All’inizio del 1900 due grandi rivoluzioni, quella relativistica e quella quantistica hanno attraversato la scienza, e la loro conciliazione, in una nuova e grande teoria unificata, è ancora in corso d’opera a più di 100 anni. Si legge nel libro di Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, ciò che questo comporta in uno studente che non adotti al riguardo una “prospettiva paradossale”: «Uno studente universitario che assista alle lezioni di relatività generale il mattino e a quelle di meccanica quantistica il pomeriggio non può che concludere […che] la mattina, il mondo è uno spazio curvo dove tutto è continuo; [e che] il pomeriggio, il mondo è uno spazio piatto dove saltano quanti di energia».
La natura ci riserva sorprese che meravigliano sia il credente che il non credente. Ad entrambi essa chiede una spiegazione su fatti che vanno contro l’intuizione di tutti i giorni. Ma come si possono conciliare punti di vista differenti? Se lo sono chiesto alla Pontificia Università Lateranense il 12 maggio i professori convenuti per verificare la “fattibilità” di un dialogo non solo tra differenti teorie scientifiche, ma anche tra teologia e scienza.
L’approccio del teologo Giuseppe Lorizio, della docente di Teologia Fondamentale alla Pontifica Università Lateranense, è quello di “aprire finestre” così che le deduzioni delle scienze, in particolare per l’occasione la fisica, possano essere pungolo significativo al sapere teologico, “aria fresca” a cui sottoporre il pensiero. Per esempio, nella sua prospettiva, le vicende storiche e gli sforzi compiuti dagli scienziati per risolvere gli enigmi del neutrino, non sono stati vantaggi recati alla sola scienza. La massa di questa particella, una delle più sfuggenti alla teoria e agli esperimenti, capace di viaggiare alla velocità della luce e passare da una parte all’altra del pianeta senza disperdersi, può ispirare la ricerca sia nella fisica ma anche nella teologia. La narrazione scientifica infatti ci dice che questa eterea particella ha bisogno di una massa per rendere ragione del suo comportamento oscillatorio. Dunque non abbiamo a che fare solo con “un dato all’interno di una teoria” ma, in una visione transdisciplinare, questo rimanda all’importanza teologica della corporeità/materialità che soggiace e “rende visibili” nell’essere umano anche i fenomeni più spirituali, tanto che occorre attivare un apposito pensiero sul tema del corpo soggetto.
Non dobbiamo temere i paradossi: sia nella fede che nella scienza essi sono momenti catartici che precedono una comprensione più profonda. Ci sentiamo, allora, in sintonia con la storiella del rabbino (di Rovelli) in cui non ci si può esimere da un (iniziale) “dar ragione a tutti”: «La Natura si sta comportando con noi come quell’anziano rabbino da cui erano andati due uomini per dirimere una contesa. Ascoltato il primo, il rabbino dice: “Hai ragione”. Il secondo insiste per essere ascoltato, il rabbino lo ascolta, e gli dice: “Hai ragione anche tu”. Allora la moglie del rabbino, che orecchiava da un’altra stanza, urla: “Ma non possono avere ragione entrambi!”. Il rabbino ci pensa, annuisce, e conclude: “Anche tu hai ragione”».
La necessità di accogliere differenti punti di vista con un unico sguardo aiuta a non applicare cesure tra sapere teologico e sapere empirico-scientifico, ad esempio sulla creazione. Ma una volta acquisito un approccio dialogante, si deve procedere illuminando i diversi campi con le competenze specifiche. E allora Roberto Battiston, professore di fisica sperimentale all’Università di Trento, intervenuto come “parte scientifica” nell’incontro PUL, col suo bel libro di divulgazione La prima alba del cosmo, porta il pubblico a superare l’idea generale di Big Bang come gigantesca esplosione, in cui la materia e l’energia primordiali, concentrati in uno spazio quasi puntuale, con lo scorrere del tempo occupano il “vuoto circostante”. Una metafora migliore è quella del Big Cake (anche se non suona tanto affascinante come l’originale), perché non c’è vero vuoto esterno da riempire, piuttosto l’unico spazio-tempo che l’Universo è (quindi anche la materia/energia che in esso risiede) si levita/espande in sé stesso. Il tempo, poi, non è fuori dell’universo, come se da qualche parte vi fosse un orologio universale che scandisca gli avvenimenti, ma nasce (e si modifica) con l’universo, potendo assumere, variazioni locali, che con Einstein diremmo relative. Dunque non si dà né un fuori dell’universo, né un prima del Big Bang.
Come conciliare, allora, concezione biblica (l’azione di un Creatore) con la narrazione scientifica? Un punto di raccordo può essere trovato in quell’eventuale momento zero in cui le grandezze misurabili (di temperatura, energia, ecc.) secondo il modello attuale, dovrebbero assumere valori infiniti perdendo di senso fisico. Qui interviene Mons. Giuliodori, Assistente ecclesiastico generale dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, facendo suo l’esempio dei ricercatori della Specola Vaticana, padre Gabriele Gionti e don Matteo Galaverni, che hanno proposto una nuova comprensione matematica del momento iniziale dell'universo. Esempio di persone credenti e al contempo studiose della scienza.
Il linguaggio della fede e quello della scienza possono entrare in un circolo virtuoso, e mostrare come i diversi approcci hanno molto da dire l'uno all'altro, se il concetto di Big Bang “rimane” scientifico e non viene confuso con quello teologico di creazione! Per i credenti esso incarna un segno di un’intelligenza superiore mentre per i non credenti costituisce semplicemente l'inizio plausibile dell'unico universo finora conosciuto. La teoria lascia un “tempo libero iniziale”, su cui non può indagare, fosse anche una frazione infinitesimale di secondo, ove il credente può “collocare” il misterioso intervento di Dio nel trarre il tutto dal nulla, anzi di più. Per la teologia non solo l’inizio, ma tutta la storia dell’universo, diremmo ogni suo istante, è sempre nelle mani del Creatore (e Redentore), tanto che possiamo parlare di creatio continua, intendo che non solo Dio “avvia” la creazione ma che la sostiene sempre nell’essere, anche attraverso il mantenimento di quelle leggi che la scienza scopre non essere (quasi) mai disattese, e qualora lo fossero essa è autorizzata a cercarne di più grandi e comprensive. Con San Paolo apostolo ci viene da concludere “in Lui [in Dio] infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17, 28).