Un libro che nasce attorno
a un focolare, nel paesino
di Rotonda. Due sedie,
una per l’autore e l’altra
per il computer, e un
santo da raccontare. San
Francesco di Paola, per
Andrea Di Consoli, è una
scoperta dell’infanzia e una compagnia
dell’età adulta. «Anche se abito
a Roma, sono cresciuto in questo paesino
al confine con la Calabria dove
il culto per questo santo era molto
forte», racconta l’autore. «E il mio libro
vuole essere, in qualche modo, un
omaggio proprio a certi miti, culti popolari
della mia fanciullezza».
Quale santo presenta nel libro?
«Il mio è un tentativo di mostrare
ai fedeli e ai non fedeli un santo straordinario
perché aveva una grande attenzione
alla dimensione sociale, ma
senza tralasciare nessuno. Mi ha sempre
colpito il fatto che il suo intervento
non era diretto soltanto ad alcuni,
fossero anche i più poveri, ma invece
sapeva dare una parola di conforto a
tutti, poveri e ricchi. Credo che il Mezzogiorno,
ma non solo, debba ritrovare
questo tipo di concordia sociale».
Lei si sofferma, in particolare, sul
rapporto con il re di Francia. Perché?
«Mi sembra che sia uno degli
aspetti più interessanti della vicenda
di san Francesco di Paola. Questo santo
poverissimo, penitente, a un certo
punto viene corteggiato dall’uomo in
quel momento più potente, Luigi XI.
Trovo molto strano che l’uomo più
povero d’Europa e quello più potente
si incrociassero. Avviene però che Luigi
XI viene colpito da un ictus e viene
a sapere da un tale Matteo Coppola
di questo frate calabrese che compie
miracoli. Addirittura si dice che faccia
risuscitare i morti. Allora lo manda a
chiamare, ma san Francesco di Paola
vuole rimanere nel suo paesino con i
suoi frati e rifiuta. Interviene il re Ferrante
e gli chiede di andare a Tours, ma
rifiuta anche l’invito del re di Napoli.
Alla fine interviene il papa Sisto IV e
allora, per obbedienza al Papa, nonostante
l’età avanzata, va in Francia».
E poi cosa succede?
«Lui parte a piedi da Paola con due
frati e un asinello, arriva a Napoli, cammina
molte settimane a piedi. Quando
arriva in Francia dopo molto tempo fa
dei prodigi. La Francia, nel 1483, è devastata
dalla peste e Francesco, per
esempio a Frejus fa resuscitare alcuni
morti, rianima i malati in agonia ed
entra trionfalmente a Tours sull’onda
della grande emozione di aver resuscitato
interi paesi dalla peste. E dunque
il re di Francia nutre molte speranze».
Ma il miracolo, come dice il titolo
del volume, è un miracolo mancato...
«In senso letterale sì. Il re è convinto
che se il frate calabrese ha fatto tutti
questi miracoli lo farà anche a lui che, in
fondo, ha soltanto un ictus. Comincia,
invece, un dialogo a distanza tra i due,
nel silenzio, dove l’uomo più potente
ha bisogno di quell’uomo povero ed è in
attesa del miracolo. Quel miracolo non
avviene. Perché san Francesco sente che,
con il re di Francia, dovrà compiere un
miracolo ancora più grande».
Vale a dire?
«Quello di accompagnarlo nella
conversione, o meglio in una consapevolezza
piena della fede. Il più grande
miracolo che l’uomo può chiedere è
quello di avere fede. San Francesco riesce
in questo nonostante la durezza
di alcuni dialoghi. E quando la morte
arriva, Luigi XI, grazie alla vicinanza
di questo frate calabrese, fa una morte
serena. Il miracolo del re di Francia
è probabilmente il più grande che si
possa ricevere da un uomo di fede».
Com’è stato costruito questo libro?
«Riprendendo dalle agiografie
popolari che andavano in voga molto
tempo fa. Soprattutto mi sono avvalso
di quelle dell’800 scritte in modo molto
semplice, popolare e preciso. Una
semplicità di linguaggio che rende il
testo comprensibile a tutti. Mescolando
realtà storica e suggestione, sempre
con molta delicatezza. E facendo
emergere anche la sofferenza di questo
santo costretto a lasciare forzatamente
la sua terra dove non farà più
ritorno. Possiamo dire che è stato il
primo grande migrante».