Suor Eugenia Bonetti, Missionaria della Consolata. Foto Ansa., In alto e in copertina: una donna etiope denuncia nel marzo 2021 vessazioni e violenze subite. Foto Reutrers.
L’8 febbraio la Chiesa fa memoria di santa Giuseppina Bakhita (1869 – 1947), una donna sudanese che abbracciò la fede in Cristo, diventando una suora delle Figlie della Carità, dopo essere stata venduta come schiava, patendo sofferenze e umiliazioni inimmaginabili. È stata canonizzata da papa Giovanni Paolo II, il 1 ottobre del 2000. La sua storia, quanto mai attuale, ci chiede di guardare alle tantissime schiave contemporanee, donne di tutto il mondo che vengono comprate e vendute come merce, sfruttate e violate, private dei più elementari diritti e di ogni dignità. Ecco perché la ricorrenza di santa Giuseppina Bakhita è stata scelta come Giornata Mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone. In questa giornata è importante ricordare un’esperienza ecclesiale di grande valore. Per quasi quindici anni, ogni sabato, un gruppo di religiose di diverse congregazioni ha fatto visita alle donne rinchiuse nel Cpr (Centro di permanenza per i rimpatri) a Ponte Galeria (Roma). Donne violate, abusate, sfruttate, senza documenti validi per poter rimanere in Italia e pertanto da rimpatriare. Donne arrivate in Italia da varie parti del mondo, tra cui Nigeria, Cina, America Latina, Ucraina. Le suore le hanno incontrate donando ascolto, affetto, sorrisi e – nel rispetto delle diverse confessioni – le hanno aiutate a riaccendere quella scintilla spirituale spesso sopita da anni di traumi e avversità.
L’esperienza è andata avanti dal 2007 al 2020, anno in cui, a causa della pandemia, non è stato più possibile recarsi al Cpr, struttura poi rimasta chiusa finora. Rileggere oggi le testimonianze di quelle sorelle (anch’esse provenienti da diverse parti del mondo) ci apre gli occhi su una realtà che spesso tendiamo a ignorare o censurare, ma ci dice anche, sulla scorta di Santa Bakhita, che ogni persona porta in sé una scintilla di luce, che nessuno è davvero perduto. A coordinare il gruppo è stata suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, per molti anni impegnata in Africa, oggi in prima linea nel contrasto alla tratta di esseri umani anche attraverso l’associazione “Slaves no more”, da lei fondata. Ed è proprio da lei che partiamo per tener viva la memoria di questa toccante esperienza.
«Il Cpr di Ponte Galeria è un luogo di isolamento, simile ad un carcere, fatto di cemento e sbarre, in cui vengono rinchiuse le donne straniere trovate senza documenti sul territorio italiano» racconta suor Eugenia Bonetti. «Non ci sono programmi utili per loro, nessuno si preoccupa di occupare questo tempo, sovente di disperazione, delle donne che sono lasciate sole alle loro angosce, paure, ai loro rimorsi». Durante le visite al Cpr «siamo state donne, madri, sorelle, amiche al fianco di altre donne, madri, sorelle, amiche. A Ponte Galeria noi abbiamo fatto ciò che ha fatto la Madonna sotto la croce: lei non poteva cambiare nulla di ciò che stava succedendo, ma era lì, con suo Figlio, a condividerne almeno il dolore e la solitudine. Non si possono lasciare soli gli ultimi, gli emarginati, i più deboli, ma dobbiamo essere con loro, cercando di alleviare il loro dolore e curare le loro ferite». «Non dimenticherò queste donne che hanno, volti, nomi, storie» dice ancora suor Eugenia Bonetti. «Sono fuggite dai loro Paesi di origine per avere una vita più dignitosa e sicura. Si ritrovano invece in Europa, in Italia, in mezzo a enormi difficoltà e violazioni, tra cui il mancato riconoscimento della loro dignità di persone. Eppure non abbandonano mai la loro umanità e le loro fragilità che le rendono figlie predilette di Dio».
Come dicevamo, del gruppo impegnato a Ponte Galeria hanno fatto parte religiose di diverse congregazioni. «In questi anni ho avuto la possibilità di conoscere tante persone» ricorda suor Mihaela Balauca (suora della Provvidenza) «volti di “mille colori”, nomi e soprattutto storie; storie di sofferenza, di disaggio, di delusione, di preoccupazione e di tanta paura di essere rimandate nel proprio paese o di finire nuovamente sulla strada. Donne cristiane e non, giovani e meno giovani che aspettavano il sabato come un giorno di festa».
«Per me, il valore più grande era l’incontro individuale, singolare con ogni ragazza» ricorda suor Nieves Rodriguez (Suore adoratrici ancelle del Santissimo Sacramento e della carità). «Era semplice, una sorpresa ogni volta, ti trovavi sempre con persone nuove, ma era un’occasione di dare continuità all’ascolto attento, alla condivisione. Spesso si riusciva a stabilire una relazione sincera». «Per me è stato significativo ed importante il fatto di trovarmi con tante donne latino americane. Dato che conosco le nazioni dell’America Latina, la loro cultura, le usanze e le abitudini di molte città di essa, potevamo festeggiare le loro tradizioni e far conoscere i loro canti» ricorda ancora la religiosa. «Trovarmi con ragazze del Perù, della Bolivia, del Venezuela e di tante altre parti e poter parlare delle loro nazioni dava soddisfazione sia a loro che a me, questo facilitava tanto l’apertura della strada per un dialogo più profondo».
«L’esperienza a Ponte Galeria è stata una opportunità per capire il problema della tratta di persone e del successivo sfruttamento, in particolare quello a fini sessuali e l’immenso e complesso dolore di queste donne che hanno lasciato i loro paesi, le loro famiglie, per cercare una vita nuova, più dignitosa che permettesse loro di guadagnare i soldi per supportare, mantenere le loro famiglie nei paesi d’origine» dice suor Josephine Sim (Figlie della Carità Canossiane). «Io sono di origine cinese e entrando nel centro ho potuto stare vicino, confortare le tante donne cinesi che, dopo essere arrivate in Italia, per diversi motivi, sono finite lì. Spesso, infatti, le donne cinesi che erano nel centro vivevano in solitudine, isolate, per via della paura del mondo esterno e a causa della lingua difficile da capire in Italia. La mia presenza poteva servire, oltre che per confortare e dare segni di speranza, anche per fare traduzioni, sia a loro che agli operatori, per far si che le donne potessero interagire con gli avvocati, o per spiegare ai medici eventuali problemi quando le donne non stavano bene».
«Io personalmente già lo sapevo da molto tempo» sottolinea suor Maria Grazia Pennisi (Congregazione delle Figlie della Chiesa) «ma penso che avvicinare questa realtà, anche solo leggendo di essa, possa aiutare a comprendere che queste donne sono nostre sorelle, ingannate da chi vuole servirsi di loro solo per accumulare soldi, che non sono prostitute ma prostituite ed ingannate, raggirate da chi non considera il valore e la dignità intrinseca di ogni persona umana».