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domenica 20 aprile 2025
 
festa del papà
 

«Essere padre migliora il modo in cui lavoriamo»

19/03/2025  Nel mondo del lavoro elasticità, capacità di risolvere problemi, senso di responsabilità sono competenze apprezzate. «Si affinano con i figli, non con i master», dice Marco Martinelli, manager e padre di quattro figli

La copertina del volume San Paolo
La copertina del volume San Paolo

«Lavoro e paternità non sono il male l’un per l’altro. Piuttosto, sono la cifra del nostro essere e del nostro benessere». Si può essere dunque papà e manager allo stesso tempo? Ne parliamo con Marco Martinelli, direttore del personale di un importante Ente bilaterale italiano, papà di quattro figli, e autore del libro Le competenze di un padre, appena edito da San Paolo.
L’essere genitori inficia la vita lavorativa?
«Nella mia esperienza, non è un ostacolo. Ho quattro figli fra i 2 e i 7 anni, con il tempo mi sono accorto che alcune delle situazioni che vivo a casa hanno a che fare con le cosiddette competenze trasversali del lavoro, dall’organizzazione del tempo, alla capacità di risolvere i problemi, al senso di responsabilità. Per altro nella mia esperienza professionale queste competenze mi sono poi state riconosciute. Non di rado mi sono sentito dire: “Quando c’è da fare qualcosa, tu che hai quattro figli ci riesci”».
Si dice che diventare genitori equivale a fare un master…
«Effettivamente si imparano molte cose. Se cresco come persona e come genitore porto il mio modo di essere anche nel contesto lavorativo, e viceversa».
Qual è il possibile valore aggiunto della paternità in ambito lavorativo?
«Ogni storia naturalmente è a sé, ma da papà posso dire che sono “allenato” a gestire imprevisti. Essere genitori aiuta anche a rimettere le problematiche del lavoro nella giusta dimensione: s’impara a relativizzare le situazioni professionali, pur complesse e faticose, affrontandole con maggior serenità e quindi efficacia».
Come si conciliano vita privata e vita lavorativa?
«Tanti consigliano di tenere separate le due dimensioni, io invece punterei all’unità: non è un male raccontare a casa cosa si è vissuto durante la giornata, anzi. Dal mio punto di vista parlare ai figli quel che facciamo a lavoro è dare un significato alla nostra assenza». 
Guardando alla professione, quali timori porta con sé la paternità?
«Tutti temiamo di non essere mai "abbastanza” come genitori o lavoratori. Per retaggio culturale poi forse i papà sentono ancora forte la responsabilità per il sostentamento economico della famiglia. Quindi il dilemma è: lavoro fino a tardi o torno a casa?».
Come si supera il dualismo?
«Rendendo ragione a se stessi di quel che si fa. A volte ha senso fermarsi fino tardi a lavoro, altre volte no. In questi casi, occorre riconoscerlo e andare a casa. È una valutazione che regala poi anche tanta serenità».
Si può essere insieme “bravi papà" e "bravi manager"?
«Assolutamente, sì. Quando sono arrivati i figli mi hanno regalato tanti manuali sull’essere padre. Li ho trovati però tutti “bambino centrici”, mentre io mi chiedevo “Dove sono io?”. Non si può ridurre la genitorialità a un'attività di supporto e aiuto, si tratta di un rapporto fatto di fatiche e bellezze, in cui anche il padre cresce. La paternità tiene alti anche i miei desideri di lavorare bene, far carriera e contribuire alla costruzione della realtà. Ho preso una seconda laurea fra pannolini e biberon: paternità e realizzazione personale non sono in contrasto».

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