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Credere

Francesca Fialdini: "Ad Assisi ho trovato la gioia della fede"

23/02/2023  L’invito di un amico a trascorrere il capodanno con i Francescani, tanti anni fa, è stata la scintilla che ha orientato anche le sue scelte professionali. E «a papa Francesco ho stretto forte la mano per dirgli che siamo tutti con lui»

C’è un fil rouge che unisce il più strano – e felice – Capodanno di Francesca Fialdini con i suoi attuali successi televisivi, ossia Da noi… A ruota libera e Fame d’amore. Ed è la fede. Per la conduttrice Rai, infatti, il proprio credo è una scelta “di vita” che ha abbracciato in un imprevedibile Capodanno ad Assisi, 23 anni fa, e che da lì in poi ha ispirato ogni sua scelta. Anche lavorativa. «Cerco di accettare progetti televisivi che abbiano a che fare con me, con i miei valori», conferma Fialdini. «La tv non deve e non può arrogarsi il compito di educare il pubblico, però è indubbio che plasmi l’immaginario collettivo, promuovendo la cultura e la conoscenza. E questo non posso certo dimenticarlo quando sono in video».

Ma cos’è successo, esattamente, in quel Capodanno?

«Era il 29 dicembre del 2000, avevo 21 anni e studiavo da fuorisede a Roma. Ero lontana dalle mie amicizie storiche e stavo attraversando un periodo, diciamo così, disimpegnato. Per Capodanno avevo in programma di andare in discoteca finché un mio vecchio amico non mi telefona proponendomi di passarlo con lui ad Assisi, insieme ai Francescani. Rifiutai all’istante ma lui insistette così tanto che, alla fine, mi mise curiosità: non era mai stato un tipo invadente… Andai e lì, con i Francescani ad Assisi, provai una felicità nuova, diversa, totalizzante: ebbi la netta sensazione di trovarmi davanti a delle risposte che, per la prima volta, non lasciavano spazio a dubbi. Era ben più di una semplice proposta religiosa: quell’esperienza ribaltò le mie priorità, mettendo al primo posto le persone anziché le ambizioni professionali».

I suoi esordi professionali furono a Radio Vaticana e poi, in tv, come inviata per A sua immagine. Sul Vaticano i luoghi comuni si sprecano: lei che ricordo serba di quell’ambiente?

«Sono stati anni di grande formazione, umana e professionale, dove ho incontrato colleghi che sono poi diventati amici importanti per la mia vita. A Radio Vaticana si respirava un clima di grande apertura: per lavorarci non dovevi avere alcun “patentino” tant’è vero che collaboravo con le persone più disparate, di destra, sinistra, credenti e non. Quello che contava era avere una certa sensibilità. Nelle riunioni si dialogava su tutto e si andava in onda solo quando si era raggiunta una certa omogeneità di visione: finora non ho trovato un approccio simile da nessun’altra parte. Inoltre mi piaceva molto il generale senso di rispetto: la Chiesa era, oggi come allora, piena di contraddizioni e se ne parlava, ci si confrontava, ma sempre con un grande rispetto verso questa realtà millenaria, che è guidata dallo Spirito Santo. Oggi mi sembra che, così come nei riguardi di qualsiasi istituzione, questo senso di rispetto sia cambiato. Mi spiace, perché se non si capisce che cosa dobbiamo custodire, allora vale tutto e si rischia di distruggere tutto quello che c’è stato». Dopo la morte di papa Benedetto XVI, c’è addirittura chi parla di uno scisma della Chiesa cattolica: che cosa ne pensa? «Tutto nasce da un errore di fondo, ossia dal credere che ci fossero due Papi. Benedetto XVI si era dimesso dicendo chiaramente che avrebbe dato tutto il suo appoggio e la sua obbedienza al Papa che sarebbe arrivato. Che lo si voglia accettare o meno è un altro paio di maniche, ma le cose stanno così. Polarizzare quindi la Chiesa in base alla presunta presenza di due Pontefici è stato un esercizio di potere che nulla ha a che fare con il messaggio cristiano. Il potere è una cosa, essere assemblea e comunità un altro. È giusto che esista un dibattito all’interno della Chiesa, ed è bello che ci siano i Sinodi per questo (anzi, forse dovrebbero essere più frequenti) ma pensare a uno scisma equivale ad andare contro il bene della Chiesa. Adesso tutte le energie dovrebbero essere tese a trovare un punto di incontro, a costo di dare vita a un nuovo Concilio: anche allora c’erano forze tensive, la modernità sembrava mettere in crisi tutto ma, con quel Concilio, ci siamo guardati in faccia e abbiamo scelto di fare un passo avanti. Insieme».

Qual è l’eredità spirituale lasciata da Ratzinger?

«La ricerca della verità, anche quando è scomoda. Era un uomo che non si accontentava mai delle risposte che aveva: si confrontava con la cultura dominante senza demonizzarla, ma cercando quello che aveva di buono e, da lì, provava a stringere un’alleanza e a costruire ponti. Inoltre aveva un’attenzione straordinaria per il prossimo: si ricordava dei fedeli che incontrava, a ciascuno poneva domande puntuali, anche a distanza di tempo. Era commovente».

A gennaio ha incontrato papa Francesco: cosa vi siete detti?

«Tutte le volte che lo incontro sono sempre impacciatissima! L’ultima volta però mi sono limitata a stringergli la mano, con più forza del solito: erano giorni di grande turbamento e ho voluto, silenziosamente, incoraggiarlo. Desideravo fargli sentire che eravamo lì per sostenerlo: probabilmente lui non si sarà accorto della stretta differente ma per me era importante fare quel piccolo gesto. In questa fase, sostenere Bergoglio significa sostenere la Storia che rappresenta e, per chi crede, sostenere il Vicario di Cristo in Terra».

Cosa ammira maggiormente di papa Francesco?

«La sua grande forza è quella di essere riuscito a parlare ai non credenti, a chi aveva perso le speranze di sentirsi compreso dalla Chiesa, a chi veniva da un mondo ideologizzato dove si guardava con sospetto al mondo ecclesiale».

Per anni si è ripetuto che la grande miopia della società moderna è aver dimenticato l’esistenza del Male. Secondo lei è ancora questo il nostro grande tallone d’Achille?

«Il vero problema è che ormai non ci chiediamo nemmeno più cosa sia bene e cosa sia male. Prevale un generale approccio istintivo, motivo per cui molti giovani stanno male e soffrono di ansia, depressione… Personalmente sono molto scettica sullo slancio che le nuove tecnologie hanno dato alle nostre vite e alla presunta libertà con cui ci sentiamo protagonisti delle nostre scelte. Viviamo come zombie che procedono senza spirito critico».

 
 
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