Arianna Errigo e Gian Marco Tamberi, le persone giuste. Saranno loro a ricevere il Tricolore al Quirinale, il prossimo 13 giugno, con la consegna di portarlo con onore alla Cerimonia inaugurale di Parigi 2024, che non si sa ancora bene dove sarà (pare un azzardo con il mondo in fiamme volerla a ogni costo lungo la Senna, per tenere il punto sul piano A. Vedremo).
Le persone giuste perché hanno una lunga e solida storia olimpica già alle spalle. Una storia non scontata. Gian Marco Tamberi era predestinato per Rio 2016, l’uomo giusto al posto giusto, il saltatore in alto più in forma del momento, poi s’è messa di traverso la malasorte: un grave infortunio a 20 giorni dai Giochi, pezzi da rimettere insieme reali e metaforici, senza sapere se quattro anni dopo il treno del destino sarebbe passato di nuovo per portarti a destinazione. Di mezzo la pandemia, Tokyo 2020 che diventava 2021 e lavoro, tanto lavoro, e incognite tante incognite, prima di riprovarci e di dimostrare al mondo di essersi fatti trovare pronti alla fermata del treno, con un gambaletto di gesso caricato sull’aereo come amuleto, ricordo dell’Odissea trascorsa, in viaggio verso Itaca all’estremo opposto del mondo, a indicare la strada della terra da toccare, senza sapere se al termine del viaggio la terra olimpica, la tua terra, ti riconoscerà.
Gian Marco Tamberi si è ripreso quel che era suo il 1° agosto del 2021, l’oro a pari merito condiviso sul podio con l’avversario Barshim passato per un incidente simile al suo e nell’abbraccio con Marcell Jacobs, oro nei 100 metri, in quelli che sono stati definiti i 20 minuti più memorabili della storia dello sport italiano. E, poi, nel 2023 si è preso l’unica medaglia che gli mancava: l’oro mondiale, dimostrando di saper vincere anche dopo l’uscita dall’ombra un tantino ingombrante del padre allenatore, cosa che non gli ha impedito dedicare la medaglia al genitore. Con classe, a dispetto dei rapporti non facili. Con altrettanta eleganza, nella soddisfazione per la bandiera ottenuta, ha avuto un pensiero per il “rivale” in quell’onore: l’amico nuotatore Gregorio Paltrinieri che l’avrebbe meritata altrettanto.
Arianna Errigo, nella scherma, in cui la maschera nasconde, ha coltivato a lungo il sogno di poter far convivere fioretto e sciabola, in Coppa del mondo ha avuto anche il permesso di gareggiare in entrambe le armi, ma a livello europeo, mondiale, olimpico le è stato intimato di scegliere, perché così, ad armi divise, va il mondo in tempi recenti. Si procede per specializzazione: sono lontani i tempi di Edoardo Mangiarotti che tra gli anni Quaranta e Cinquanta mieteva medaglie sia nel fioretto sia nella spada. Questione anche di equilibri, di darsi regole per i posti in squadra, di non creare conflitti in un ambiente che, a dispetto di armi bianche incapaci di offendere se non simbolicamente, sempre pacifico non è. Chissà forse il duello, per quanto sublimato accende di per sé le rivalità.
Arianna ha scelto, non senza rimpianti, il fioretto, la sua arma migliore. Arriva a Parigi alla sua quarta partecipazione olimpica, con al collo l’argento individuale e l’oro a squadre del fioretto di Londra 2012 e il bronzo a squadre di Tokyo 2020. Ma anche con due ori individuali e dieci a squadre agli Europei e altrettanti ai Mondiali senza contare i piazzamenti, in una disciplina in cui ogni finale di campionato italiano può valere una finale olimpica, perché anche al duello d'allenamento tocca confrontarsi con il meglio del mondo, una situazione non sempre facile in cui non ci si può concedere mai un attimo di distrazione, perché ci si gioca sempre, sempre , sempre un posto in squadre affollatissime. A brillare più delle altre, per Arianna, le medaglie del mondiale milanese 2023: argento individuale nella finale tutta italiana vinta da Alice Volpi e oro a squadre, il tutto con a bordo pedana due gemellini di quattro mesi da allattare.
Due storie, quelle di Errigo e Tamberi, ricche, piene, anche di umanità, cui quello che verrà a Parigi, in termini di risultati, potrà solo aggiungere senza nulla togliere. La condizione ideale per portare la bandiera in modo tale che sia solo un onore e non anche un peso.