamente scomparsa il 22 giugno 1983. Il breve colloquio tra l'argentino Jorge Mario Bergoglio, eletto al Soglio di Pietro il 13 marzo 2013, e il cittadino vaticano Pietro Orlandi si svolge in strada 5 anni fa. Non è una udienza che di norma ha luogo nelle rinascimentali sale del Palazzo Apostolico dove i familiari di Emanuela per anni hanno invano chiesto di poter accedere per avere possibili notizie sulla loro congiunta. L'incontro avviene a fatica sul marciapiede antistante la parrocchia di S.Anna, in Vaticano, dove Pietro a forza di spintoni è riuscito a farsi largo tra una gran folla che attende l'uscita del Papa dalla chiesa dove per la prima volta ha celebrato Messa. E' il pomeriggio del 13 giugno 2013, esattamente 3 mesi dopo l'elezione papale di Bergoglio, vale a dire un tempo obiettivamente insufficiente per il nuovo pontefice di poter mettere mano a tutti i dossier pontifici e, tantomeno, avere lumi su uno dei casi più inquietanti e misteriosi che da oltre 30 anni è in attesa di un chiarimento. Un nuovo pontefice arrivato per di più dalla lontana Argentina dove ha trascorso quasi tutta la sua vita di sacerdote gesuita, vescovo e cardinale senza avere eccessive frequentazioni Oltretevere. Eppure quel giorno papa Francesco, sollecitato da Pietro Orlandi che gli chiede di essere ricevuto per poter essere messo a conoscenza delle “carte” vaticane relative alla scomparsa della sorella, con tono paternalistoico si lascia sfuggire una frase che nessun predecessore – vale a dire il papa emerito Benedetto XVI e S.Giovanni Paolo II – si era azzardato ad accennare nemmeno vagamente, “Emanuela è in Cielo!...”, dando l'impressione di essere a conoscenza che la ragazza purtropppo era andata incontro ad una tragica fine dopo il rapimento e di voler invitare familiari e conoscenti a mettersi l'animo in pace nella preghiera e nella fiducia della Misericordia divina.
Parole, quelle pronunciate da papa Bergoglio al fratello di Emanuela, che 5 anni dopo forse potrebbero trovare conferma se veramente le ossa umane trovate durante i lavori di scavo in uno scantinato della Nunziatura apostolica in Italia, di via Po a Roma, risulteranno appartenenti dopo le verifiche della polizia scientifica alla sedicenne scomparsa nell'83. La notizia del ritrovamento dei resti umani nella sede diplomatica vaticana è stata data ieri sera – martedì 30 ottobre – dalla Santa Sede e confermata dalla magistratura romana. Ma per arrivare all'esito degli esami ci vorrà del tempo. Giorni? Qualche settimana? Qualche mese? Dopo 35 anni, da quando quel 22 giugno del 1983 sparì nel nulla Emanuela Orlandi, la famiglia non si è mai arresa nella ricerca della verità. Anni di dolore, indagini, purtroppo anche di illazioni e depistaggi, che hanno portato ad una estenuante altalena di speranze e delusioni che hanno fatto del caso Orlandi uno dei grandi misteri d'Italia che è aleggiato su due pontificati, quelli di Karol Wojtyla e di Joseph Ratzinger, ed ora su quello di papa Bergoglio. Misteri che, di volta in volta, hanno avvicinato la sorte della piccola Emanuela a vicende molto più grandi di lei come l'attentato a papa Wojtyla del 1981, lo scandalo dello Ior, la banca Vaticana, presunti coinvolgimenti malavitosi della Banda della Magliana, trame dei servizi segreti dell'Est e dei Paesi arabi. Ma senza nessun esito attendibile. "E' un sacrosanto diritto avere verità e giustizia, non ci rinunceremo mai", aveva ripetuto in occasione dell'ultimo anniversario della scomparsa, il fratello Pietro che, dopo la chiusura delle indagini da parte della Procura di Roma, è tornato a chiedere giustizia direttamente al Tribunale Vaticano. E infatti dallo scorso novembre la denuncia di scomparsa è di nuovo sui tavoli della Gendarmeria pontificia e del Promotore di Giustizia vaticana, il pm papale. Un passo col quale la famiglia Orlandi ha chiesto anche alle autorità pontificie di essere messa a conoscenza di un presunto fascicolo sul caso secretato in Vaticano. Il fascicolo è stato aperto "ma da allora non è stato fatto niente, non è stato interrogato nessuno", ha denunciato più volte l'avvocato Laura Sgrò, legale degli Orlandi. Che invano ha anche chiesto che venisse sentito il presunto boss mafioso Pippo Calò, oggi 87enne, attualmente detenuto al 41 bis nel carcere di Opera a Milano.
All'epoca dei fatti, nel 1983, era a Roma, era considerato un personaggio di spicco della malavita per cui, a detta di Laura Sgrò, poteva essere a conoscenza "di quello che succedeva" nella Capitale, e quindi anche della sparizione di Emanuela Orlandi. Episodio che ha anche un precedente inquietante, a maggio, con la scomparsa di un'altra ragazza romana, Mirella Gregori, coetanea di Emanuela. I due casi vengono quasi subito collegati, grazie anche alle continue esternazioni di Ali Agca, l'attentatore del Papa, che però non ha mai fornito prove vere. Mirella Gregori, figlia dei titolari di un bar di via Volturno, a Roma, studentessa, non conosceva Emanuela Orlandi, nè le due ragazze avevano frequentazioni in comune. Mirella scomparve dopo aver detto alla madre che "aveva un appuntamento" presso il monumento al bersagliere di Porta Pia con un vecchio compagno di classe, che peraltro quel pomeriggio era impegnato altrove. Da quel momento la famiglia non ha più avuto notizie della ragazza e sul caso cala il silenzio. Viene però riportato a galla con la scomparsa di Emanuela, che si trasforma in un giallo internazionale che coinvolge in pieno la Santa Sede spingendo Giovanni Paolo II ad intervenire pubblicamente più volte lanciando appelli per la sua liberazione.
La presenza di Emanuela Orlandi, negli anni, è poi segnalata in diverse località ma le rivelazioni non risultano mai attendibili. C'è stato persino chi ha spostenuto che la ragazza era stata trasferita in un Paese arabo, forzatamente convertita all'Islam e nel trattempo diventata sposa e madre. Solo illazioni e anche forme deleterie di sciacallaggio. Al punto che la prima inchiesta viene chiusa nel luglio 1997. Il caso riesplode nel giugno 2008 con le dichiarazioni di Sabrina Minardi, compagna di Enrico De Pedis, uno dei capi della banda della Magliana. In seguito si parla di un presunto assassinio di Emanuela Orlandi che sarebbe stata uccisa dopo essere stata tenuta prigioniera nei sotterranei di un palazzo vicino all'Ospedale San Camillo. Ma neanche su questa pista emergono prove concrete. Nulla di fatto neanche dopo le analisi svolte sulle ossa rinvenute nella cripta della basilica di Sant'Apollinare, a Roma, nella quale era stato seppellito De Pedis accanto al quale sarebbe stata deposta anche la ragazza. Nel 2016 nuova archiviazione dell'inchiesta da parte della Procura di Roma, confermata dalla Cassazione. Ma la famiglia non si arrende e si rivolge alla magistratura vaticana che, ora, insieme alla magistratura italiana ha riaperto il caso dopo il ritrovamento delle ossa nella nunziatura. Di chi sono quei resti? Di Emanuela Orlandi? Di Mirella Gregori? O si tratta di resti di sepolture di secoli passati? La parola alla scientifica.





