Il ragionier Fantozzi, l’impiegato Fracchia, il professor Kranz sono tre personaggi nati dalla geniale inventiva di Paolo Villaggio che hanno rivoluzionato la comicità televisiva. Quando Fracchia si presentava al cospetto del megadirettore generale (Gianni Agus), costretto a sprofondare in un puff, con le dita che si torcevano per l’imbarazzo, accoglieva le vessazioni del padrone con la frase: «Come è umano lei». Ed ecco che si intitola Com’è umano lui il film diretto da Luca Manfredi (a cui hanno collaborato i figli di Villaggio, Elisabetta e Pierfrancesco), in onda il 30 maggio su Rai 1.
Racconta la gioventù di Paolo Villaggio a Genova quando, da studente svogliato e buffone per natura, fu costretto ad accettare un lavoro da impiegato trovatogli dal padre ingegnere per mantenere la famiglia. Ma non era felice e capì che la sua strada era un’altra quando fu notato in un teatrino da Maurizio Costanzo. Approdato in Tv, la sua popolarità fu definitivamente consacrata dopo aver creato il personaggio di Fantozzi. A interpretarlo un attore comico genovese, Enzo Paci: «Ho dovuto sostenere quattro provini per avere la parte. Quando la casting Claudia Marotti mi ha chiesto un self tape, cioè un video in cui recitavo alcune battute, stavo girando Blanca, ed ero quindi sovrappeso, con capelli lunghi e ricci e la barba bianca. E il film era sul giovane Paolo Villaggio. Ma sia Claudia sia Manfredi hanno colto qualcosa in me e mi hanno chiesto di rifarlo senza barba e poi mi hanno voluto vedere dal vivo. Mi ha salvato il fatto che ho una bella pelle, senza rughe, e che quindi potevo risultare credibile anche come ventenne».
Molto trucco o parrucco o solo una mimesi attoriale per entrare nella parte?
«Mi hanno tinto e lisciato i capelli e messo un naso protesico, per il resto ho cercato di riprodurre la voce e la gestualità di Paolo Villaggio. Mi ha aiutato il fatto che sono un comico genovese e qualcosa in comune con lui ce l’ho, e non solo l’accento».
Anche il carattere?
«Direi che noi liguri siamo un po’ introversi, diffidenti, a volte arcigni, ma anche caparbi. Poi anche i nostri esordi nel mondo dello spettacolo sono simili. Prima di recitare, facevo tutt’altro…».
E anche lei è stato osteggiato dai genitori?
«No, lavoravo nel negozio dei miei, ma entrambi avevano esperienza come cantanti e quindi conoscevano il fascino del mondo dello spettacolo. Da che ho memoria, ho sempre voluto fare il comico e ricordo che quando, a sedici anni, ho vinto una specie di talent per comici in una Tv locale, mio padre mi ha detto: “Questo è il mestiere più bello del mondo”».
Hai mai incontrato Villaggio?
«Solo una volta; l’ho aspettato davanti a un teatro di Genova, mi sono presentato e gli ho detto: “Sa che anche io ho recitato nella Baistrocchi (una celebre compagnia di rivista goliardica dove si era fatto le ossa da giovane, ndr)?”. E lui mi ha risposto con una delle sue battute irriverenti: “Allora inginocchiati!”».
Per Villaggio è stato determinante l’incoraggiamento della moglie, che gli è stata a fianco tutta la vita. Anche sua moglie l’ha sostenuta nella sua carriera?
«Romina è arrivata in un momento di stanca e mi ha dato l’energia e la fiducia di cui avevo bisogno per non mollare».
Cosa ha rappresentato per lei vestire i panni di Paolo Villaggio?
«Lo considero un maestro, un attore geniale che ha inventato una comicità spietata e innovativa. Anche se non ho realizzato il sogno di bambino di essere il comico italiano più bravo, almeno mi sono tolto la soddisfazione di interpretare il più grande di tutti».