Un periodo travagliato, e poi il ritorno dell’ispirazione e il raggiungimento di una sorta di equilibrio che dà il nome al suo ultimo Cd, Equilibrium, appunto, brani solo per pianoforte e per pianoforte e orchestra. Con un nuovo tour che porterà il pianista e compositore Giovanni Allevi di nuovo nei teatri di tutto il mondo.
Partiamo dalla copertina. Che cosa rappresenta?
«Sono rappresentate le mie due anime, quella classica e quella rock. L’anima classica sta a significare il mondo accademico in cui sono cresciuto e di cui sono un prodotto. Ho passato tutta la vita a studiare musica: 10 anni di pianoforte e 10 di composizione. Sono uscito dal Conservatorio a 30 anni! E poi la laurea in Filosofia. L’anima rock che nella copertina mi tira i capelli è sempre stata presente in me e simboleggia il presente. L’anima classica è collegata all’eternità: è un mondo straordinario che continua a reiterare sé stesso nella propria magnificenza. Il presente invece è vivo e sempre mutevole e nuovo. Io mi ritrovo a essere crocevia di queste due forze. La testa è inclinata verso il presente e sono divertito da questi due personaggi che non dialogano».
Come è nato questo Cd?
«Due anni fa ho voluto vivere in un’isola dell’Atlantico nell’isolamento totale. Avevo perso molto peso e non riuscivo neppure a stare in equilibrio su un piede. Solo una volta alla settimana controllavo le mail. E ho trovato le parole di un virtuoso del piano, Jeffrey Biegel, che gira il mondo suonando Liszt e Rachmaninov. Insegna alla Brooklyn Academy di New York. Un suo giovane allievo aveva lasciato sul suo leggìo una mia composizione. Si è innamorato della mia musica e mi ha chiesto di scrivere qualcosa per lui. Ho deciso di scrivere un intero concerto per pianoforte e orchestra. Era da un lungo periodo che non mi veniva in mente nulla. Poi c’è stato un tour in Giappone e durante un concerto ho avuto un distacco della retina. Sono stato operato d’urgenza e durante il lungo periodo post operatorio ho composto gli altri brani di Equilibrium».
Come è entrata la musica nella tua vita?
«Sin da piccolo ero attratto dal pianoforte. Mio padre, grande esperto di Wagner e Stravinsky, mi sollecitava con le sue sfide, come per esempio riconoscere la tonalità di un’ambulanza che passava per strada. Mi aveva chiuso a chiave il pianoforte per tenermi lontano dalla musica. Io avevo scoperto dove era nascosta la chiave. Mi avvicinavo al pianoforte con il timore di essere scoperto, con il sentimento di rompere una regola, e ancora adesso davanti al pianoforte provo la sensazione di toccare qualcosa di sacro».
Quando hai capito che il pianoforte sarebbe stata la tua vita?
«Il mio primo concerto l’ho tenuto il giorno del mio ventunesimo compleanno a Napoli davanti a 5 persone. Il loro entusiasmo mi ha consegnato un messaggio, ossia che la musica non è una questione di numeri ma di emozioni vissute da singoli individui unici e irripetibili. Nel 1997 è uscito il mio primo Cd, Tredici dita, prodotto da SoleLuna di Jovanotti, che mi ha fatto il grandissimo regalo di suonare alcune mie composizioni negli stadi all’inizio dei suoi concerti. Il secondo album è uscito solo sette anni dopo. Intanto avevo iniziato a fare concerti in Cina. Poi a New York ho tenuto un concerto al Blue Note, il tempio mondiale del jazz. È stato con l’album No concept che sono entrato nel cuore della gente e da quel momento è iniziata la mia notorietà».
In Equilibrium c’è un brano sul terremoto…
«Ero ad Ascoli Piceno con la mia famiglia quando c’è stato il primo terremoto che ha distrutto Amatrice. Dalla mia esperienza è nato No words: il pianoforte esprime l’onda sismica e agli archi è affidato un grido di disperata umanità. Il terremoto ha portato via con sé tante vite ma ha fatto crollare il muro della diffidenza».
In passato la tua musica fuori dagli schemi classici ti ha suscitato molte critiche...
«È vero, ma ho cominciato a ricevere dei segnali molto importanti da parte del mondo accademico e molte persone hanno iniziato a capire il vero significato del mio progetto. Mi interessa che sul mio esempio nuovi giovani compositori possano raccontare il nostro tempo come hanno fatto i grandi del passato con la loro epoca. Mi piacerebbe che l’Italia continuasse a far innamorare di sé come ha fatto per secoli».