Le ultime stime della
campagna “Taglia le ali alle armi” sono di oltre tre miliardi e
mezzo di euro già spesi per i cacciabombardieri F-35 (2 miliardi per
le fasi di sviluppo, 800 milioni per lo stabilimento di Cameri, 750
per le prime fasi di acquisto). Se la cifra dei 90 aerei sarà
mantenuta, la spesa per l’acquisto salirà a 14 miliardi di euro, a
cui vanno sommati ben altri 52 miliardi per il mantenimento da oggi
al 2050. Le fonti? Il Pentagono Usa, molto più trasparente, anche
sui contratti italiani, che la nostra Difesa.
Nel frattempo, una alla
volta, si stanno sgretolando le argomentazioni a favore dell’acquisto
dei caccia americani. Si diceva che sarebbero serviti per favorire
l’industria italiana: peccato che l’amministratore
delegato di Finmeccanica, in audizione alla Camera, abbia appena
rivisto al ribasso i presunti vantaggi. Il vero obiettivo lo ha
spiegato il Segretariato della Difesa, il generale Enzo Stefanini, in
audizione in Parlamento il 29 ottobre scorso: «Partecipare
al programma»,
ha spiegato, «non
significa avere automaticamente ricadute economiche dalla produzione
di questi aerei».
Francesco
Vignarca, il portavoce della campagna “Taglia le ali alle armi”,
commenta: «L’acquisto
serve per avere armi migliori e moderne, un ragionamento legittimo
per le forze armate, ma siamo sicuri sia la priorità dell’Italia
in tempi di crisi?».
Eppure, si continua a
procedere sul programma e l’Italia ne diventa anche sponsor: nella
nuova pubblicità della Lockheed Martin, il colosso americano
dell’industria bellica produttrice degli F-35, compare il ministro
italiano Mauro, con il suo slogan «Per
amare la pace, devi armare la pace (“To love peace you must arm
peace)». Il Ministro ha
spiegato di non aver mai dato il permesso per l’utilizzo della sua
immagine, ma di fatto è diventato il maggior sponsor straniero ai
velivoli americani.
«Sicuramente
una brutta parentesi»,
commenta Vignarca, «ma
quello che è più grave è che il Ministro vada avanti nel programma
di acquisto in spregio alla volontà degli italiani e soprattutto del
Parlamento».
La Camera e il Senato,
infatti, quest’estate hanno approvato a maggioranza mozioni che
impegnavano il Governo a non proseguire con alcun acquisto ulteriore
di F-35 senza un preventivo parere parlamentare. Ma da atti formali
del Pentagono è arrivata la prova che il 27 settembre l’Italia si
è impegnata non solo a completare l’acquisto dei primi tre caccia
già pianificati nel 2012, ma ha anche confermato definitivamente tre
ulteriori velivoli del lotto successivo e i primi pezzi per altri 8,
di cui uno a decollo corto e atterraggio verticale, cioè per le
portaerei.
Accanto al merito, la
campagna “Taglia le ali alle armi” critica il metodo usato dal
Governo: «Si ricorre a
trucchi e falsità per non concedere al Parlamento la facoltà di
poter recedere o modificare la partecipazione italiana al programma
Joint Strike Fighter».
Nelle scorse settimane,
il Governo ha riferito due volte alla Camera: prima il ministro della
Difesa, poi ha mandato il sottosegretario alle Politiche Agricole
Castiglione, nel ruolo di “lettore” di una risposta
all’interpellanza dei “Parlamentari per la pace”.
Secondo Vignarca, Mauro
«rifiuta il confronto, non
dà mai risposte serie e precise, pecca di trasparenza e nasconde i
dati reali». Soprattutto,
quando afferma che non possiamo sospendere l’acquisto perché si
tratta di una decisione retroattiva.
«Potremmo
eccome»,
commenta Vignarca, «già
il precedente Governo aveva negato la presenza di penali. Ricordiamo
che il Canada ha addirittura cancellato in toto la propria
partecipazione e che anche l’Italia l’ha già ridotta: per lo
stesso Lotto VII che ad ottobre il Governo ha descritto come
“blindato” erano previsti 4 aerei. Come mai siamo quindi
costretti a confermare l’acquisto solo per tre di essi?».
Altri due elementi confermano la tesi della campana “Taglia le ali
alle armi”. Da un lato, l’ulteriore “ok” che l’Italia ha
dovuto dare proprio a settembre 2013. Dall’altro, il fatto che noi
non acquistiamo direttamente dalla Lockheed Martin, ma dal Pentagono
che, per la legge americana, non può accedere ad una
contrattualizzazione internazionale prima dell’anno fiscale in cui
il denaro per il progetto viene ricevuto.
«Basta falsità e
trucchi»,
concludono le realtà promotrici della campagna. «Riteniamo
che per un programma così complesso, così costoso, così
problematico, siano altri i meccanismi di trasparenza che debbano
essere messi in gioco. Per non arrivare ancora una volta a sprecare
ingenti risorse per le spese militari quando il resto del Paese
è in situazioni
problematiche».