Natale è alle porte, ma quest'anno sotto l'albero rischiamo di trovare un ospite indesiderato: la cosiddetta “Variante K”, un’influenza arrivata in anticipo e capace di diffondersi molto velocemente. Tra boom di contagi e la corsa ai ripari dell'ultimo minuto, cerchiamo di capire come mettere in sicurezza le feste in famiglia. Ne parliamo con la Professoressa Gloria Taliani, ordinaria di Malattie infettive e tropicali all’Università La Sapienza di Roma.

Parliamo della "Variante K": i dati ci dicono che è la prevalente in Italia ed è molto contagiosa. Ci può spiegare cosa sta succedendo? Perché quest'anno il virus corre così tanto rispetto al passato?

«In realtà il virus dell'influenza ha sempre corso. È sempre stato caratterizzato dalla straordinaria attitudine a modificare la sua struttura genetica e quindi anche proteica. È la sua cifra specifica ed è la ragione per cui ogni anno vanno rinnovati i ceppi vaccinali: non si può basare l'immunità sulla vaccinazione dell'anno precedente. Ogni anno, attraverso il vaccino, noi conferiamo una nuova competenza immunologica alle persone, consentendo loro di costruire una sorta di "libreria" immunitaria ed estendere la risposta ai potenziali nuovi virus. Tuttavia, il virus successivo avrà sempre qualche elemento di diversità legato alla sua stessa biologia».

Proprio in base a queste mutazioni dettate dalla stagionalità, il vaccino funziona ancora? È importante farlo comunque?

«Assolutamente sì. Anche se la nuova variante sfugge in parte alla copertura, l'impianto antigenico rimane con una base comune verso la quale si producono anticorpi. Questi anticorpi magari non prevengono totalmente la nuova variante, ma ne attutiscono e riducono la possibilità di replica. Il vaccino, anche se non perfettamente fitting alla nuova variante, conferisce un effetto ostativo alla diffusione e questo si traduce clinicamente in una modulazione dei sintomi e nell'accorciamento della durata dell'infezione. La profilazione del vaccino è basata sulla variante dominante che circola d'estate nell'emisfero opposto. Nel caso emerga una nuova variante come la "K", quella struttura base permette comunque di modulare la risposta immunitaria in maniera favorevole e di attutire l'impatto clinico».

Siamo praticamente sotto le feste di Natale. Molte persone pensano: «Ormai è tardi, lo posticipo all'anno prossimo». È un ragionamento giusto?

«Non ha senso rimandare. Come diceva il maestro Manzi: "Non è mai troppo tardi". La protezione avviene in pochi giorni, quindi c'è un beneficio atteso in ogni caso. Inoltre, se per ipotesi ci infettassimo dopo aver fatto la vaccinazione, ci sarà comunque un rinforzo immunitario che consente di accorciare i tempi della malattia. Non c'è neanche controindicazione nel caso si abbia già avuto una sindrome simil-influenzale. Nessuno garantisce che quei sintomi fossero dovuti all'influenza vera: circolano una gran quantità di virus diversi che danno manifestazioni sovrapponibili. Aver avuto febbre e tosse prima non esclude che il vaccino possa prevenire l'episodio influenzale vero e proprio».

Grandparents sitting by the table with their granddaughter while decorating Christmas gifts at home for holidays
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Bimbi e anziani sono tra le categorie più a rischio (Getty Images)

E per quanto riguarda le categorie più a rischio, come anziani e bambini, specialmente in vista delle riunioni familiari?

«Chi è contrario al vaccino costruirà il suo repertorio immunitario attraverso le malattie progressive, ammalandosi ogni anno. Attenzione però: invecchiare significa diventare fragili. L'erosione della salute espone a tutti i rischi che il virus comporta, rendendo gli anziani particolarmente esposti alla severità della malattia. Dall'altra parte dello spettro c'è il bambino piccolo, che non ha ancora acquisito questa esperienza immunitaria: va vaccinato perché è l'unico modo efficace per potenziare la sua risposta all'esposizione ai virus presenti e futuri».

Un avvertimento che trova purtroppo riscontro nella cronaca di queste ore. Dalla Campania, infatti, giungono segnalazioni di reparti sotto pressione e ricoveri in rapida ascesa, dimostrazione pratica di come il virus, trovando una popolazione "stanca" di vaccinarsi, riesca a causare complicazioni serie che richiedono ospedalizzazione.

Portrait of young woman putting on a protective mask
Portrait of young woman putting on a protective mask
Le mascherine chirurgiche proteggono coloro che ci stanno vicini (Getty Images)

Vediamo ancora persone con la mascherina sui mezzi pubblici. È una buona abitudine da mantenere? Quanto aiuta davvero?

«L'esperienza del Covid ci ha lasciato una competenza nella gestione delle mascherine, ma dobbiamo ricordare la differenza tra mascherina "difensiva" e "protettiva". Le mascherine chirurgiche sono protettive verso gli altri: se io sono raffreddato e la indosso, faccio un atto di rispetto perché impedisco alle mie goccioline di raggiungere i vicini. Ma se ho paura di infettarmi, la chirurgica non serve a nulla. Per proteggere noi stessi servono le mascherine difensive, le famose FFP2. Se vogliamo essere garantiti in entrambi i sensi, usiamo la FFP2 e non se ne parla più».

Se ci infettiamo, c'è un modo per distinguere questa influenza dal Covid basandosi sui sintomi o serve per forza il tampone?

«L'unico modo è diagnosticare la presenza del virus attraverso il tampone. Ma nella vita quotidiana non serve realmente sapere se si è stati infettati dal virus influenzale, dal parainfluenzale, dal virus sinciziale o dal Covid. In condizioni ordinarie, infatti, non è indicata la somministrazione di farmaci antivirali specifici. Arrivare a questa finezza diagnostica non ha valore aggiunto per la cura a casa; ne ha ovviamente nei casi gravi ospedalieri, ma lì l'urgenza clinica è diversa».